Le braci Le braci

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unfioreounlibro Opinione inserita da unfioreounlibro    06 Settembre, 2023
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Il valore eterno dell'amicizia

"Le braci", romanzo dell’ungherese Sándor Márai edito per la prima volta nel 1942, racconta la storia dell’amicizia tra due uomini, Henrik detto “il Generale” e Konrad, e di come essa abbia avuto fine in seguito al tradimento del secondo. Il punto di partenza è l’incontro tra i due, che, a distanza di quarantun anni, ha lo scopo di far finalmente luce sugli avvenimenti che li hanno separati. La prima parte, che coincide con l’attesa di Konrad da parte di Henrik, è occupata dal racconto degli anni della loro amicizia; la seconda, invece, quella dell’incontro, da un lungo dialogo (a dire il vero, più un monologo del Generale) sulle circostanze in cui si è interrotta.

Secondo me, il principale punto di forza del romanzo è lo stile a dir poco sublime in cui è scritto. Solitamente, non apprezzo l’abbondanza di figure retoriche e la tendenza a ripetere più volte gli stessi concetti; in questo caso, tuttavia, ho trovato che si accordassero bene con la densità tematica del libro. Durante la lettura, inoltre, ho avuto l’impressione di trovarmi davvero nei luoghi descritti da Márai: il castello di Henrik, la Vienna di inizio XX secolo, il bosco in cui si svolge la battuta di caccia… In quasi ogni pagina, infine, ho incontrato riflessioni che mi hanno sorpreso per la loro profondità, benché il loro tono amaro e disilluso mi impedisse spesso di condividerle.

L’unica nota stonata, a mio avviso, è che il confronto tra i due uomini non giunge a una vera e propria conclusione; Konrad, infatti, rimane per lo più in silenzio, senza svelare la verità sulle proprie azioni passate. Come spiegare un finale del genere? Personalmente, mi piace pensare che Márai voglia sottolineare come tale “verità”, alla fine, non conti molto; conta invece l’aver fatto esperienza dell’amicizia (e dell’amore) in una forma pura, radiosa, che neppure il tradimento è in grado di cancellare. Ma a ogni lettore il compito di terminare il romanzo e di farsi una propria idea.

“Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che ogni giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno... e non credi che non saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione?”

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CortaZur Opinione inserita da CortaZur    02 Marzo, 2021
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L'amicizia come alta forma di letteratura

Un libro dal successo strepitoso, a giudicare dal numero di recensioni su qualunque sito di libri italiano. Una storia che racconta un'amicizia giovanile, un amore fraterno e un intreccio sentimentale come un grande classico che si rispetti.
Questo è un romanzo caratterizzato da una prosa delicata, un linguaggio ricco ed elegante senza mai sembrare ampolloso e fine a se stesso. Un lungo monologo del generale Henrik che rivanga le sue memorie e torna indietro di quarant'anni per avere una risposta definitiva a quello che lo tormenta da allora. In mezzo sono infilate lì tante perle sul significato di amicizia, amore, passione, destino che rendono questo libro di sole 180 pagine ricco e denso come tomi di 1000 non riusciranno mai ad esserlo.

Citazioni come questa sulla passione:

"Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che ogni giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno... e non credi che non saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione?"

Oppure questa sull'affinità:

"Come le persone appartenenti allo stesso gruppo sanguigno sono le uniche che possano donare il loro sangue a chi è vittima di un incidente, così anche un'anima può soccorrerne un'altra solo se non è diversa da questa, se la sua concezione del mondo è la stessa, se tra loro esiste una parentela spirituale."

Rendono questa storia semplicemente imperdibile. Davvero una bella storia degna dell'eleganza di Adelphi.

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alexandrasc Opinione inserita da alexandrasc    22 Agosto, 2020
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Amore in varie sfaccettature

Le Braci è un romanzo che (dopo i primi capitoli un tantino più lenti) ti avvolge e travolge.
Descrive l’amicizia di due ragazzi: Henrik, sicuro di sé, presuntuoso e di famiglia nobile e benestante e Konrad, sensibile e intelligente ma di famiglia umile. Ragazzi che proseguono l’intenso rapporto di amicizia fino ad età adulta.
La storia è quasi interamente costituita da un monologo introspettivo del Generale Henrik ormai in età anziana.
Monologo in cui, in una prima parte, descrive con minuzioso dettaglio il nascere del sentimento di amicizia definita pura e vissuta in tutta la loro fanciullezza.
Si legge di un rapporto tra due amici apparentemente inscalfibile.
A volte, confesso, ho sperato che questo legame mutasse in amore pure e passionale. La loro intesa sembrava così magica e speciale che andava al di là di un semplice rapporto fraterno.
Nella seconda parte, durante l’agognata cena con il suo ormai vecchio e ritrovato amico, si scopre poco per volta, e solo per bocca dell’”offeso”, la vera vicenda che ne ha creato la loro rottura. Anche in questa parte è solo il Generale ad interloquire e Konrad ad ascoltare. E dopo avere esposto la sua descrizione dei fatti, ha formulato due domande rimastegli in sospeso nei loro 41 anni di separazione.
Tutto il libro è stato vissuto da me col desiderio e l’ansia di conoscere quali siano le reali ragioni che hanno spinto alle azioni avvenute o nella speranza che l’amico rivelasse una verità totalmente differente da quella dedotta dal Henrik in questi anni ma, purtroppo per me che non amo i finali aperti, non avviene nulla di tutto ciò.
Konrad si limita per tutto il dialogo ad annuire e infine a decidere di non rispondere all’unico dubbio poi postogli dall’ex-amico.

La narrazione è magica. Fa rivivere in ogni attimo gli eventi descritti. Crea atmosfere e descrive perfettamente i sentimenti di ognuno dei 3 protagonisti (Henrik, Konrad e La moglie di Henrik).
Ognuno ama e continuerà ad amare gli altri fino al giorno della sua morte. Ognuno con una sfaccettatura diversa e con un trasporto differente.

Unico difetto, ma questo deriva da un mio gusto puramente personale, un finale in cui nulla si conclude ma tutto rimane così come è stato dedotto dalla mente del Generale Henrik. Nessun chiarimento, nessuna rivelazione, nessuna spiegazione certa di quello che successe quel fatidico giorno. La verità morirà con i tre protagonisti e sparirà come cenere nella brace.

Si potrebbe quasi pensare che anche quest’ultima cena sia frutto di immaginazione tra i pensieri e le riflessioni di un vecchio Henrik solo in punto di morte.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    30 Dicembre, 2019
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La vita è un caso irrisolto

Dopo quarantun anni in cui sono stati separati, due uomini che da giovani sono stati amici inseparabili si incontrano di nuovo. Entrambi sembrano essere sopravvissuti per poter vivere questo preciso incontro, e una volta che questo si sia compiuto e i quesiti che il tempo ha sollevato si siano risolti, probabilmente potranno morire in “pace”.
Ma cosa ha portato due amici, quasi fratelli, a separarsi di punto in bianco e senza un saluto? Cosa ha a da fare una misteriosa donna con questa separazione?

Questa è una di quelle letture che mi lascia in difficoltà, volendone dare un’opinione obiettiva. “Le braci” è un titolo super acclamato, che a quanto mi pare di capire è piaciuto a tantissimi. E invece io, pur riconoscendone la grandezza stilistica e la bravura dell’autore nella costruzione della tensione narrativa, non l’ho trovata una storia di quelle che ti lasciano una traccia indelebile. Penso che i temi trattati possano scuotere persone che hanno vissuto le emozioni e qualche situazione di quelle trattate in questo romanzo, ma forse questa potenza viene attenuata negli altri lettori. Non lo so; sta di fatto che, pur trattandosi di una bella lettura, non mi ha colpito fino al punto che credevo.
Mettendo da parte le opinioni soggettive, ritorno a parlare del modo di scrivere e della maestria narrativa di Marài, che è davvero su livelli altissimi. A tratti difficile da reggere - anche a causa della seconda parte, che è praticamente un soliloquio di uno dei due protagonisti - ma anche potente e profondo. La peculiarità di questo romanzo, comunque, sta nella tensione che cresce pagina dopo pagina nel corso dell’incontro tra questi due amici, che non si vedono ormai da quarantun anni. Si ha la costante sensazione che il culmine di questa tensione si sia raggiunto, che la “bomba” sia lì lì per scoppiare, e invece la tensione continua a crescere. Leggere questo libro dà una sensazione simile a quella che dovrebbe provare un condannato a morte che attende che il boia cali la sua ascia; il condannato non può vederlo ma sa che è lì dietro di lui, ne avverte la presenza eppure quest'ultimo si attarda, non prende mai una decisione. E alla fine non siamo neanche certi che Marài, il nostro aguzzino, abbia calato o no il suo strumento di morte; ci si sente sospesi tra la vita e la morte, in un limbo letterario che regala una sensazione stramba che ha il sapore dell’irrisolto.
Capite quanto è stato bravo Marài?
Parlando degli eventi raccontati, per quanto mi riguarda non hanno molto di propriamente originale, anzi, mi sono apparsi piuttosto banali; la forza sta, ripeto, nel modo in cui vengono raccontati. Un aspetto piuttosto curioso, che non so se piazzare nello spettro delle coincidenze o meno, è il fatto che il protagonista indiscusso di questa storia sia anche quello più maltrattato dagli eventi e dallo stesso autore. Sì, perché l’autore nomina ripetutamente tutti i personaggi presenti in “Le braci”: Konrad, Kristina, Nini… tutti, a parte il suo protagonista Henrik, che nomina giusto un paio di volte, ma chiamandolo “generale” in tutte le altre occasioni. Come se Marài volesse mettere in risalto la differenza tra quest’ultimo e gli altri: uomo a cui è stata affibiata un’etichetta, una posizione sociale fin dalla nascita; status che pare anche gratificarlo abbastanza. Tuttavia, pare che questo lo ponga a un livello inferiore rispetto agli altri, indegno anche di essere chiamato per nome; incarnazione di una figura incolore che quasi non possa essere considerato un essere umano, in cui non arde il fuoco dell’anima come arde nella figura dell’artista, di quel suo amico che, tuttavia, coi suoi modi di fare mostra alcuni dei lati peggiori dell’essere umano.
Chi è più umano, dunque?
A questa e ad altre domande attende la risposta il lettore, così come i protagonisti (così come gli uomini in genere) attendono la risposta a quella che reputano la domanda essenziale della propria esistenza. Ma una volta che arriva il momento decisivo, il momento delle risposte, nessuna di queste pare essere esaustiva; come se l'esistenza degli uomini sia destinata ad essere per sempre un caso irrisolto.

“Il senso dell’amore e dell’amicizia è tutto qui. La loro amicizia era seria e silenziosa come tutti i sentimenti destinati a durare una vita intera. E come tutti i grandi sentimenti anche questo conteneva una certa dose di pudore e di senso di colpa. Non ci si può appropriare impunemente di una persona, sottraendola a tutti gli altri.”

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kafka62 Opinione inserita da kafka62    11 Febbraio, 2019
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UN THRILLER FILOSOFICO

C’è nella lettura de “Le braci” un non so che di avvincente, di ammaliante, e nel contempo un sentimento opposto di frustrazione, di attese insoddisfatte, di promesse non mantenute, quasi come se l’ossimoro fosse il segno distintivo di questo romanzo dallo stile ottocentesco ma scritto nel 1940, dall’impianto teatrale ma in cui dei tre protagonisti uno è defunto ormai da decenni e il secondo rimane in silenzio per tutto il tempo, lasciando al terzo il compito di intessere un finto dialogo che in realtà è un lunghissimo monologo-confessione. E dunque qual è la chiave di lettura di questo libro strano e misterioso, quale il motivo del suo originalissimo fascino? Conviene partire dalla cornice della storia. Due vecchi amici di infanzia e di gioventù, legati in passato da un rapporto così esclusivo e totalizzante da ricordare quello leggendario tra Castore e Polluce, si ritrovano nello sperduto castello del primo per un’ultima serata insieme, ben quarantuno anni dopo che il secondo era sparito senza preavviso e senza spiegazioni per andare a vivere lontanissimo dalla sua patria, ai Tropici. Il primo, un facoltoso generale in pensione di nome Heinrich, aspetta da anni questa occasione per portare a termine una vendetta a lungo meditata (ma senza spargimento di sangue: una rivoltella appare per un istante, ma viene prontamente rinchiusa in un cassetto) e riesumare un segreto il cui solo depositario è l’amico Konrad, anche lui un ex ufficiale ma con aspirazioni più umanistiche che militari. L’intreccio viene sapientemente impostato dall’autore come un thriller: quarantuno anni prima è avvenuto qualcosa che ha determinato una frattura insanabile in una esistenza fino ad allora apparentemente armoniosa e che ha fatto precipitare gli eventi verso esiti imprevedibilmente drammatici. Piano piano, centellinati pagina dopo pagina nel corso di un interminabile faccia a faccia a lume di candela, emergono dal passato i dettagli: c’è una battuta di caccia alle prime luci dell’alba in cui Heinrich ha l’intuizione che l’amico sia sul punto di ucciderlo sparandogli alle spalle, c’è la sconcertante scoperta della improvvisa partenza di Konrad, c’è lo strano comportamento della moglie di Heinrich (Krisztina) che lascia intravedere un rapporto segreto e non propriamente platonico tra lei e Konrad. Intorno a questo nucleo di eventi che si sviluppa in poche ore si dipana una implacabile ricerca di ragioni e di motivazioni, nel presupposto che i fatti non possano esaurire la complessità di quanto è accaduto. Se di thriller si può parlare, quindi, è solo in una accezione meramente psicologica. La verità da scoprire non è infatti il tradimento della moglie o il mancato omicidio dell’amico, che Heinrich dà per scontati, ma le ragioni sottostanti, le cause profonde e sotterranee, le intenzioni mai rivelate.
Ma è qui che l’originale thriller di Marai vira e prende sorprendentemente un’altra direzione: infatti, dopo che al termine di una lunghissima requisitoria, disincantata e priva di animosità ma ugualmente implacabile, in cui, come in un processo, ha rievocato i fatti principali, rammentato le circostanze accessorie e dettagliato le tesi accusatorie, Heinrich si accinge finalmente, dopo più di cento pagine, a formulare la domanda decisiva che – a detta sua – è stata l’unica ragione che gli ha permesso di sopravvivere, e dopo che ha perfino deciso di distruggere le testimonianze esistenti (il diario di Krisztina gettato nel fuoco del camino) per affidarsi esclusivamente alla confessione di Konrad, questi sceglie di non rispondere e, alle prime luci dell’alba, inopinatamente, si accomiata dall’amico, presumibilmente per l’ultima volta, lasciando intatto il suo segreto. E’ comprensibile lo sconcerto del lettore: alle soglie di una verità a lungo fatta intravedere dall’autore, quasi afferrata con l’apparizione di un diario in cui la moglie defunta aveva affidato ogni pensiero più intimo, quando infine si tratta di ascoltare la voce stessa di chi ha vissuto gli eventi narrati in prima persona, e di cui si possono immaginare le difficoltà con cui ha attraversato una Europa sconvolta dalla seconda guerra mondiale per consegnare all’amico (perché altrimenti sarebbe venuto fino a lì?) la sua interpretazione autentica e definitiva, ecco che tutto implausibilmente svanisce, lasciando un comprensibile senso di amaro in bocca. E’ a questo punto evidente che il senso del libro va cercato altrove, in una direzione più astratta e metafisica. In questione non è più la verità di Heinrich, Konrad e Krisztina, ma la Verità tout court, o meglio la possibilità stessa di accedere a una qualche verità assoluta. L’enigmatico finale de “Le braci” mi sembra che risponda a questo quesito filosofico in maniera estremamente scettica e pessimistica. Se una possibilità esiste che l’uomo riesca ad afferrare la verità nel corso della sua vita, essa si situa proprio nel suo momento estremo e conclusivo, vale a dire la morte (“L’uomo comprende il mondo un po’ alla volta e poi muore”). La morte è la risposta definitiva che l’uomo può dare di fronte al tribunale del mondo, l’attestazione di innocenza che lo assolve, ancorché fuori tempo massimo, quando ormai non serve più a nulla, nel processo che la vita ha intentato contro di lui. E’ per questo che “Le braci” si sviluppa nella forma di un lunghissimo monologo (dalla parte introduttiva lo stacca anche un diverso uso dei tempi verbali nelle poche parti in cui è usata la terza persona dello scrittore – il presente anziché il passato remoto): esso non è tanto (o non è solo) un processo intentato da Heinrich all’amico fedifrago e traditore per conoscere una qualche verità (in fondo “tutto accade sempre per il motivo e nel modo esatto in cui è stato possibile che accadesse”, questa è l’unica tautologica verità possibile), bensì un processo intentato principalmente a se stesso, per scoprire la colpa recondita, il peccato originale che lo ha fatto sopravvivere a Krisztina, la quale è stata invece redenta dalla morte (“Chiunque sopravviva a qualcuno commette un tradimento”, afferma il protagonista, e quindi è – kafkianamente – colpevole). Ed è per questo, anche, che Heinrich accoglie il rifiuto di Konrad a rispondergli con indifferenza, anzi quasi con soddisfazione. Se l’eventualità dell’incontro con l’amico era l’unica ragione che lo avesse tenuto in vita, ora che esso si è avverato Heinrich può finalmente morire e, a sua volta, discolparsi per l’eternità. Lo stesso destino di Marai, suicidatosi con un colpo di pistola nel 1989 e solo successivamente riscoperto dalla critica la quale, dopo un immeritato oblio, lo ha gratificato di una solida gloria postuma, sembra beffardamente avallare questa mia tesi.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    03 Novembre, 2017
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Ogni vera passione è senza speranza

C'è una potente forza evocativa in questo romanzo dello scrittore ungherese Sandor Marai: 'le parole sono importanti' dirà uno dei due protagonisti, niente di più vero, soprattutto se quelle parole - pur nel 'silenzio' della lettura - fanno rumore, destano l'attenzione di chi legge e ne sollecitano l'immaginazione, come se agissero su un meccanismo nella mente che apre un sipario svelando scenografie così vivide e realistiche da sentirsi quasi parte di esse.
Ci si ritrova così a passeggiare tra le strade di Vienna, nel periodo in cui l'impero austro-ungarico era ancora nel pieno del suo splendore, e nelle orecchie le note irriverenti dei valzer nei locali che animano la vita notturna della città o quelle più sobrie dei pianoforti nei cafè sparsi per il centro.
O ci si lascia avvolgere dalla nebbia mattutina che ricopre come un manto i cortili dell'accademia militare, nascondendo all'occhio i viali alberati del vicino castello di Schönbrunn; quella stessa accademia dove Henrik e Konrad si sono conosciuti quando erano ancora bambini e dove hanno trascorso la loro adolescenza, educati alla nobile arte della guerra e all'obbedienza incondizionata verso la patria e l'imperatore.
Ma tra tutte, l'immagine più suggestiva, quella che rimane impressa a lungo negli occhi di chi legge, anche perchè copre buona parte di tutto il romanzo, si svolge nel salotto della dimora dell'ormai anziano generale Henrik dove, seduti su due poltrone dinanzi al fuoco crepitante di un camino, lui e Konrad ripercorrono con la memoria gli eventi occorsi tanto tempo prima, 41 anni per la precisione, sino al giorno in cui dopo una battuta di caccia proprio nel bosco intorno a quel castello, Konrad fugge per chissà dove abbandonando tutto e tutti.
Ora i due uomini si ritrovano l'uno dinanzi all'altro per il resoconto finale, per far emergere la verità, perchè quella fuga improvvisa ed inaspettata di Konrad ha cambiato la vita non solo dei due uomini ma anche di Krisztina, moglie di Henrik.
Krisztina purtroppo non c'è più, è morta qualche anno dopo la fuga di Konrad; ma anche se fosse viva, non è da lei che Henrik vuole la verità, una verità che già immagina, palesata dalla ragione ma rifiutata ed allontanata dal cuore.
E' il suo amico Konrad che gli deve delle spiegazioni, è un suo diritto, in nome di quell'amicizia che li ha resi inseparabili per tanti anni, un vincolo che sembrava più forte di qualsiasi legame di parentela, inviolabile nella sua sacralità.
"La loro amicizia era seria e silenziosa come tutti i grandi sentimenti destinati a durare una vita intera."
Ma quel giorno qualcosa si è spezzato in quel legame e, ancora peggio, si è portato dietro come una valanga tutto ciò che nella vita di Henrik sembrava ben ancorato ad un punto fermo, consolidato, eterno come sperava fosse il suo amore verso Krisztina.
E' stato il suo orgoglio, forse, l'eccessiva sicurezza di sè, l'istintiva risolutezza e presunzione, ereditario retaggio delle sue origini nobiliari, che l'hanno reso cieco e sordo ai segnali provenienti dal mondo in cui viveva, dalle persone a lui più vicine.
Poi invece è stato sufficiente il rumore attutito proveniente della canna di un fucile alle sue spalle durante una battuta di caccia ad aprire il baratro sotto i suoi piedi.
Ed era Konrad che impugnava quel fucile, da cui nessun colpo è stato mai sparato; ma 'non si pecca solo mediante le azioni, bensì mediante l'intenzione che ci spinge a compiere determinate azioni. L'intenzione è tutto'.
Anzi l'intenzione è più importante dell'azione, perchè l'azione è una semplice conseguenza che si esplicita nei fatti, ma la verità è nell'intenzione: 'Il fatto della tua fuga è facile da stabilire, il suo motivo no. Puoi credermi se ti dico che in questi quarantun anni ho preso in esame tutte le ipotesi che potessero aiutarmi a capire il perchè di quel tuo passo incomprensibile. Ma nessuna di esse mi ha fornito una risposta. Questa può darmela soltanto la verità.'
L'immagine dei due uomini che così si ritrovano uno di fronte all'altro è descritta dall'autore in modo sublime, una prosa vivace, ricca di eleganti metafore che spesso regalano momenti di inaspettata poesia.
Sullo sfondo il fuoco delle candele e del camino, all'inizio caldo, scoppiettante, ardente come il falò di sentimenti che sino a quel momento bruciavano nel cuore di Henrik: rabbia, sete di vendetta ma anche sconforto, solitudine e profonda amarezza.
E come il fuoco brucia durante la notte sprigionando tutta la sua energia, allo stesso modo Henrik libera i suoi pensieri, a lungo repressi in attesa di quel momento, di quell'incontro faccia a faccia.
Già, perchè in fondo Henrik non necessita di parole, per lui sono sufficienti i gesti, le espressioni del volto, persino i silenzi di Konrad per intuire la verità tanto temuta; Henrik ha già le risposte a tutte le sue domande, sembra un lungo monologo il suo, ma sono domande che dovevano essere fatte ad alta voce e non più soffocate nel suo cuore.
"La cosa peggiore è soffocare in sè le passioni che la solitudine ha accumulato dentro. Chi fa così non fugge da nessuna parte, non ammazza nessuno. Allora cosa fa? Vive, aspetta, mantiene l'ordine nella sua esistenza.
Aspetta e basta. Aspetta il giorno o l'ora in cui potrà discutere ancora una volta di tutto ciò che lo ha costretto alla solitudine con colui o con coloro che lo hanno ridotto in quella condizione."
Ma ora cosa gli rimane? Niente. Polvere, cenere.
Ha atteso per ben 41 anni quel momento, ha perso il suo migliore amico che vigliaccamente è fuggito ai Tropici, ha perso la moglie amata e si è rinchiuso nella solitudine del suo castello, tenuto in vita solo dal desiderio di scoprire un giorno la verità.
E la verità emergerà, lentamente, parola dopo parola, ricordo dopo ricordo: 'Tu mi odiavi.'
Ma ora che la vita di entrambi volge ormai al termine quale importanza può più avere?
"Il fuoco purificatore del tempo ha eliminato dalla memoria ogni traccia di collera."
E dagli stoppini anneriti si leva il fumo delle candele ormai spente.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    17 Agosto, 2017
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Ceneri

«Il generale la osservava incuriosito, col busto ancora proteso. Le due vite fluivano assieme, con lo stesso lento ritmo vitale dei corpi molto anziani. Si conoscevano a fondo, più di quanto si conoscano madre e figlio, più di due coniugi. La comunione che univa i loro corpi era più intima di qualsiasi altro vincolo. Forse a causa del latte. Forse perché Nini era stata la prima a vedere il generale nell’attimo della sua nascita, coperto del sangue impuro in cui vengono al mondo gli uomini. Forse a causa dei settantacinque anni che avevano trascorso insieme, sotto lo stesso tetto, mangiando lo stesso cibo, respirando la stessa aria stantia della casa, con la stessa vista sugli alberi davanti alle finestre – avevano condiviso ogni cosa. Nessuna parola poteva definire il loro rapporto. Non erano né fratelli né amanti. Esiste qualcosa di diverso, e se ne rendevano oscuratamente conto. Esiste una fratellanza particolare che è più stretta e profonda di quella che unisce i gemelli nell’utero materno. La vita aveva mescolato i loro giorni e le loro notti, ciascuno dei due era consapevole del corpo e dei sogni dell’altro» p. 20

La vendetta. E’ soltanto per merito di questa che Henrik è ancora vivo. E adesso che Konrad ha scritto, è giunto il momento di assaporarne ogni aspetto, ogni gusto e retrogusto. La loro è un’amicizia che dura sin dalla nascita, è un sentimento indissolubile, che va oltre il canonico legame di sangue. Eppure, per quanto vicini, i due, non potrebbero essere più diversi. Differenti sono le origini sociali, differenti sono le disponibilità economiche, differenti sono i caratteri. Ed allora, com’è possibile, che essi siano al contempo così affini, così indivisibili, così uniti? E perché, ancora, quel legame si è rotto? Cosa è accaduto per far si che Henrik abbia aspettato ben quarantuno anni per la resa dei conti? Perché Konrad all’improvviso scompare senza dare spiegazioni e notizie? Perché il generale è sempre stato così certo del fatto che prima o poi questo sarebbe tornato per affrontare quei silenzi, quel “non detto” che a lungo è stato covato?
Un salone, la luce fioca delle candele, un camino, due poltrone, un buon vino. Tutto è come allora, eppure, nulla in realtà è come quei quarantuno lustri ormai trascorsi. Un confronto? Così dovrebbe essere, di fatto, un monologo composto di tante domande e di tante non risposte. Ad ogni conclusione si giunge per ragionamento, per logica, per mezzo di quei silenzi che non diventano mai parola. L’interlocutore non fa altro che assentire, sorseggiare la bevanda, abbandonarsi al flusso dei ricordi. Ieri e oggi. Chi eravamo e chi siamo.
Ed è così che Sandor Marai dona al lettore un elaborato che, con il suo lento incedere, offre emozioni che passano per memorie, asti, orgogli, amore, amicizia, umanità, sete di verità. Ancora ci sono la simbiosi con il pensiero e la mente dei protagonisti, la lealtà, il tradimento, e le braci. Le braci di quel volumetto che ormai è cenere, è bagliore fioco. E i due vecchi osservano; la scrittura di Krisztina è ormai polvere.
Caratterizzato da una prosa lineare ma articolata, da uno stile narrativo elegante, raffinato, ricercato che si articola tra ricordi, rimorsi e rimpianti, “Le braci” è un volume che si compone pian piano, è un puzzle in cui ogni pezzo si incunea e posiziona nella giusta casella. E’ semplicemente un capolavoro.

«Ma come tutti i baci umani anche questo, alla sua maniera tenera e grottesca, è la risposta a una domanda che non è possibile affidare le parole.»

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    06 Aprile, 2017
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Un mucchietto di braci

"Tutti sono scomparsi; che senso può avere, a questo punto, la vendetta?... Ecco la domanda che leggo nei tuoi occhi. E io ti rispondo con questa sola parola: vendetta! È stata lei a tenermi in vita, in tempo di pace e in tempo di guerra, nei quarantun anni trascorsi, è grazie a lei che non mi sono ucciso, non sono stato ucciso e non ho ucciso - così, almeno, ha voluto il destino. Adesso la vendetta è arrivata, come ho sempre desiderato. La vendetta consiste semplicemente nel fatto che sei venuto da me, attraversando il mondo in guerra e i mari infestati di mine, sei venuto fin qui, sul luogo del tuo misfatto, per rispondermi, per chiarire a entrambi la verità. Ecco qual è la mia vendetta. E adesso mi risponderai". Superbo nella prosa, affascinante nei contenuti, elegante nel lento incedere del racconto, Sandor Marai ci delizia con una storia delicata e seducente, incentrata sui sentimenti preponderanti dell'animo umano: l'amicizia, l'amore, l'orgoglio. Il racconto parte sornione, procede adagio tirando fuori ricordi, aneddoti, avvenimenti che, come piccole tessere, pian piano compongono quel mosaico che ci permette di capire. Ma capire cosa? Capire chi sono Henrik e Konrad e cosa c'è dietro l'amicizia che li lega. Un sentimento indissolubile, disinteressato, che irradia una luce mansueta, che non chiede soccorso e non esige sacrifici. Due esseri così diversi per carattere, origini sociali e disponibilità economiche, eppure incredibilmente affini, uniti, indivisibili. Capire perché Konrad scompare all'improvviso senza dare spiegazioni, senza dare più notizie, senza che l'altro si aspettasse neanche lontanamente un simile gesto. Capire perché Henrik lo abbia aspettato per quarantun anni, sicuro che l'amico sarebbe tornato e che ci sarebbe stata l'inevitabile resa dei conti. Ed eccoci qua con i due amici, in un salone illuminato dalla luce fioca delle candele e scaldato dal fuoco di un camino, accomodati in poltrona a sorseggiare del buon vino. Ad ogni sorso una domanda, un sospetto, un perché. Più che un confronto è un monologo, Henrik parla, sciorina ipotesi, fa domande e si risponde da solo. Konrad ascolta, annuisce, scuote la testa, tace. Ma i suoi non sono normali silenzi, sono delle vere e proprie risposte. La matassa si dipana, la situazione è ormai chiara, come spesso accade quando due amici si separano c'è di mezzo una donna. Ma c'è anche altro. C'è tutto ciò che ci si può aspettare da un buon libro. Ci sono le emozioni che ogni riga sa infondere nell'animo del lettore. C'è il gusto dolce e amaro dei ricordi. C'è la capacità di entrare nella mente dei protagonisti. Ci sono la vita e la morte, l'amore e l'amicizia, la lealtà e il tradimento. E infine ci sono le braci. "Con gesto lento butta il sottile volumetto nella brace. La brace si arroventa con bagliori foschi, accoglie la sua vittima e risucchia pian piano, fumando, la materia del libro, mentre dalla cenere si levano minuscole fiammelle. I due vecchi le osservano immobili, il fuoco si anima, sembra quasi che si rallegri per quella preda imprevista, ansima, scintilla, la fiamma balza verso l'alto fondendo la ceralacca del sigillo, e il velluto giallo brucia emanando un fumo denso e acre. Una mano invisibile sembra sfogliare le pagine color avorio; d'improvviso tra le fiamme appare la scrittura di Krisztina - le lettere aguzze e sottili vergate un tempo sulla carta da una mano ormai diventata polvere -, poi subito tutto si scompone e si dissolve in cenere come la mano che un tempo riempì quei fogli. Presto non rimane che un mucchietto di braci lucide e nere, come un pezzo di raso del colore del lutto".

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resme94 Opinione inserita da resme94    09 Marzo, 2017
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Braci è un libro breve, ma intenso.
L'inizio lento lascia scettici e fa pensare di abbondare il libro.
Ma la scrittura accattivante e le ottime recensioni mi hanno portata ad insistere.
La storia è incentrata sull'amicizia di Henrik e Conrad.
Due ragazzi con famiglie totalmente opposte, eppure con un forte legame che li unisce.
Ad un certo punto, le loro strade si separano e si rivedono dopo quarantun anni.
Il mistero del loro allontanamento avvolge tutto il romanzo e sarà svelato man mano.
Verso la metà, la vicenda prende vita e le tessere del puzzle s'incastrano.
Un ottimo lavoro, questo di Sandor Ramai, se non fosse troppo prolisso in alcune parti.
Questo, personalmente, ha diminuito il suo valore.


"Nell’intimo era rimasta selvaggia e indomabile: tutto ciò che le avevo dato io, un patrimonio, una posizione sociale, per lei contava ben poco, le importava unicamente salvaguardare quell’indipendenza interiore che formava la sua personalità più autentica e di cui non voleva cedere la benché minima parte al mondo in cui l’avevo introdotta."

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68 Opinione inserita da 68    29 Novembre, 2016
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Quale verità e quale destino?

...." Perché me lo domandi? Sai bene che è così ". È la fine di una lunga notte, vissuta tra attesa, ombre, ricordi, quesiti irrisolti e certezze da verificare, una notte attesa da quarantuno anni, che ha ricongiunto due uomini ormai al tramonto, la cui profonda amicizia era stata strappata e sepolta da un vuoto improvviso.
Un mistero tuttora irrisolto, una resa dei conti, un ultimo duello ( tra parole e silenzi ) al calare della notte e della vita, un dubbio atroce e l' idea di una possibile menzogna.
Eppure erano stati così vicini, in gioventù, pur nella propria diversità, stretti da un legame forte, unico, quasi fossero gemelli monozigoti.
Henrik e Konrad, l' uno ricco, estroverso, pragmatico, sicuro di se', dentro la vita, l' altro sensibile, con animo artistico, musicale, letterario, uniti da studi comuni, dalla dedizione all' arma e per vocazione e semplicemente per mestiere.
Quell' amicizia disinteressata, seria e silenziosa ( nel senso più vero ) quanto fatale e delicata, era un sentimento difficile da preservare, a fronte di una realtà futura occultata da ruoli, maschere e circostanze della vita.
Konrad è partito o forse scappato quarantuno anni prima, d' improvviso, senza un perché, quasi fosse un ladro, ha viaggiato per il mondo in compagnia dei propri ricordi, Henrik invece è rimasto, dedito alla carriera, macerato da un atroce dubbio e da un desiderio di verità e di vendetta.
Tra loro una donna, amata, adorata, condivisa, poi solo silenzio ed attesa. L' oggi non riserva piu' niente, se non un orgoglio ferito.
Henrik accoglie il vecchio amico nel proprio castello dando inizio ad un lungo monologo e ad una rappresentazione scenica che avrebbe come fine la ricerca di un senso ed un desiderio di vendetta di cui si è alimentato negli anni.
Il film della memoria ritorna, implacabile, un' attenta ricostruzione dei fatti, ed una vita vissuta in attesa di questo momento. Parole, parole, parole, di fronte a lui Konrad, un mistero inquietante, qualche cenno del capo, poche sillabe strappate ad un silenzio protratto.
Attorno una enorme casa silente e quei mobili grandi e massicci che custodiscono e si animano di ricordi. Ma sono i dettagli a fissare la materia essenziale dei ricordi, i fatti marginali non esistono, mentre in noi nasce e cresce il dubbio.
Quale senso ha la scoperta della verità, oggi, laddove il presente è cambiato, le circostanze mutate, come la storia, e noi stessi siamo giunti all' epilogo dell' esistenza?
Quale senso si cela in quell' orgoglio ferito e nella possibile vendetta, ed a favore di chi se non di noi stessi, abbandonati da tempo dall' amore della nostra vita? E che cos'è la passione, un desiderio di amore rivolto a qualcuno, buono o cattivo che sia, o per la vita nella propria interezza?
Nessuna risposta, perché risposta non c'è o non è necessaria. Spesso nominiamo l' amore e la passione, in realtà parliamo di noi e dei nostri sentimenti feriti.
Henrik e Konrad sono sopravvissuti al proprio ideale d' amore che li ha spinti a tradire, partire, restare, persino a desiderare di uccidere. Hanno scatenato un' assurda lotta intestina che beffardamente e crudelmente aveva già perso lo scopo primario, l' oggetto del proprio desiderio.
E, per assurdo, l' unico tradimento compiuto ed imperdonabile ha riguardato l' amore agognato.
In fondo sono uniti indissolubilmente dal proprio destino, in vita ed in morte, il mondo vissuto si è spento e quello nuovo non ha piu' senso.
Entrambi sono stati degli esseri spregevoli, orgogliosi, vili, petulanti, ed al tempo stesso muti. Hanno abbandonato il proprio amore partendo, con la semplice noncuranza ed il silenzio, commettendo un crimine per il quale non c'è pena, se non quella più grande, il logorio ed il tormento della coscienza ed il rimpianto della memoria.
Ancora una volta Marai scruta e scava in modo unico nell' animo umano guidandoci in un percorso crudo ed essenziale ma terribilmente vero e profondo. È una voce interiore che parla, così viva e presente, in cerca di una verità spogliata di apparenza e puro personalismo.
È un percorso di autoanalisi, autocritico, che diviene un thriller psicologico e svela, inesorabilmente e con un velo melanconico, una verità inoppugnabile ma terribilmente attuale ed universale.
Si parla dell' impossibilità di amare e di " vivere " come conseguenza di uno sguardo ristretto e parziale, il nostro, guidato da pulsioni egoistiche, da astrazioni immotivate e senso del possesso, da desiderio delirante, talvolta patologico, che nulla ha da spartire con il " bene " e l' amore verso l' altro, e, di rimando, verso noi stessi.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    07 Agosto, 2016
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Le candele bruciano fino in fondo...



Esistono dei libri di cui si parla tanto, che sembra tutti abbiano letto (tranne te), di cui hai sentito così tanti pareri (positivi e negativi) che, alla fine, sei quasi convinto di averli letti anche tu...ma non è così, non li hai letti. Purtroppo.
Questo libro, per me, è uno di quelli.
Sta lì da anni, lo guardo per un attimo, godo del bellissimo dipinto di Klimt in copertina, ma passo sempre oltre...fino al giorno in cui parlando con un'amica, mi sento rivolgere la fatidica domanda: "Non hai letto "Le braci"????"...e lì capisco che è arrivato il momento anche per me, che non posso più rimandare.
E quindi eccomi qui...pronta a rispondere a quella domanda: "Sí, ho letto "Le braci"...e me ne sono innamorata".
Di cosa? Dei personaggi? Della storia? Della scrittura?...non lo so...
So solo che sono stata completamente travolta dalle parole con la forza di un fiume in piena, così tante riflessioni, una dopo l'altra, da non darti neanche il tempo di metabolizzarle, da lasciarti un po' stordita.
Bisognerebbe avere la forza di fermarsi ad ogni pagina, chiudere il libro, pensarci su un paio di giorni, e poi andare avanti di un'altra pagina, chiudere...e così via.
Ma è impossibile...Marai fa in modo che s'inneschi una sorta di tensione emotiva che ti spinge a leggere, a sapere...perché tutto ruota intorno all'attesa di una "risposta".
Non voglio parlare di ciò che racconta il libro, finirei col dire che tratta il tema dell'amicizia tradita fra due uomini, di una sorta di resa dei conti aspettata per ben 41 anni...ma sarebbe riduttivo, non è così, è molto molto di più.
Il tema dell'amicizia fa da trampolino di lancio ad una marea di pensieri sulla vita, sul tempo dell'attesa, sull'infedeltà, sulla verità intesa non come lucida esposizione dei fatti, ma come motivazione, sulla colpa e soprattutto sulla sua intenzionalità, sull'orgoglio, sul coraggio, sul labile confine fra odio e amore, sulla vecchiaia, sulla morte...
Questo libro non si presta affatto a riassunti semplicistici, è troppo profonda la portata dei suoi contenuti...ed io non posso e non voglio, ma soprattutto non sono in grado di discernere a dovere...e poi perché? perche dovrei farlo se l'ha già fatto lui (Màrai) in modo meraviglioso?
Credo che la mia mente continuerà a girare intorno a queste pagine per lungo tempo...è una di quelle letture che continua a vivere in te anche dopo averla terminata, anzi, forse in questo caso "inizia" a parlarti e a scavare solo dopo aver chiuso il libro, perché prima sei troppo frastornato, ubriaco di parole...

"Le candele bruciano fino in fondo"...questo è il titolo originale del romanzo, che trovo affascinante, altamente simbolico e forse ancora più adeguato alle parole che vi sono scritte dentro.


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siti Opinione inserita da siti    29 Aprile, 2016
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L'inutilità del perchè

Il romanzo vive di un respiro narrativo condensato in recupero memorialistico e staticità narrativa. Nulla di nuovo accade se non l’evento che porta a innescare la scena e ciò basta per fa sì che tutto accada e che tutto si risolva dopo un’attesa di quarantun anni. Capire ciò che è stato non è affar da trattare, il focus è rappresentato non dagli eventi in sé ma dagli effetti che hanno prodotto. È come assistere ad un duello che non vede né vinto né vincitore. Una patta tremenda ma necessaria.

Un complotto fallito di una coppia di amanti? Una fuga solitaria? Il peso dell’inganno? La volontà di preservare, per quanto ancora possibile, un’amicizia?

Henrik e Konrad sono ormai due candele consunte: quanto la loro luce è riuscita a dare? Quanto il loro lento ardere ha prodotto? La metafora è richiamata da un titolo molto esplicito ( "bruciare le candele fino in fondo") che in traduzione si è lasciato cadere per focalizzare l’attenzione sulle braci che rappresentano il residuo delle passioni ormai sopite, il fuoco che divora una verità tanto attesa ma che non serve ormai svelare.
Konrad aveva lasciato l’amico e sua moglie in modo improvviso, senza preavviso. La sua partenza confermava un tradimento coniugale siglando la sospensione di un’amicizia antica e consolidata, nonché la cristallizzazione del tempo. I due amici continuano la loro esistenza, Krisztina muore dopo otto anni, persi marito e amante per sempre, il mondo, implacabile, muta d’aspetto: la prima guerra mondiale cancella l’impero, modifica i confini, fa tramontare un mondo che non ha più ragione di esistere. È infine in atto la seconda guerra mondiale. La vita è trascorsa, il mondo non le è necessario, l’esistenza è in fondo il nostro universo, è la piega che le facciamo assumere. Il nostro piccolo mondo è contenuto nel cuore, nell’anima, nelle passioni, nelle inclinazioni; a noi il compito di viverle con equilibrio: il cuore segnerà il passo, ciò che rimarrà sarà il sunto della nostra esperienza di vita.
Romanzo di facile lettura dallo stile limpido e terso, intenso nel contenuto originale e nella struttura, ha richiamato in me, in una estrema sintesi “Quel che resta del giorno” , “Il mondo di ieri” e le belle pagine di Roth .

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    04 Settembre, 2015
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La piena percezione dell'amicizia

Superlativo.

Un trattato filosofico sull'amicizia sotto forma di romanzo, una storia eccezionale come eccezionale è la vera amicizia, un sentimento talmente forte da essere una delle più nobili forme d’amore.
Il Romanzo di Marai è favoloso, ritengo sia uno dei più bei romanzi che io abbia mai letto. La storia di due amici che si perdono e si ritrovano, scritta con uno stile pulito ed equilibrato, semplice e piacevolissimo.
In tempi in cui tutto viene diluito e reso più tenue, anche l’amore e i sentimenti più nobili rischiano di diventare routine e normalità, la lettura di questo romanzo ci riporta alla dimensione naturale e più intima dell’Amicizia. Una storia che mi ha fatto riflettere su diversi aspetti della mia vita, mi ha fatto tornare all'infanzia, alle amicizie di un tempo, agli amici che ho perso di vista e a quelli che purtroppo non sono più con me. Mi ha aperto gli occhi sui rapporti e, con un po’ di “tristezza”, mi a fatto capire che sentimenti così intensi e veri sono sempre più rari, almeno per quanto mi riguarda.

La parte iniziale è una introduzione al contesto, una descrizione abbastanza particolareggiata degli ambienti, l’autore si sofferma sui dettagli e durante la parte centrale fa capire il perché i dettagli siano così importanti. Un crescendo di tensione fino alla fine, magistralmente tenuto in piedi da una tecnica narrativa eccezionale, un lungo dialogo più simile ad un monologo, scritto quasi come se fosse un continuo flusso di coscienza, ben organizzato e particolareggiato. La chiave di volta di questo dialogo è, a parer mio, sublime e straordinario, Marai descrive i pochi secondi di un evento, accaduto quarantuno anni prima, come se stesse utilizzando una lente di ingrandimento del tempo. Quei pochi secondi si espandono e noi percepiamo un intero universo di sentimenti, respiriamo l’essenza di tutta la storia, vediamo ogni singolo dettaglio, in una parola: Eccezionale.
Dopo aver letto questo passaggio ho avuta una piena percezione di tutto quello che mi circondava in quel momento, è stato come entrare in un’altra dimensione, una specie di sveglia emotiva, non riuscivo a staccarmi dalla lettura, è stata una sensazione bellissima.
L’attesa lunga una vita, l’attesa di quello che avrebbe potuto distruggere tutto diventa per paradosso l’unica ragione dell’intera esistenza, il senso unico e profondo dell’amicizia, la vita stessa.
Non trovo altri aggettivi per definire questo capolavoro di altissima Letteratura.

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Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    14 Luglio, 2015
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Boring.

SPOILER (?)

Premessa.
So che ha riscosso pareri più che entusiasti nella quasi totalità dei miei amici lettori, non di meno il mio giudizio è fortemente negativo. Sempre sul libro, ovviamente, mai sull'autore o i suoi lettori.

Romanzo iniziato e finito in una giornata. In genere, quando un romanzo di circa 200 pagine si legge un in giorno, vuol dire che il lavoro è stato piuttosto blando. Condizioni veramente ottimali.
Ci sono altre due cose che possono spiegare una lettura in un tempo così breve (per i miei standard, si intende):
1. Lettura assolutamente coinvolgente che “ti prende” tanto da impedirti di abbandonarla.
2. Lettura vischiosa ed irritante che ti costringe a finirla quanto prima, scrivere la recensione e non sentirne mai più parlare.
Ahimè (è proprio il caso di dirlo) sono decisamente orientata verso il punto 2.
La storia ci narra di due amici ormai anziani che si rivedono dopo 41 anni. Inseparabili fin dall’infanzia, si sono drammaticamente lasciati 41 anni prima, senza spiegazioni e senza saluti. L’autore adombra che vi siano un “segreto” e una risposta da dare che hanno atteso tutto questo tempo. Viene descritto il punto di vista di uno dei due “amici”, Henrik, che dopo la separazione ha continuato ad essere un soldato dell’Impero Austriaco ed ha sempre vissuto nel natio Castello dei Carpazi.
L’altro amico – Konrad – ha invece vissuto, in tutti questi anni, fra Londra e “i Tropici”.
Si allude anche alla presenza – sia nel segreto che nella domanda – della giovane moglie di Henrik, Krisztina.
Krisztina che è morta (anzi, “ha deciso” di ammalarsi e morire) 8 anni dopo la sparizione di Konrad e che, dalla sparizione in poi, non ha più visto (né ha più parlato) con il marito.
Hum.
Mumble mumble.
Due amici inseparabili, la moglie di uno dei due, brusca separazione, coniugi che non si parlano più, turpe segreto e domandone finale…
Ok, non è necessario fare una scappata a Baker Street, per interpellare Sherlock Holmes sulla faccenda. Lui, lei l’altro. È abbastanza chiaro.
Il triangolo, sì, l’avevo considerato.
E va anche bene.
Il punto non è la geometria; si possono scrivere bellissime storie, partendo dal “banale” triangolo (e da qualsiasi altra figura geometrica).
Basta caratterizzare bene i personaggi e inserirli in una storia che funziona.
Qui partiamo abbastanza bene, descrivendo l’infanzia di Henrik (ho amato particolarmente l’estate in Bretagna, temo per mie derive emotive) ed accennando alla storia d’amore dei suoi genitori.
Si adombra il tema centrale: ci sono persone – come Henrik e suo padre – fatte in un certo modo ed altre – Konrad, la madre di Henrik, Krisztina – che sono “diverse”.
Ma questo essere “diverse” non viene mai raccontato, al lettore. Questo essere “diversi” viene sempre detto e mai raccontato, né tanto meno vissuto.
Anche questo non è necessariamente un difetto. Ci sono scrittori geniali che con un’immagine e una suggestione riescono a rendere la complessità di personaggi e persino di categorie umane.
Marai ci prova.
Descrive l’esecuzione a 4 mani della Fantaisie Polonaise di Chopin (https://www.youtube.com/watch?v=ge1uw3UjoUQ) da parte di Konrad e della madre di Henrik:
“Era come se tutte le cose vecchie ed ammuffite, sepolte da tempo nei cuori umani, ricominciassero a vivere, come se nel cuore di ogni essere si annidasse un ritmo mortale che, ad un certo punto della vita, potrebbe mettersi a pulsare con implacabile violenza. Gli ascoltatori pazienti (sono Henrik suo padre) compresero che la musica rappresentava un pericolo.”
Il “demone” della musica rende diversi ed “inquieti” Konrad, Krisztina e la madre di Henrik.
Chopin era mezzo francese e mezzo polacco. La madre di Henrik è francese. La madre di Konrad era polacca… spiegata la diversità e morto lì il discorso.
Vabbe’.
Siamo speranzosi. Magari Marai non ci descrive i diversi, ma farà un lavoro encomiabile nel descriverci gli “uguali”. Sarebbe anche una scelta insolita e di certo interessante. Sappiamo tutto di Tristano e Isotta, ma qualcosa in più su Re Marco e Isotta dalle Bianche Mani, magari…
Speranze vane.
Gli “uguali” sono nello specifico quelli che si identificano e realizzano nel loro essere soldati dell’Impero (non a caso Henrik e il padre son di solito definiti con il loro grado: generale, il primo, ufficiale di guardia, il secondo) e, più in generale, quelli che aderiscono con precisione e gioia al loro destino (la balia Nini). Fine.
Vabbe’.
Magari me li inserisci in un plot spettacolare.
Anche qui il tentativo c’è.
I due ex-inseparabili si rivedono dopo 41 anni.
Konrad annuncia la sua visita.
Henrik prepara scrupolosamente la scena, mettendo in atto una replica perfetta dell’ultimo incontro avuto – in quello stesso castello – 41 anni prima.
Konrad arriva, i due si danno la mano, cenano.
Konrad – che è stato lontano – ragguaglia velocemente Henrik sulla sua vita ai Tropici. Henrik fa lo stesso con la sua vita.
Viene posta la questione della domanda.
E la domanda viene formulata.
Per circa 100 pagine.
Di monologo.
Di Henrik.
Quando finalmente la domanda viene formulata (“Krisztina sapeva che quella mattina, durante la caccia, avevi voluto uccidermi?”) e Konrad fa tanto di cercare di aprire la bocca e di rispondere, Henrik lo blocca.
Ha formulato male la domanda.
Henrik si prende una decina di pagine e riformula: “Krisztina sapeva che quella mattina nel bosco tu avevi intenzione di uccidermi?” (riformulazione che sarebbe riduttivo definire fondamentale, in effetti).
Konrad si avvale della facoltà di non rispondere.
“Va bene” replica Henrik.
Seconda domanda: “Cosa abbiamo guadagnato con il nostro orgoglio e la nostra presunzione? (…) non credi che non saremo vissuti invano poiché abbiamo provato questa passione?”
“Perché me lo domandi? – replica tranquillamente l’ospite (Konrad) – sai bene che è così.”

Capisco che messa così suoni quanto meno irrispettoso, però il mio primo impulso è stato osservare che potevano anche telefonarsi a casa e non tediare (me) per complessive 170 pagine di nulla (o di molto poco).
Ammetto di non essere una maratoneta della logica astratta, e, specialmente quando sto leggendo un romanzo, non mi vada di incartarmi in speculazioni filosofiche gesuitiche. Ammetto anche di avere una marcata insofferenza per lo psicologismo e tutti i costi e per le descrizione delle microscopiche variazioni cromatiche degli stati d’animo dei personaggi. Preferisco dedurle da sola dalle loro azioni.
Detto questo, però… mi è parso davvero troppo…poco.
Questo romanzo mi ha ricordato in maniera singolare “Lettera di una sconosciuta” di Zweig. A parte il numero 41 ricorrente, l’ambientazione, Vienna a prevalere è proprio questa sensazione vischiosa di incompiutezza e vacuità.
Vischiosa vacuità.

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Marco Caggese Opinione inserita da Marco Caggese    31 Gennaio, 2015
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La definizione assoluta di amicizia

Da oggi in poi sarà difficile trovare un libro che mi dica qualcosa di più completo sull'amicizia.
E sulla musica.
Un libro denso. Un racconto ricco di momenti palpitanti, di sacrificio, di dolore, di solitudine, di sentimenti immortali. Le braci è una storia quasi discreta, tanto realistica quanto sofferta, proprio come la vita vera sa essere.
Il protagonista è un anziano militare che da ragazzino conosce Konrad, coetaneo con il quale nasce un'amicizia viscerale, totale, apparentemente indissolubile e totalmente disinteressata, come solo l'amicizia vera sa essere. Tutto cambia quando tra i due amici trova spazio una donna, sposata dall'uno ed amata (?) dall'altro. La gran parte del racconto è improntato al racconto dell'incontro tra i due che avviene a distanza di quarantuno anni durante i quali nessun contatto vi è stato tra i protagonisti di questa storia.
Come possono, due persone che tanto si sono volute bene, tenersi distanti per così tanto tempo? E quale sarà il vero motivo per il quale si è creata una frattura tanto insanabile? E nel sentimento dell'amicizia, del quale ognuno di noi si sente fiero e certo, possiamo continuare a credere?
Sandor Marai non ci rivela verità assolute, ma ci spinge a riflettere mille e mille volte ed a trovare le risposte dentro di noi.
Questa è la storia di un uomo che, tradito (o almeno questo è quanto dovrebbe essere accaduto...), smette di vivere per 41 anni, tempo che impiega per metabolizzare il dolore che lo ha accompagnato per tutta la vita, rendendolo cieco ed ottuso, causando tanto dolore a chi lo ama.
Una lettura, quelle de "Le braci", che arricchisce, che fa pensare che ci costringe a trovare i significati in ciò che diamo per scontato, scritto meravigliosamente.
Un vero gioiello che consiglio a tutti coloro che non amano navigare in superficie.

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MALIKA Opinione inserita da MALIKA    16 Ottobre, 2014
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LA RESA DEI CONTI

Due migliori amici ultrasettantenni che non si vedono da quarantun anni, dal giorno in cui è accaduto qualcosa, il giorno in cui Henrik scopre che sua moglie ha una relazione con Konrad, l’amico d’infanzia e gioventù con il quale aveva diviso tutto eccetto la ricchezza, il giorno in cui Konrad abbandona l’amico e l’amante per vivere ai Tropici per non tornare che quarantun anni dopo. Lui, lei , l’altro: uno stereotipo collaudato in letteratura e venuto quasi a noia ma, a mio avviso, mai scandagliato così profondamente.
Prima opera che leggo dell’autore ungherese, ne sono rimasta affascinata. Pagine intere di sentimenti che emergono a poco a poco dalle parole di Henrik che vive relegato nella sua stanza a riflettere, a filtrare ogni attimo di quel passato che d’improvviso si è sentito scagliare in faccia dalle persone che più amava e di cui più si fidava. La trama è semplice, la suspence sempre presente e crescente e una crudezza nei lunghi discorsi di Henrik davanti alle braci del camino che fa agghiacciare l’anima. La rabbia, il risentimento, l’infedeltà, la trasgressione, la delusione sono tutti sentimenti che si susseguono nel racconto di un passato che non trova tregua e non trova risposte. Ed ora tutto è a portata di mano: dopo quarantun anni e quarantatrè giorni, Konrad torna solo per dargli quelle risposte che lui cerca ed Henrik è consapevole che sono sopravvissuti entrambi alle guerre, alla morte della donna che amavano, ai Tropici solo per vivere quel momento. “Tutto ritorna, le cose e le parole girano in cerchio, talvolta fanno il giorno del mondo, poi un bel giorno si incontrano, si riuniscono e il cerchio si chiude.”
Henrik ripercorre gli anni e gli attimi con lo sguardo di un’aquila, un’aquila vecchia però, che è in grado di vedere ben oltre l’apparenza per riuscire a comprendere dove è nato l’inganno e quando. Ma poi è lui stesso a chiedersi quanto possa mai importargli “dei segreti della casa di uno scapolo, dei dettagli stantii di un caso di infedeltà coniugale, dei segreti ammuffiti di un’alcova (…), la vita intima di una donna ormai defunta e quella di due vegliardi che si avviano con passo incerto verso la fossa”. E potrei continuare a lungo a citare parole talmente profonde che scavano in fondo, ma non avrebbe senso. E’ un libro che va letto lentamente e assaporato, parola per parola, perché le risposte ad Henrik arrivano, ma non dalla voce. Sono semplicemente le reazioni di Konrad alle domande a rappresentare una risposta. E tutto questo resta quasi in sospeso lasciando nel lettore il retrogusto amaro del non detto, unica nota spiacevole. Forse, in fondo, l’amicizia era (e resta) talmente forte che bisognava solo regolare i conti, talmente forte che, se i conti fossero stati regolati quarant’anni prima sarebbe stato devastante. Solo quando gli anni non si contano più addosso, si perdono le passioni giovanili e si comprende. Si comprende davvero. “Si invecchia senza risentimento.”
Rileggerò presto questo libro e forse, crescendo nel tempo e nella mentalità, riuscirò a comprendere anche quel qualcosa rimasto in sospeso, perché non c’è dubbio che l’esperienza migliora anche la capacità di leggere, ma non dimenticherò mai l’importanza di un libro che mi ha aperto gli occhi su una lezione di vita: Henrik, nella sua solitudine, si rende conto che sua moglie e il suo migliore amico erano due anime simili e affini con in comune anche l’amore per la musica (questo gli pare una evidente manifestazione di una sensibilità diversa) e che in quella diade non c’era posto per lui. Il tempo gli ha spiegato con calma che esistono due categorie di persone “i rapporti tra l’uomo e la donna, l’amicizia, le relazioni mondane dipendono da questo, dalla diversità che divide il genere umano in due parti. E come le persone appartenenti allo stesso gruppo sanguigno sono le uniche che possano donare il loro sangue a chi è vittima di un incidente, così anche un’anima può soccorrerne un’altra solo se non è diversa da questa, se la sua concezione del mondo è la stessa, se tra loro esiste una parentela spirituale”. Quanto questo è tremendamente vero!

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Portoro Opinione inserita da Portoro    05 Agosto, 2014
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La persistenza

“Le braci” è il libro della persistenza: per vocazione è destinato a restare al mondo, e lo merita, perché è un capolavoro.
Questo è un giudizio di valore che non osserva la mera struttura dell’opera (un lavorio paziente sulla suspense) o lo stile (di rara purezza), ma l’avvicinamento ai grandi temi dell’umanità, il modo in cui risuonano, caldi, pagina dopo pagina, tratti dal metallo freddo di un’arpa.
La prima parte, col flashback sulla fanciullezza dei due amici, s’avvale d’una lentezza maestosa, un po’ ottocentesca, ma senza i cedimenti o la prolissità che, talvolta, caratterizzano le recrudescenze di quel secolo: è un realismo in cui i travi d’una casa di famiglia scricchiolano, e fuori, la vecchia campagna crepita al sole. Quando la temperatura scende, ci si ritrova in penombra, coi pendoni spessi di una tenda, i bracci dei candelabri che già attendono i ceri; e alla parete, una sequela di ritratti a olio, con uno spazio vuoto...
Ogni elemento descrittivo è vivido, reso elegante da uno sguardo che s’è allenato nell’isolamento, e col ricordo. Il protagonista stesso, un generale supersite dell’Impero asburgico (e della cultura mitteleuropea) ha trascorso quarantuno anni in attesa: sapeva che il suo amico Konrad sarebbe tornato, e il momento è giunto (in un contesto serale, d’imminente congedo: perfetto e, forse, inutile).
L’incontro costituisce la seconda (altrettanto bella) parte del romanzo: è un monologo-retrospettiva degli inavvertiti sfaldamenti di quella amicizia, uno sparso rosseggiare di braci in lungo e in largo – con una donna ormai defunta, la moglie del generale, che adesso impone degli interrogativi e l’istruzione di uno struggente processo alla vita. Tutto verte sul destino, su una radice inestirpabile che determina l’Uomo, lo condanna a un’identità e, in un certo senso, all’Errore.
Le braci ne rappresentano, appunto, la tenue sopravvivenza – quel residuo passionale, d’attaccamento e di senso di proprietà, che si mantiene nella memoria di quanto si è perduto.

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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    23 Febbraio, 2014
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Fuori dal mondo

Un lungo, intenso soliloquio, con parole pronunciate quasi sottovoce, in una notte davanti al fuoco del caminetto. Parole chiare, precise, cristalline, che vanno dritte al bersaglio, che traggono potenza ed energia dalla lunga attesa, che si sono incise nella mente e nel cuore di chi le pronuncia da oltre quarant’anni. Quarantun anni e quarantatre giorni, per la precisione.
Un interlocutore che ha trascorso una vita ai Tropici e si chiama Konrad (del resto, l’unico suo contributo alla conversazione è una suggestiva descrizione del mal d’Oriente, descrizione che sembra tratta dal grande romanziere polacco). E anche il nostro Konrad ha ascendenze polacche ed è perfino lontano parente di Chopin. La musica, la sensibilità, la “diversità”, la fedeltà ai principi o alle proprie passioni, il senso profondo dell’amicizia, l’odio, il tradimento, i diversi tipi di fuga, di silenzio e di allontanamento dal mondo, che poi sono un modo diverso per celebrare la passione che ha dato il senso alla nostra vita.
Sono questi gli ingredienti principali di un romanzo tutto al maschile, un duello preparato meticolosamente, una caccia interrotta quarantun anni prima che riprende sotto altre forme, con lo stesso gusto per i preparativi, lo stesso piacere sensuale nel dirigere l’arma verso la vittima, arricchito e potenziato dalle riflessioni amare di una vita. Due sole figure femminili di rilievo. Una è poco di più di un fantasma, totalmente funzionale alla storia e alla vivisezione dell’anima dei due protagonisti. La seconda sembra una figura allo stesso tempo concreta e magica, fragile e dotata di poteri paranormali: appare e scompare, e segretamente sorveglia, dall’alto dei suoi novantun anni, che i due ragazzi quasi ottuagenari non si strapazzino troppo. Perché ci vuole sempre, nella vita, una presenza saggia che controlli le nostre passioni e ci chieda se ne vale davvero la pena, che ci ricordi che quando il fuoco smetterà di ardere ci troveremo infreddoliti e a disagio, con tutte le medesime domande di senso di prima.

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Emilio Berra Opinione inserita da Emilio Berra    10 Febbraio, 2014
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Dalle braci grande fiamma

Siamo nel 1940, quando già divampa la Seconda Guerra mondiale. Due uomini di 75 anni si fronteggiano nella sala del castello di uno di essi (il Generale). Sono 41 anni che i due non si vedono (erano intimi amici fin dall'adolescenza benché, o forse perché, molto diversi: uno ricco, razionale, 'militaresco'; l'altro di famiglia non abbiente, di temperamento artistico, amante della musica).
Perché un così lungo periodo di voluto allontanamento? Che cosa è successo?
Fra di loro c'è l'impalpabile presenza di una donna, ormai defunta da decenni: Questo bel fantasma ha sicuramente segnato la vita dei due.
Ora il Generale ha delle questioni da porre, le quali da strettamente private diventano esistenziali. Ed è proprio questo "afflato cosmico", presente nel romanzo', che colloca Marai fra i Grandi della letteratura.
In quel freddo salone del castello, le braci non ardono solo nel caminetto, ove sono presenze non solo metaforiche, pronte a divampare in fiamme che annientano.
Il ritmo incalzante della scrittura inchioda il lettore, in un clima di crescente tensione, fino all'ultima pagina. L'atmosfera, benché inquisitoria, potrebbe essere definita di sontuosa seduta analitica, in cui il Generale, dopo decenni di solitarie e dolorose elaborazioni mentali, esplicita le proprie 'scoperte' su questioni per troppo tempo tenute sotto la cenere. La narrazione avanza in modo inesorabile: dettagli trovano la loro collocazione nel contesto di una vita, e sono tali da sorprendere, scioccare, devastare. Le domande esistenziali, che vengono poste, inquietano: riguardano l'esile confine fra amore e odio, il ruolo delle passioni e l'oggetto di esse. La ragione qui non è sufficiente: le sue ragioni schiudono piuttosto nuovi interrogativi.
C'è, però, un altro personaggio femminile, nel contempo reale e simbolico, ad essere punto fermo e rifugio affettivo nelle vita del Generale: personaggio vivo ('ancora vivo'), in carne ed ossa (ossa, soprattutto): è la vecchissima balia (che l'ha visto nascere e l'ha allattato), di età si direbbe indefinibile e leggendaria (in realtà ha 91 anni), ancora capace di accogliere, comprendere, consolare: lei gli fa il Segno della Croce; lui le dà un bacio: "come tutti i baci umani, anche questo (...) è la risposta a una domanda che non è possibile affidare alle parole".

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mariaangela Opinione inserita da mariaangela    27 Ottobre, 2013
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LA COLPA VIENE PRIMA, LA COLPA E’ NELL’INTENZIONE.

Non so se vergognarmi, mi vergognerei di più se non lo ammettessi, ma questo romanzo l'ho trovato terribilmente noioso. E più procedevo nella lettura e più questa sensazione invece di scemare si accentuava. O forse non l'ho capito. O non mi è arrivato. Ma l'ho trovato molto freddo.

La storia narrata è molto bella, ed è narrata in un modo tale da suscitare una forte curiosità, non mi sarei mai aspettata la piega che poi invece ha preso. Ma lo stile eccessivamente lento me lo fa giudicare alla fine noioso.
Bella la storia della loro amicizia, il racconto delle giornate trascorse sempre insieme condividendo ogni momento e ogni emozione.
Molto toccante il racconto che Konrad fa all’amico, dei sacrifici che i suoi genitori affrontano per lui, privandosi di tutto per dare a quel figlio ciò che a loro evidentemente è mancato.
Sorprendente come una storia di immensa e straordinaria amicizia possa invece nascondere sentimenti di invidia, desiderio di essere diversi da ciò che si è. E' quanto di peggio possa capitarci. "L’unico modo per sopportare la vita è quello di rassegnarci a essere ciò che siamo ai nostri occhi e a quelli del mondo. Questo è il segreto. "

Tuttavia Marai rende giustizia a questo sentimento, lo riscatta, lo innalza al di sopra di tutto, non lo banalizza mai, l'amicizia vera, forte, pura, unica, immensa, disinteressata, perché esiste, e può durare una vita intera, lunghissima, come nel caso di Nini ed Henrik...ed è un'altra storia.

“Il generale la osservava incuriosito, col busto ancora proteso. Le due vite fluivano assieme, con lo stesso lento ritmo vitale dei corpi molto anziani. Si conoscevano a fondo, più di quanto si conoscano madre e figlio, più di due coniugi. La comunione che univa i loro corpi era più intima di qualsiasi altro vincolo. Forse a causa del latte. Forse perché Ninì era stata la prima a vedere il generale nell’attimo della sua nascita, coperto dal sangue impuro in cui vengono al mondo gli uomini. Forse a causa dei settantacinque anni che avevano trascorso insieme, sotto lo stesso tetto, mangiando lo stesso cibo, respirando la stessa aria stantia della casa, con la stessa vista sugli alberi davanti alle finestre - avevano condiviso ogni cosa. Nessuna parola poteva definire il loro rapporto. Non erano né fratelli né amanti.
Esiste qualcosa di diverso, e se ne rendevano oscuramente conto. Esiste una fratellanza particolare che è più stretta e più profonda di quella che unisce i gemelli nell’utero materno. La vita aveva mescolato i loro giorni e le loro notti, ciascuno dei due era consapevole del corpo e dei sogni dell’altro.”

E’ strano leggere parole così intense non dette tra innamorati. Ma l’amore ha mille volti e mille sfaccettature. Siamo noi che lo banalizziamo.

I FATTI NON SONO LA VERITA’.

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silvia t Opinione inserita da silvia t    18 Agosto, 2013
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Le braci

“A gyertyak csonking egnek” è il titolo originale e credo che racchiuda in se stesso l'essenza di questo romanzo, alla lettera: "bruciare le candele fino in fondo".
Per quanto la trama sia interessante e il tema molto accattivante, ciò che spicca è lo stile; veloce e immediato, nel leggerlo sembra di nuotare in apnea e le pagine anche lontane dagli occhi non abbandonano il lettore, la voglia è quella di capire, di sapere, di scoprire; Marai in modo a dir poco magistrale centilina le informazioni e in sostanza tutta la struttura del romanzo di consuma in un monologo di uno dei due protagonisti.
“Le braci”, titolo col quale è stato tradotto in italiano fa riferimento ad un passaggio fondamentale della vicenda, ma non richiama in modo esatto il tema di fondo; questo romanzo è considerato un inno all'amicizia, ma l'impressione finale è che di questo sentimento ci sia ben poco tra i due protagonisti ed è forse in questo senso che la traduzione italiana trova la sua motivazione: passioni, emozioni e sentimenti che rimangono sopiti, ma che con un alito di vento divampano ancora dopo quarantun anni.
Il numero ridotto di personaggi porta ad immaginare la vicenda su un palcoscenico di teatro creando un'intimità tale da far respirare la tensione che si crea e scandita solo dai rari rumori notturni e dal lento albeggiare.
I personaggi sono caratterizzati in modo perfetto, anche se del tutto opposto; Henrik in modo preciso, quasi didascalico; la luce si posa su ogni sfaccettatura della sua personalità, facendo comprendere e giustificare ogni suo singolo pensiero e facendolo divenire specchio per la compressione dell'amico Konrad che quasi non parla ed è descritto attraverso il racconto del padrone di casa, ma sono le poche laconiche parole che ne fanno capire la personalità articolata e sensibile.
Henrik pretende che sulla tavola ci siano delle candele azzurre (quelle del titolo originale), le stesse che erano presenti quarantun anni prima, l'ultima volta che i due si sono visti; queste si fanno testimoni e simbolo di antichi rancori, di antiche recriminazioni e la durata del racconto si consumerà in quel tempo, fino a quando la flebile luce generata dalla cera lascerà il posto a quella ben più intensa del sole estivo, metafora di ciò che tra i due è avvenuto; così come dell'antica candela non resterà che una pozza di cera e la luce sarà ormai spenta così gli antichi rancori saranno spazzati via dal lungo racconto, ma l'amicizia tra i due non tornerà mai più a brillare.
Alla conclusione del volume rimangono molti dubbi, perché quasi niente è confermato e capire chi dei due sia stato mosso dall'amicizia più sincera è assai difficile da affermare e rimane oggetto di riflessione molto intima.
C'è un altro personaggio, oltre alla donna che sta alla base dell'allontanamento dei due, forse unica nota stonata di tutta la vicenda, movente così scontato e banale che non rende giustizia alla maestosità della struttura del romanzo, la balia di Henrik. Nini ha novant'anni ed è la depositaria di tutti i segreti, di tutti i sospiri del castello e della vita del padrone; l'amicizia tra i due è davvero incondizionata e pura, indissolubile e tenera; il sentimento che corre è insaziabile e privo di ogni accezione negativa.
In conclusione un testo che rimane dentro, un stile che lascia senza fiato, una trama che induce a moltissime riflessioni su quel sentimento così incomprensibile e raro che è l'amicizia.

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paola melegari Opinione inserita da paola melegari    30 Giugno, 2013
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dimmi la verità

L’amicizia ,in tutte sue sfumature . Non saprei definire questo romanzo con parole più azzeccate.

Henrik di nobile famiglia,il padre generale della guardia del re, famiglia ricca che possiede terre e un castello in Ungheria,viene mandato in collegio, per seguire le orme paterne. Qui conosce Konrad, di modeste origini e saranno amici inseparabili. L’amicizia sarà suggellata dal benestare del generale. I due crescono diventando ufficiali della guardia, pur avendo diverse levature sociali, e diverso modo di affrontare la loro giovinezza. Henrik, si godrà la vita notturna di Vienna, dove dividevano un appartamento, mentre Konrad farà vita ritirata leggendo rintanato in casa.
Ognuno di loro conduceva la vita che era permessa dai loro rispettivi patrimoni. Unica cosa non condivisa la passione per la musica classica. Konrad, l’ha nel sangue, è un discendente di Chopin.

Passano più di quarant’anni, i due non si sono più rivisti, qualcosa di molto grave è successo fra loro. Dopo il matrimonio di Henrik con Krisztina nonostante si vedessero con assiduità, ad un certo punto Konrad fugge, senza lasciare nessuna spiegazione.
Non posso raccontare di più sugli sviluppi, per non rivelare troppo sulla trama.
Dicevo, dopo quarantuno anni i due ex ufficiali si rivedono al castello, un incontro atteso da entrambi, entrambi sono sopravvissuti l’uno ai tropici e l’altro al rancore provocato dal desiderio di vendetta , solo per questo momento.
La relazione più intima fra due persone, l’amicizia. L’eros non quello delle inclinazioni omosessuali, l’eros dell’amicizia, che non ha bisogno di corpi anzi lo disturbano, più di quanto lo attraggano. Questo era ciò che li univa, e con stupore li unisce tuttora, dopo quattro decenni, una vita, un lunghissimo tempo senza essersi più scambiati nemmeno una lettera. Eppure entrambi hanno atteso questo momento, come poteva non accadere!
Il generale afferma di voler vedere Konrad perché deve sapere, avere delle risposte.
In realtà ha già tutto ciò che gli serve per avere risposte ai quesiti che lo assillano da quasi mezzo secolo. Aspettava questo momento , la vendetta era il suo obiettivo. Non sarà così. Sa già tutto, non ha bisogno di spiegazioni, quando pone la domanda chiave a Konrad, non gli permette di rispondere, non voleva risposte!
Secondo ciò che io ho capito, voleva solo rivedere l’amico, colui che, forse ha meditato la sua morte, colui che forse gli ha rubato l’amore della sua vita, che per codardìa è fuggito distruggendo un matrimonio e una relazione extraconiugale. Ma l’amicizia ha vinto su tutto, non c’è più rancore ,odio, desiderio di vendetta.

La cosa davvero importante è rivedere l’amico, unico grande, al quale forse si può perdonare davvero tutto. Si può lasciarsi morire ora, non serve più stare ancora insieme. L’importante era rivedersi chiarire cose che non si sono chiarite. Erano già evidenti .

Bellissima la descrizione della battuta di caccia, le emozioni del cacciatore non sono mai state così chiare, per me, che sono contraria alla caccia. Le sensazioni provate da Henrik quando Konrad gli stava a pochi metri nella la foresta davanti ad un cervo, con il fucile dell’amico puntato; descritte così magistralmente da Marai.
E dire che non mi aveva preso per il primo quarto, poi la narrazione è stata tutto un crescendo, non potevi smettere di leggere.
Si tratta praticamente di un monologo da un certo punto in poi. Konrad poteva non esserci,sarebbe stato uguale. Le sue risposte sono quasi impercettibili. Sembrano sussurrate, la sua presenza era il segno della loro amicizia che nonostante i fatti gravi accaduti, non era stata scalfita.
Così ho vissuto questo romanzo.
Paola Melegari

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anna karenina
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JUNE Opinione inserita da JUNE    10 Marzo, 2013
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BRACI LUCIDE E NERE COME UN PEZZO DI RASO..

Insomma era un bel po’ che Sándor Márai , vestito nella sua copertina cremisi,imbastita con il delicato ritratto di Emilie Floge di Klimt mi strizzava l’occhiolino ma io distrattamente,anche un po’ indispettita,se devo essere sincera, mi rivolgevo ad altro.Illogicamente non volevo cedere al suo civettuolo protagonismo tra gli scaffali,come se volesse ingannarmi perché lo si trovava ovunque..(che cosa terribilmente sciocca,io sono sciocca!)
Fino a quando,una settimana fa, ho ritrovato il prezzemolino di anni addietro (probabilmente aveva avuto dei mesi di protagonismo) in un angolo stropicciato e lontano,con le pagine languide e piene di malinconia ,l’ho raggiunto e ho ceduto prendendolo tra le mani, pensando “mmm ora vediamo”

Fin dalle prime pagine mi conquista,la prosa è scorrevole e ricca,un impetuoso soliloquio,una potenza emotiva,viscerale si dipana nel capire i frammenti e il mistero di che cosa sia accaduto,di che cosa sia composta l’alchimia che fa sgretolare e riconfermare nel finale un legame cosi amniotico che scorre tra i protagonisti.
Per me questo libro sorvola il semplice racconto di un rapporto d’amicizia,di un ritrovamento di due anime malinconiche in un fuoco senile e atterra in un luogo indefinito e in continuo movimento tra le sfaccettature di questo legame che nello stesso momento che si marchia a fuoco perde i contorni per farsi pretesto nel vedere il fantasma della vita che con la sua camminata dinoccolata si fa spazio nel suo autodafé quando si ama qualcuno,quando si viene profondamente feriti,quando non si possono spiegare razionalmente le pulsazioni più ineluttabili e poliedriche.
Ho adorato la lucidissima consapevolezza finale e la certezza istintuale di sapere la verità ma non una verità o la risposta a delle domande che darebbero dei responsi sicuri e concreti,se no che fantasma di cenere vivente sarebbe il fuoco della vita?

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*Monica* Opinione inserita da *Monica*    12 Febbraio, 2013
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LE BRACI

Henrik e Konrad, due uomini che in gioventù erano stati inseparabili, si rincontrano dopo 41 anni. Non si vedevano infatti dal giorno della battuta di caccia che cambiò la loro vita e condannò la loro amicizia. Entrambi sapevano che sarebbe giunto quel momento, ed era stata l'attesa di questo incontro chiarificatore a tenerli in vita.

" Si trascorre una vita intera preparandosi a qualcosa. Prima ci si sente offesi e si vuole vendetta. Poi si attende. Ma molto tempo, ormai, attendeva. Non sapeva più a che punto il risentimento e la sete di vendetta si fossero trasformati in attesa".
L'attesa e la vendetta sono i temi centrali del romanzo. Ma il tempo spegne il fuoco dei sentimenti, lasciando soltanto le braci. Il lungo monologo di Henrik ripercorre la storia dell'amicizia tra i due, scavando con precisione nel profondo dell'animo dei personaggi e creando un clima di crescente tensione fino all'epilogo. Un libro intenso e coinvolgente che contiene interessanti riflessioni sull'amicizia e sull'amore.

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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    16 Gennaio, 2013
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Ambiguità

Il libro sembra debba spiegare cosa è successo veramente 41 anni prima nel triangolo costituito dal generale, dall'amico del cuore, il musicista Konrad e dalla moglie del generale, ormai morta da tempo. Sembra che lo scopo del generale sia fare chiarezza sul presunto tradimento degli altri due, per ricostruire non tanto la verità dei fatti, ma soprattutto quello che i fatti non possono dire. Il generale dichiara di cercare in qualche modo la vendetta. In realtà presto il lettore si accorge che tutto si cerca meno che la verità (né tanto meno la vendetta). Non è il presunto tradimento la colpa più grande dell'artista ma la successiva fuga ai Tropici e la lontananza durata 41 anni, anni durante i quali la vita di entrambi è scivolata via senza valore in attesa dell'incontro finale chiarificatore.
Probabilmente la verità la si sfiora, la si intravede ma resta sempre nell'ombra senza venire mai allo scoperto. L'amico Konrad, che sembra venuto apposta per una spiegazione (non poteva non venire, dice) finisce per non rispondere a una delle due domande dell'altro mentre alla seconda dà una risposta laconica. Si inizia a intuire che la verità in fondo non ha nessuna importanza. La moglie ha cercato di dirla(ma lui non le ha mai più voluto parlare dopo la partenza dell'altro), l'ha scritta in un diario che il generale non ha mai aperto (ma avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento) e che brucia nel fuoco davanti all'amico. Perché, se non per dimostrare che quella verità non conta, che la verità nascosta è un'altra?Cos'ha quest'altra verità di così sconvolgente, di così indicibile o forse inafferrabile, da far puntare all'uno il fucile alla tempia dell'altro durante una battuta di caccia? Il problema viene tirato in ballo già all'inizio della storia quando si descrive la profonda e disinteressata amicizia tra i due protagonisti e viene posto il dilemma se essa debba contenere dell' Eros. In un rapporto così grande, così importante da sembrare eterno, così generoso e perfetto è forse già presente il baco, la bomba a orologeria che segnerà la fine dell'amicizia o dell'esistenza di uno degli amici. Per sopravvivere o per far sopravvivere quel rapporto diverso è necessaria la lontananza, che in ogni caso rende la vita di ognuno dei due come un perenne esilio. Bellissima la descrizione della vita ai tropici, o del castello morto in cui tutto riprende vita solo per quel giorno, solo per quella visita. E' quella la famosa vendetta? Dimostrare che il tempo si è fermato a quel giorno, il giorno della fuga?
Alla fine il tradimento, se davvero c'è stato, diventa un aspetto marginale della storia in cui la donna se ha tradito, è stata in un certo senso più che altro tradita da entrambi, usata come elemento di collegamento tra i due poli opposti di un circuito elettrico. L'unica cosa che conta è, alla fine, l'esistenza di quell'amicizia, l'unica verità certa. Perché il generale non rimprovera all'amico il tradimento, l'insincerità ma il non aver continuato a mentire mentre l'artista ha lasciato la carriera militare, la sua patria e i due amici perché si è stancato di portare una maschera. Dunque le due posizioni si sono fatte nel tempo e sono ancora inconciliabili e i due sono destinati a non incontrarsi perché l'uno è venuto per dire finalmente la verità ma l'altro non la vuole ancora sentire (brucia il diario).Dunque tutto resta solo nebbia per il lettore e per i due protagonisti. Anche alla fine del libro.
Lo stile di Marai è superbo, solo lui riesce a condurre quei monologhi lunghissimi senza annoiare il lettore ma inchiodandolo al libro senza fiato. Da leggere!

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Marai (La donna giusta)
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Opinione inserita da fulvio    05 Gennaio, 2013

Un gioiello

Difficile non dare commenti entusiastici a questo romanzo: potente, efficace, coinvolgente nel racconto della storia di due amici e della donna che li unisce e li divide. Il monologo del protagonista, che praticamente occupa tutto il romanzo, scava con chirurgica precisione nell'animo di tutti e tre, cercando di rispondere alla domanda: "Si conosce veramente chi si ha vicino" ?
Da leggere assolutamente

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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    23 Dicembre, 2012
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Le braci: un trattato sull'amicizia

“Le braci” di Sándor Márai fu pubblicato per la prima volta nel 1942. Più che un romanzo, lo definirei un trattato sull’amicizia: in questa prospettiva si possono riscontrare alcuni punti in comune tra l’opera di Márai e il De Amicitia di Cicerone.
La scena, e mi si conceda il termine “scena”, dal momento che la narrazione ha un’impostazione teatrale, con pochi personaggi e un lunghissimo monologo interrotto solo da brevi battute, si apre sulla visita del generale-protagonista alla cantina del suo castello per spostarsi immediatamente, solo dopo qualche riga all’interno del castello stesso.
Il luogo è estremamente importante: una sorta di microcosmo, avulso dal resto del mondo, dove i personaggi hanno trascorso le loro vite dibattendosi tra passioni, amori, odi e dove è giunto attutito il rumore di cadute di imperi, di rivoluzioni e guerre: dei tragici eventi, cioè, che sconvolsero il mondo esterno all’inizio del novecento.
Dopo quarant’anni di separazione il generale si accinge a ricevere e a rivedere l’amico Konrad a cui era stato legato da un’amicizia profonda interrottasi per cause che al lettore non è dato conoscere, almeno per il momento.
Di ciò che sia accaduto tra le mura di quel castello sembra essere a conoscenza solo la vecchissima balia Nini, testimone e depositaria della verità.
L’incontro tra il generale, il cui nome è Henrik, e Konrad vuole essere, probabilmente nelle intenzioni di entrambi, chiarificatore d’una separazione improvvisa e apparentemente incomprensibile. Esso offre certamente lo spunto per approfondire il concetto di amicizia, ponendo un drammatico interrogativo: può davvero esistere l’amicizia?
Qui si inserisce il lungo monologo di Henrik, che rievocando le esperienze della vita che i due giovani hanno condiviso, si sofferma su speculazioni di tipo filosofico sulle condizioni che permettono all’amicizia di resistere al tempo.
È subito chiaro che Henrik e Konrad sono completamente diversi l’uno dall’altro: Il primo è di gracile costituzione, ma ciononostante assolve il suo compito d’ufficiale con scrupolo e passione, ama la caccia e le frivolezze della vita; il secondo Konrad, il cui fisico sembrerebbe più idoneo ad affrontare la carriera d’ufficiale, considera questa solo un mestiere, un mezzo per sopravvivere, mentre la sua natura lo porterebbe piuttosto a coltivare le arti e in particolare la musica.
Henrik e Konrad. La caccia e la musica. La ricchezza e la povertà.
Qui dunque il primo interrogativo: può esistere amicizia tra esseri tanto diversi?
Henrik afferma di essersi sempre adattato allo stato di inferiorità sociale dell’amico, offrendogli la possibilità di condividere con lui le sue disponibilità.
Nel De amicitia di Cicerone (XIX cap) troviamo un concetto del tutto simile : “Ma requisito essenziale dell’amicizia è che il superiore si faccia inferiore.”
Henrik si chiede se l’amicizia esista veramente e su cosa si fondi: sulla simpatia? Troppo poco. C’è un pizzico di eros alla base dell’amicizia? “L’eros dell’amicizia non ha bisogno dei corpi, essi anzi lo disturbano più di quanto non lo attraggono. Ma si tratta pur sempre di eros, c’è eros in tutte le relazioni umane.”
Vediamo ora Cicerone (cap. V): “..l’amicizia è superiore alla parentela, in quanto alla parentela si può togliere l’affetto, dall’amicizia no: perché tolto l’affetto il nome dell’amicizia scompare, mentre quello della parentela no.”
Dunque l’amore, l’affetto sono indispensabili all’amicizia: la sua fine può, con molta probabilità, generare odio. Questo concetto si trova sia in Cicerone che in Márai.
Gli eventi accaduti tra Henrik e Konrad hanno cancellato il forte vincolo giovanile, trasformandolo in odio. Ora davanti al fuoco del camino che simbolicamente divampa come le passioni esplose e represse nel cuore dei protagonisti è giunta l’ora della verità. Avranno i protagonisti il coraggio di affrontarla? L’unica verità incontrovertibile sarà quella che trasformerà il fuoco delle passioni in brace, ma solo quando la brace sarà cenere l’animo umano troverà pace.

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joshua65 Opinione inserita da joshua65    09 Settembre, 2012
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Il fuoco che sembra spento dorme sotto la cenere

Che Sandor Marai fosse un grande scrittore già lo sapevo.

Se poi vogliamo approfondire un po’ di più, indagando sulla sua biografia, ritroviamo nella sua vita quei tratti di liricità e nello stesso tempo epicità che caratterizzano Le Braci, uno dei suoi libri più famosi, sicuramente tra i più riusciti.

Ci deve essere per forza qualcosa di Marai in questo libro, la decadenza dei grandi imperi, l’impossibilità ad adeguarsi ai forti cambiamenti del primo novecento, le grandi guerre che portano via benessere, affetti, ricordi, ti devastano mostrandoti la tua inadeguatezza nel ricominciare, dopo che sono terminate.

Così come mi sembra di ritrovare qualcosa di Marai anche in Henrik, l’anziano generale, che ha aspettato tutta una vita per potersi rivedere con Konrad, inseparabile amico di infanzia che quarantuno anni prima è andato via senza una apparente spiegazione, per andare a vivere in Estremo Oriente.

Il generale, ha avuto tutto dalla vita, una famiglia agiata, una brillante carriera militare, un amico fraterno ed inseparabile, una moglie amatissima, e ad un certo punto capisce di essere stato tradito.

Il tradimento, come un fuoco al calor bianco, divampa inarrestabile bruciando e distruggendo tutto attorno a lui, lasciando dopo tanto tempo braci ancora inestinguibili. Adesso, dopo quarantuno anni, Henrik si trova di fronte Konrad. E’ giunto il momento di spegnerle.

Quello che invece non sapevo, e qui secondo me sta la vera bellezza di questo libro, è stata la facilità con cui sono stato trasportato da questo intenso fiume di passione. Non mi accade spesso, ma a volte la storia, la profondità dei temi trattati oppure una accurata introspezione dei personaggi mi catturano, legandomi tra le pagine, facendomi immedesimare nei personaggi, nelle situazioni, rende difficile sottrarmi a delle riflessioni personali.

Quante braci non si sono ancora estinte dentro di noi, dopo che il fuoco è divampato? E soprattutto, quante braci sono ancora accese nelle persone che abbiamo voluto bene e che non abbiamo ancora provato a spegnere?

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EvaBlu Opinione inserita da EvaBlu    25 Luglio, 2012
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Fiore all'occhiello per ogni libreria

Quando ho finito di leggere “Le braci”, la prima cosa che ho fatto è stata quella di andare a trovare una foto di Marai su internet. Non so perché, ma l’esigenza è stata quella di stabilire un contatto, per quanto più possibile reale e visivo, con colui che è stato il produttore di quel piccolo fiume di intensa passione letteraria che ho attraversato in circa due giorni.

Ed anche se devo ammettere che Sandor non è proprio il mio tipo, con quel suo occhietto cascante e quell’aria persa stile professorone smarrito nel cosmo, ciò non toglie che “conoscerlo” è stata una vera fortuna: in un periodo di continue e disilluse scelte di letture sbagliate, ecco un gioiellino da portare all’occhiello di ogni libreria che si rispetti.

Due amici giunti al capolinea della vita, una notte in cui tirare le somme delle loro azioni, il ricordo di una donna che è l’incastro perfetto delle loro rispettive esistenze: un romanzo introspettivo ed in grado di toccare la sensibilità di chiunque ci si avvicini; un piccolo capolavoro che racchiude i quesiti fondamentali del Vivere e che lascia libera l’interpretazione, affinchè ciascuno possa ritrovarvi se stesso.

A fare da cornice delle atmosfere sublimi ed uno stile eccellente, di quegli stili che rendono una lettura valida persino nel caso in cui si è inteso fare un elogio al brodo di pollo. Non è il caso di Marai, ovviamente: delle sue “Braci” è impossibile perdere un solo accenno, che sia di forma o di contenuto.

Non rimane che leggerlo. Non farlo sarebbe un vero peccato.

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Giulian Opinione inserita da Giulian    24 Luglio, 2012
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Romanzo intelligente e piacevole

Romanzo intelligente e profondo. La tensione narrativa rimane viva non grazie alle vicende (ridotte al minimo; tutto il testo è basato su ricordi di un lontano passato ripensati, riesaminati e rielaborati ), ma grazie all’attesa di qualcosa, una rivelazione, una spiegazione, una risposta, che tarda a venire. Lo svelamento graduale di certi particolari reitera più volte l’effetto sorpresa, rafforzando in tutto il libro la curiosità del lettore.
Stile sostenuto e raffinato. Ho trovato un po’ pesante l’utilizzo frequentissimo delle similitudini, proposte nella prima parte del libro praticamente ad ogni frase; la lettura diventa più sciolta nella seconda parte, durante il lungo monologo del protagonista.
Il finale sarebbe deludente se ci si aspettasse un evento drammatico o un colpo di scena; in realtà l’intero monologo del protagonista punta a stemperare l’esigenza di ulteriori svelamenti sugli eventi e l’interpretazione che ne viene data soddisfa sia lui che il lettore.
Ringrazio gli opinionisti di Qlibri che hanno consigliato questo bel romanzo.

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valeg Opinione inserita da valeg    01 Giugno, 2012
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le braci

Pensiamo veramente di conoscere le persone che ci vivono accanto?Questo è la domanda,questo è l’incipit di questa breve opera,questo è il dilemma che arrovella l’autore e il protagonista,questo è il lunghissimo monologo ossatura di questo splendido romanzo. Parte lentamente la storia,gradualmente accellera,si intensifica,si infittisce di considerazioni,diventa densa,a tratti angosciante,come la stanza polverosa al crepuscolo in cui principalmente è ambientata,debolmente illuminata da esausti moccoli di candela,lentamente si raffredda,metafora di una vita che perde passione,come le emozioni,come i ricordi della gioventù,freddi e dolorosi,rendendoci la visione delle cose e degli avvenimenti,più oggettivi,meno soggetti alla distorsione delle emozioni giovanili . Potremmo noi un giorno svegliarci e accorgerci che le persone che più ci stanno vicino,l’amore della nostra vita,o il nostro amico/fratello,siano dei perfetti sconosciuti? Se si,qual’ è il motivo,ha una finalità realizzabile la ricerca della verità? La risposta sta’ nel titolo di quest’opera di Marai,e lascio al lettore scoprirlo,consapevole del fatto che sarà certamente motivo di una profonda riflessione. Scritto divinamente,breve ma ricchissimo di contenuti,estremamente emozionante,e magari per chi è stato lambito da questa tematica,illuminante,come un buon consiglio del nonno. Cara amica,questa volta hai fatto centro!

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pirata miope Opinione inserita da pirata miope    04 Febbraio, 2012
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COME UNA LAMA

Henrik, generale anziano a riposo, assomiglia al suo castello isolato in mezzo alle foreste gelate dei Carpazi: anch’ègli è “un mausoleo di pietra in cui languono le ossa di diverse generazioni”. Non c’è più nessuno a tenergli compagnia, tranne la balia di 91anni e i ritratti delle persone care ormai defunte. In realtà il tempo per lui si è fermato esattamente quarantun anni fa, quando l’amico Konrad se n’è andato via per sempre. Ora per una svolta del destino, la vita può riprendere dal punto esatto in cui si era interrotta. Ma non è un inizio, quanto piuttosto un ritorno al passato, un ricucire gli strappi lasciati aperti, un rischiarare le zone in ombra. Per questo Konrad è tornato e per questo a lui è destinato il monologo di Henrik davanti al cammino in una notte buia. Il generale ripercorre la loro storia, in fondo non inconsueta: due amici, uno povero ed artista, l’altro ricco e militare in carriera “vanesio”, la moglie di quest’ultimo da lui incompresa, ormai morta…Cose c'è stato fra loro? I due amici si sono allontanati ma l’ossessione per la verità li lega e li ha spinti a ritrovarsi dopo decenni come se si fossero dati un appuntamento. E la verità non consiste nei fatti nudi e crudi: essa è qualcosa di impenetrabile, ha a che fare con la passione che il tempo attutisce”senza riuscire ad estinguerne le braci”, la medesima che in quel momento sta trascinando gli uomini in un conflitto mondiale. Lì in quel grumo di sentimenti in conflitto fra loro occorre fare luce e non è detto che sia possibile. La paralisi apparente del protagonista, attore monologante, è allora la più intensa e più intima delle esperienze, quella che si condensa nel ripiegamento su se stessi. Un’introspezione crudele, spietata, rievocata da Màrai con un stile tagliente come una lama capace di assottigliare emozioni e stati d’animo.

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A chi è interessato alle seguenti tematiche: il recupero memoriale-fenomenologia delle passioni-la cura di sè: da Seneca a Foucault
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websurfer78 Opinione inserita da websurfer78    31 Gennaio, 2012
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La vendetta è un piatto che va servito freddo...

Henrik e Konrad,amici fin da piccoli,dopo aver intrapreso insieme la carriera militare,si separano attorno ai trent'anni di vita,quando il secondo decide improvvisamente di partire,senza dire nulla all'amico di sempre.41 anni dopo,quando i due ormai sono giunti alla fine della loro vita,tornano ad incontrarsi:Konrad,che ha vissuto per anni ai Tropici,fa visita a Henrik nella sua lussuosa residenza tra i Carpazi,dove si è ritirato da tempo a vita privata.L'evento sarà l'occasione per fare i conti col passato e mettere alla luce i motivi della brusca separazione...
La prima parte del romanzo ha un ritmo piuttosto lento,di carattere descrittivo,necessaria a descrivere i due protagonisti,la loro natura,l'amicizia nata da bambini e le loro rispettive esperienze,e prepara il lettore all'incontro-scontro tra i due (ex)amici di vecchia data,che occupa la seconda parte del libro.E' qui,in questa seconda parte,che Marai costruisce il suo capolavoro,un capolavoro fatto di parole,e non di fatti,parole attraverso le quali Henrik consuma la propria vendetta o,almeno,questo risulta essere il proprio intento...
Si parla di amicizia,di orgoglio,di rispetto,di vecchiaia,del senso della vita,in un lungo dialogo-monologo che turba e allo stesso tempo costringe a riflettere su noi stessi,sulla nostra stessa natura di uomini...
Libro meraviglioso,doloroso,ma allo stesso tempo rivelatore,anti-cinematografico,per la staticità che lo caratterizza,ma intriso delle più profonde passioni dell'uomo...Assolutamente imperdibile...

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Cla93 Opinione inserita da Cla93    12 Gennaio, 2012
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Mi ha rapita...

Questo è un libro adatto per una serata di pioggia.
Un libro da leggere davanti a un camino, mentre ascoltate il rumore della pioggia che lava ogni cosa.
Ho trovato questo libro estremamente affascinante.
Màrai mi ha totalmente rapita e trasportata in un altro mondo, in un luogo lontano.
Non ho letto un libro, ho guardato un film: io ero lì, ero con i personaggi; mi muovevo tra di loro, vedevo la loro vita scorrere davanti ai miei occhi; provavo ciò che loro provavano e ripetevo ciò che loro dicevano.
Ogni parola di Màrai mi ha stregata: era magica.
Ammetto che lo stile è un poco ridondante; nonostante questo mi ha intrigata in maniera completa.
Era da tanto che un libro non mi trasportava in questo modo... è la prima volta che leggo un Màrai, e forse è presto per dire che ho trovato un nuovo amore...ma sicuramente ne leggerò ancora!

" ...Un'anima può soccornene un'altra solo se non è diversa da questa, se la sua concezione del mondo è la stessa, se tra loro esiste una parentela spirituale".

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Zàfon
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    27 Dicembre, 2011
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Un tormentato monologo

E' la storia di un tradimento, orchestrato fra un generale, sua moglie e il suo unico amico, storia che raggiunge il suo culmine in un bellissimo monologo del generale, che è sia un trattato sul senso dell'amicizia sia una personale ricerca della verità. Si trascorre una vita intera preparandosi a qualcosa: prima ci si sente offesi e si vuole vendetta, poi si attende. E l'attesa del generale è durata 41 anni e 43 giorni, per svelare, o non svelare, un segreto, o non segreto, rimasto tale lungo tutto il libro. Il generale ha soffocato, per una vita, in sè, le passioni che la solitudine gli ha accumulato dentro. E' un uomo che ha consegnato la sua anima e il suo destino alla solitudine e non crede in niente. Aspetta e basta. E trova serenità in questo incontro, davanti alle braci, con i frammenti del suo passato su cui tanto ha rimuginato, in questa stanza di questo castello, descritto con mille particolari, quasi a volerci far toccare gli oggetti di queste stanze, fatti di pelle, cuoio, seta, canapa, velluto, cristallo, porcellana, marmo, legno, pietra, panno, pizzo, feltro, oro. Oro come il colore del diario di velluto che viene gettato nelle braci.

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lucabettin Opinione inserita da lucabettin    22 Dicembre, 2011
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Appena finito di leggere questo libro, il primo pensiero è stato: “Ma come è possibile essere arrivato a oggi senza aver mai letto Sandor Marai?”
Due anziani, in giovinezza amici inseparabili, si ritrovano dopo quarantun anni in un castello in prossimità dei Carpazi. Dal giorno che si sono persi di vista, uno non si è praticamente mai mosso da lì, l’altro ha passato alcuni decenni in Oriente. Sullo sfondo di entrambi aleggia una donna. La stessa donna.
Le braci è un libro lento, spesso prolisso, un dialogo tra due persone che è sostanzialmente un monologo. Uno parla, l’altro ascolta.
Lento. Meravigliosamente lento.
Le descrizioni sono così accurate e delicate che catapultano il lettore alla fine dell’ottocento, rapito dalle immagini nitidissime e dal ritmo.
Prolisso. Meravigliosamente prolisso.
Uno parla e ripercorre, con il distacco regalato dall’età, le vicende che hanno riguardato entrambi, l’altro ascolta e senza proferire praticamente parola avvalora quei ragionamenti.
Ogni sfaccettatura dell’animo umano - sia l’amicizia, sia il tradimento, sia l’amore, sia l’evolversi della vita in generale - viene descritta con una profondità che annichilisce.
Le riflessioni del protagonista, arricchite dalla saggezza della vecchiaia, assumono un punto di vista originale che ipnotizza chi si fa accompagnare, pagina dopo pagina, dentro il racconto.
Questo libro non si può presentare con squilli di tromba e fanfare, serve un suadente violino.
Questo libro non è un mazzo di rose rosse, è una delicata composizione di orchidee.
Questo libro non è una semplice fotografia, è un pregiato dipinto.
Dopo ogni capitolo cresce dentro di me la voglia di visitare quel meraviglioso castello ai piedi dei Carpazi, cenare nell’enorme sala da pranzo, bere un bicchiere di vino e leggere un libro seduto sulla poltrona vicino al camino. Ogni descrizione trasuda una nobiltà che affascina.
Il protagonista trasforma gli schiaffi in carezze. I pugni in massaggi. Ridefinisce il significato di vendetta. Pregi e difetti si ingarbugliano e il risultato finale è sorprendente.

Un libro da leggere assolutamente. Se possibile d’inverno, quando fuori fa freddo, magari nevica.
Leggere con lentezza. A volte è meravigliosamente necessario.

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Chi a voglia di immergersi in una lettura lenta ma affascinante.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    19 Dicembre, 2011
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Braci che feriscono, Braci che bruciano.

Corposo questo romanzo,maturo, profondo.
Bella la penna nella parte descrittiva, meravigliose le caratterizzazioni dei boschi, del castello,di luoghi e di oggetti.
Trapela amore da queste minuziose immagini di luoghi ungheresi, di grandi o piccoli spazi :
"Il castello era un mondo a sè stante...Le maniglie delle porte conservavano il tremito di una mano, l'emozione dell'attimo in cui essa aveva esitato a contemplare il suo gesto. Ogni dimora in cui le passioni abbiano investito con violenza gli uomini si riempie di questa sostanza caliginosa ".
Un castello ai piedi dei Carpazi, custodito nel bosco e dal bosco, dal suo proprietrario e dalla solitudine di una scelta che rende quel mondo anacronistico, indifferente al trascorrere dei tempi, nei decenni.
I segreti e le passioni nascosti tra quelle mura non hanno bisogno di evolversi, hanno bisogno di torpore e di spiegazioni.
Qui, dopo 41 anni si incontreranno il generale e l'inseparabile amico di gioventu' Konrad.
Due uomini anziani, vissuti a lungo, sopravvisuti a tanto per arrivare a questo giorno, il giorno delle domande, il giorno delle risposte, il giorno dei silenzi.
Un lungo, lunghissimo monologo quello del generale durante la cena con Konrad, molto riflessivo e intenso che tra pensieri e ricordi ricostruisce quel che successe piu' di quarant'anni prima nel giorno in cui le sorti di tre persone si stravolsero dolorosamente.
Non un libro di semplice lettura, talvolta prolisso , ma talmente gravi e acuti gli argomenti che si procede velocemente .
Splendida questa rivitazione di un dolore quasi carnale ma allo stesso tempo somatizzato dalla patina di saggezza e rassegnazione che solo il tempo puo' dare.
Il fuoco divampato straziante in passato ha lasciato spazio a delle braci, che fanno sì meno male ma che stentano a spegnersi, perche' anche con mille spiegazioni il dolore resta insinuato nel profondo nell'anima.
Forse verra' apprezzato piu' dal lettore che in vita sua abbia toccato con mano, su se' stesso, quanto descritto nell'opera, l'empatia sicuramente enfatizza all'ennesima potenza un romanzo di questo tipo.

Ma che piaccia o meno, sarebbe bello leggerlo per ricordare una volta di piu' che :
"Esiste una cosa peggiore della morte e di qualsiasi sofferenza, la perdita della stima di sè.
Quando si viene colpiti da una o piu' persone nella stima di sè, che costituisce la nostra dignita' di uomini,la ferita e' talmente profonda che neanche la morte puo' porre fine a questo tormento ".

Permettetemi una breve aggiunta con licenza di sintesi, l'autore converrebbe ,credo: a maggior ragione, se chi accende il fuoco che brucera' la nostra dignità e' qualcuno che ci ha amato, qualcuno che abbiamo amato, il dolore della bruciatura sara' irrimediabilemnte piu' insopportabile, le braci, non si spegneranno mai.

Buona lettura, perche' i libri non sempre sono balocchi, a volte sono anche lezioni.

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andrea70 Opinione inserita da andrea70    01 Novembre, 2011
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Gran libro!

In un castello ai piedi dei Carpazi, un uomo , Henrik , ha trascorso gli ultimi decenni in assoluta solitudine se si eccettuano la balia e qualche domestico. Attende l'arrivo del suo migliore amico, Konrad, che non vede da 41 anni dopo che questi se n'è andato all'improvviso senza una ragione apparente e ha vissuto questi anni dall'altra parte del mondo.
Ma la cena non sarà l'occasione per tirare amabilmente le fila dei ricordi, tra i due uomini c'è un segreto, un torto subito che reclama vendetta a distanza di quasi mezzo secolo.
Così inizia il lungo monologo di Henrik sul valore dell'amicizia e sulla colpa , è un atto d'accusa in cui le prove non sono oggetti ma i semplici fatti e l'intima conoscenza delle persone e dei loro comportamenti.
In fondo Henrik ha già avuto una sorta di vendetta ripudiando silenziosamente la moglie fino alla di lei morte , e ha già le risposte sul perchè di quei fatti, le ha ripetute tra se per decenni nella solitudine del suo castello, vuole delle conferme da Konrad , vuole capire la profondità dell'inganno ordito alle sue spalle.
Ma quali risposte cerca ancora ? Quelle a domande più profonde della semplice conferma di un tradimento, le domande che si pone ogni uomo quando vede la propria vita giungere al termine , per esempio se il fatto di avere amato con passione qualcuno, indipendentemente dal fatto che questi ne fosse o meno meritevole, ha dato un senso alla propria esistenza.
Ma tutte le possibili risposte, non sono così importanti e diventano cenere come le persone che abbiamo perso nel corso della vita perchè "Alla fine ha importanza solo quello che rimane nel nostro cuore" e il tempo è l'unico inesorabile vincitore.
Bellissimo libro sull'amicizia, sull'amore ,sulla fedeltà, ci sono innumerevoli spunti e parti molto ispirate e toccanti. L'ho addirittura letto due volte...

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OedipaDrake Opinione inserita da OedipaDrake    21 Ottobre, 2011
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Riflessione amara sulla vita

Molto, molto bello, di rara intensità e finezza letteraria. Lo scrittore è straordinario nell’eleganza dello stile e nella composizione dell’opera. Una sorta di riflessione amara sulla vita e sul sentire degli uomini, che come mai appaiono in tutta la loro nudità, schietta umanità così meschina, a volte, così triste, anche. E l’estenuante ricerca di una vita, domande che consumano e logorano, alla fine si stemperano in maniera mirabile nella solitudine interiore dalla quale nessuno può sfuggire. Di fronte a se stessi… Alla morte. Allora tutto sfuma e le domande stesse non hanno più senso.

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katia 73 Opinione inserita da katia 73    20 Settembre, 2011
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Le braci

Devo ringraziare gli utenti che lo hanno recensito così positivamente altrimenti non lo avrei mai letto. Sicuramente, anche si mi fosse capitato tra le mani, non lo avrei preso dopo aver visto che era quasi completamente privo di dialoghi , la trama sul retro copertina non era poi così intrigante, insomma lo avrei riposato sullo scaffale , e mi sarei persa un libro molto molto bello.
Henrik e Konrad hanno passato l’infanzia e l’adolescenza insieme, poi le loro strade si sono divise , ora, dopo quarantuno anni si ritrovano , davanti alle braci dell’amore ,dell’amicizia, del desiderio di verità che non si sono mai spente , condividono un segreto , ma al generale mancano ancora alcuni tasselli prima di mettere la parola fine a tutta questa storia , il tempo ha assopito il suo odio e la sete di vendetta ma non il bisogno di sapere la verità , e solo Konrad può dargli le risposte che vuole.

Un libro che coinvolge, si rimane impigliati dentro le sue pagine, e leggerlo è come fare un bellissimo viaggio all’interno delle emozioni di Henrik, il suo infatti è un monologo sulle sue esperienze,sul suo matrimonio, sulla vita , e ho trovato meravigliosa la parte in cui descrive che cosa è per lui l’amicizia e il significato che dà a questa parola.

Qualcuno ha scritto nella recensione avrebbe potuto essere un mattone ma non lo è, ed è vero, e quando leggi libri come questo ti rendi conto che lo stile è veramente importante, anzi fondamentale, ci sono libri con trame intriganti e coinvolgenti ma che non appassionano come questo che è praticamente privo di una trama, ma scritto in maniera sublime.

“Gli uomini non sanno nulla di se stessi. Parlano sempre dei loro desideri e camuffano ostinatamente i loro pensieri più segreti. Se impari a riconoscere le menzogne degli uomini, noterai che essi dicono sempre cose diverse da ciò che pensano e vogliono davvero. Poi un giorno arrivi a comprendere la verità : vuol dire che sono arrivate la vecchiaia e la morte “
“quando con il tempo ho raccolto tanti sogni rivelatori, e tutti i detriti provenienti da quel naufragio si sono accumulati sull’isola della mia solitudine , ho guardato al passato con occhi pieni di pietà…..”

E ci sarebbero altri passaggi molto belli da riportare, quindi consiglio di leggerlo, per emozionarsi e per riflettere un po’.

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    23 Agosto, 2011
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Bellissimo

Ho letto questo libro con una sensazione costante di commozione, quasi il presentimento della sofferenza per il senso di “perdita” che sarebbe seguito alla lettura dell’ultima pagina.
Non sbagliavo.
Letto il primo breve capitolo Màrai mi aveva già catturato: non desideravo altro che proseguire la lettura. Mi sono sforzata di farlo lentamente per godere di ogni parola, nonostante sentissi come un’urgenza di lasciarmi trascinare da Henrik – il generale - nei suoi pensieri e nei suoi ricordi.
Sul contenuto del libro non vorrei dire molto, la sinossi in questo caso a me sembra già fin troppo esplicativa: si tratta di uno straordinario viaggio all’interno di un’anima tormentata dal ricordo viscoso e bruciante di un lontano passato da cui il protagonista sente di potersi liberare solo attraverso il confronto con colui che è stato il solo grande amico della sua vita, che non incontra da quarantuno anni. Il desiderio di comprendere fino in fondo quel che accadde è stato per tutto questo tempo l’unico motivo che l’ha spinto a continuare a vivere. Ora, ormai vecchio, avrà modo di confrontarsi col passato e con se stesso.
Henrik è con molta evidenza l’alter ego, la controfigura, di Màrai stesso (che finirà suicida, esule, dopo un lungo peregrinare alla ricerca di un luogo che gli consentisse di sentirsi "a casa"): il suo disagio esistenziale è palpabile nel fluire di una prosa elegante ed avvolgente.
Per quasi tre quarti il libro è un lungo monologo, rivolto all’amico che l’ascolta silenzioso, un ragionamento incalzante sull’amicizia e sulla colpa.
Non si pensi che, trattandosi di un monologo, si possa scivolare nella noia: Màrai è estremamente abile nel costruire il colpo di teatro anche in assenza di azione, grazie solo all’uso di una prosa magica che suggerisce, alla fine, che le risposte ai nostri dubbi, alla nostra sete di comprensione dei fatti della vita, sono già dentro di noi e non possono venirci dall’esterno.

" Entrambi si resero conto, in quegli istanti, che era stata l’attesa a dare loro la forza di vivere nei decenni trascorsi. Come accade a coloro che passano una vita intera a prepararsi per un unico compito e di colpo arrivano al momento di agire. Konrad sapeva che un giorno sarebbe tornato in quel luogo, e il generale sapeva che un giorno sarebbe giunto quel momento. Era stato questo a mantenerli in vita. "

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a chi ama i libri che restano dentro, di quelli che metti via con dispiacere e che lasci in vista per poterli accarezzare passando...
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gio gio 2 Opinione inserita da gio gio 2    22 Luglio, 2011
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...BRACI...!!!

Le braci, titolo che Sàndor Màrai dedica a questo suo staordinario capolavoro: in una sola parola riassume il significato di quest'opera, all'apparenza complessa, che nell'insieme, racchiude un'immensa gamma di sentimenti che nascono,sprigionano la loro forza, si svelano man mano il racconto procede, diramando con una forza oserei dire dirompente,fondendosi con l'animo del lettore. Nonostante emargono da un passato ormai lontano conservano ancora tutto il calore della loro fiamma.



Sono la mente e l'animo di Heirik che,in un unico abbraccio,
riescono a mantenere in vita la loro forza, perpetuandola con la tenacia della sua memoria, in un maniacale percorso nei sentieri del suo passato: l'intenso legame con l'amico Konrad ed il tragico segreto che ha diviso il loro cammino. Un segreto che dona ad essi l'unico vero motivo di rimanere in vita.E, nel mezzo, l'ombra, o meglio, la forza scatente: Krisztina, morta da ormai più di vent'anni.

... "E a volte mi sono chiesto se l'amicizia non costituisca un legame simile a quello fatale che lega che unisce i gemelli. Una singolare identità di inclinazioni, simpatie, gusti, cultura, e passioni che accumuna due uomini, vincolandoli - anche se uno tenta di opporsi all'altro - a un medesimo destino"...

Heirnrik per quarantun anni attende il ritorno dell'amico, senza mai muoversi dalla sua proprietà, un castello ai piedi dei Carpazi.
Mentre Konrad, dopo una fuga apparentemente improvvisa, passerà quei lunghi anni in Estremo Oriente.
Quando questo avverrà, egli accoglierà Konrad con l'animo pacifico e paziente del profeta e, come un grande saggio, terrà di fronte ad esso un monologo dove svelerà i misteri più reconditi, la chiave del tradimento dell'amico,un circuito di emozioni intense e limpide, seppur nella loro complessità, che solo con il tempo egli è riuscito a svelare a se stesso, analizzando ogni minimo particolare. La vecchiaia e la soltidutine dei suoi pensieri gli hanno permesso di "vedere" ciò che l'occhio ingenuo e l'animo spensierato della sua giovinezza non gli hanno concesso di osservare.

..."Ho compreso, tutto. Cosa vuoi che ti dica? ... Si invecchia un poco alla volta: in un primo momento si attenua la voglia di vivere e di vedere i nostri simili. A poco, a poco prevale il senso della realtà, ti si schiarisce il significato delle cose..."

Ma due domande gli rimangono da porre all'amico, giacchè ad un uomo serve la verità per poter morire, per prendere condego dalla vita.E, i soli fatti, non svelano le verità occulte dell'uomo.

Una potenza narrativa straordinaria, carica di "scottante" introspezione,una lirica eccellente.

Un romanzo che parla d'amicizia e d'amore, di tradimento e di memoria,di vita e di morte, di verità e di inganni.Di orgoglio, un veleno assai potente.

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personalmente me ne sono innamorata,
consigliatissimo!!!
p.s.: mi sono già impossessata di altri libri di Sàndor Màrai!!!
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Giovanni Baldaccini Opinione inserita da Giovanni Baldaccini    12 Giugno, 2011
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Eros e Thanatos


In un castello ai piedi dei Carpazi, circondato da boschi e dal silenzio, il tempo si è fermato. Da quarantuno anni nulla vi accade più e la vita resta sospesa tra ricordi e l’attesa. Un giorno una lettera sembra spezzare l’incantesimo; il contenuto, che non viene subito svelato, lascia presagire che qualcosa accadrà e il tempo riprenderà a scorrere. Non sarà così.
Tutta la prima parte del romanzo si svolge all’interno della rievocazione: il tempo è congelato e si può parlare soltanto del passato. La giovinezza del generale che abita il castello torna in primo piano, così come acquista spessore la giovinezza malinconica della madre e la figura mai chiamata per nome del padre. Di entrambi il generale ripeterà inesorabilmente il destino, vivendo diviso per anni da una moglie delusa che morirà prematuramente come già la madre, mentre lui, come il padre, si rinchiuderà nel casino di caccia del castello. Tuttavia c’è un’attesa: la lettera annuncia l’arrivo, dopo quarantuno anni, dell’amico d’infanzia, di gioventù, di vita, la cui scomparsa aveva fermato la vita stessa del generale. A quell’amico il generale deve chiedere qualcosa.
Il generale chiama a sé la vecchia governante e le ordina di far riaprire la sala chiusa del castello e di rimettere, con scrupolosa meticolosità, fin nei minimi dettagli, le stanze come si trovavano quarantuno anni prima. Anche la cena e i vini devono essere gli stessi, persino le candele di color azzurro. Tutto deve essere uguale, perché il tempo non è trascorso, tranne un dettaglio: un certo quadro non dovrà essere riposizionato al suo posto.
Nel corso della cena con l’amico di un tempo, molto sarà rievocato delle loro vite, senza alcun accenno al presente. Rievocazioni ossessive, colme di dettagli, perché, come il generale afferma, i particolari hanno importanza. L’amico è stato ai tropici per quarantuno anni, in un inferno d’umido e d’acqua dove la cosa più augurabile è morire: perché? Il generale se ne è rimasto chiuso nella sospensione e nell’attesa del momento, che finalmente è arrivato, in cui avrà forse risposta alle sue domande.
Gli chiederà, dopo tortuose ricostruzioni, asfissianti rievocazioni, deludenti lungaggini, descrizioni a volte perfino estenuanti, quello che è già chiaro dalle prime righe; gli chiederà infatti conferma e ragione di un tradimento. All’apparenza banale, l’amore per la stessa donna, moglie del generale, morta trent’anni prima e presente soltanto nel suo piccolo diario che finirà nel fuoco. Non si risponde a domande di questo tipo; è evidente che l’amico l’ha tradito con la moglie, che la moglie l’ha tradito con l’amico, che l’amicizia sacra è stata violata, come è evidente che l’amico e la moglie avevano progettato di uccidere il generale, ma di questo non ci sarà conferma. Sarebbe inutile: altra è la conferma necessaria.
Troppo diversi quegli uomini per essere davvero amici; divisi inesorabilmente dalla musica, dall’arte, dalla ribellione, dalla ricerca di libertà che l’amico condivideva con la moglie del generale, come con la madre di quest’ultimo, prigioniera in quel castello di un marito militare, come il figlio. Il padre del generale lo sapeva e mise sull’avviso il figlio adolescente; ma come il generale afferma nella notte del colloquio, gli opposti si attirano, non possono fare a meno l’uno dell’altro. Questa la prima risposta a una domanda non espressa, questo il vincolo di un’amicizia che non era tale.
La seconda risposta verrà data alla fine, mentre l’ospite prende congedo, dopo essersi rifiutato di confermare quel progetto di omicidio che forse il diario della moglie conteneva. Non era quella la risposta importante, dato che, dopo la caccia e l’omicidio non compiuto, era stato conferma del progetto lo stupore della moglie nel vedere il generale rientrare in casa. La domanda vera viene espressa con la mano sulla maniglia della porta: «“E a questo punto mi chiedo: la passione è veramente così profonda, così malvagia, così grandiosa, così inumana? Non può essere che non si rivolga affatto a una persona precisa, ma soltanto al desiderio in sé?”. “Perché me lo domandi?” replica tranquillamente l’ospite. “Sai bene che è così”.»
Le braci non sono quelle del fuoco in cui il diario della moglie brucierà; sono quelle dell’anima, di una passione che coverà per quarantuno anni. Sono le braci di un Eros inestinguibile che tende inesorabilmente al suo contrario e finché brucia desidera, anela, chiede anche quello che già sa, perché anche una domanda priva di risposta è un desiderio. Il generale sa benissimo che è la passione che ha tenuto vivi lui e il suo ospite per tutti quegli anni e che, dopo quel colloquio, non resterà nulla da desiderare. Eros si fonderà inevitabilmente con il suo contrario, Thanatos, che ha atteso quarantuno anni nel silenzio di un desiderio sospeso. Nel momento in cui non c’è più nulla da domandare, la tensione si spegne e il desiderio trova compimento nella propria morte. Non erano le risposte ad avere importanza, era la possibilità di chiedere; realizzata, nell’attimo conclusivo di una passione morta, non resta più nulla da vivere.

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serena...mente Opinione inserita da serena...mente    09 Mag, 2011
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Avrebbe potuto essere un vero mattone, e invece...

Con questo romanzo Márai, attraverso la storia di un uomo ormai vecchio, che ha aspettato per più di quarant'anni il ritorno del suo più grande amico (e delle le sue risposte), ci parla di amicizia, di amore, di tradimento, di istinti ma soprattutto si rivela abile maestro nello svelare l'essenza dell'attesa in tutte le sue sfumature. Lo fa raccontando il dubbio che si insinua piano nelle anime e nei cuori come fa l'acqua sulla roccia fino a scavarla, descrivendo il rancore, che non si placa mai come la brace che continua ad ardere anche quando le fiamme si sono spente da tempo, rivelando il desiderio di verità, che non si esaurisce mai e la sete di vendetta che col tempo si attenua fino a placarsi. Il tempo. Il tempo che ci da modo di riflettere, ponderare, di dare il giusto peso e il giusto senso alle cose, alle parole dette, ai gesti compiuti,il tempo che da modo di cambiare opinioni, di lasciar sfumare sentimenti come il dolore e la rabbia che offuscano la mente e ci portano a prendere decisioni affrettate e spesso sbagliate, il tempo che ci da modo di ascoltarci dentro e di pensare ma non di dimenticare! Márai ci parla di quel tempo a cui noi non sappiamo più dare il giusto valore e dell'attesa, che questo mondo frenetico sa più nemmeno cosa sia.
Oggi tutto è immediato, a portata di mano, basta premere un tasto di un cellulare o di un computer e in un lampo puoi ordinare una maglietta dall'altra parte del mondo, fare una ricerca su internet sugli argomenti più improbabili senza dover passare ore a sfogliare libri, puoi volare in poche ore in un altro continente, o venderti la casa. Tutto questo senza perdere troppo tempo a pensare, e soprattutto senza nemmeno chiederci se è davvero questo ciò che vogliamo veramente. Márai mi ha fatto ripensare alle attese della mia infanzia, quella della notte di Natale, la più gioiosa che cominciavo mesi prima a pregustare, oppure quella di una lettera di risposta di qualche amico lontano o ancora l'attesa di quell'unico giorno al mese in cui si andava al cinema tutti insieme. Devo ammettere che anche questo insegnarmi l'attesa è l'ennesimo merito che devo riconoscere ai miei genitori. Si perché oggi, invece, siamo impazienti anche come genitori. Vogliamo far felici i nostri figli e lo vogliamo fare subito senza farli aspettare e così gli diamo tutto subito e gli togliamo il gusto dell'attesa o forse, ancora peggio, non proviamo e non sappiamo più nemmeno insegnargliela l'attesa. E questo è un vero peccato perché nell'attesa, tutto diventa " più grande", i desideri diventano più importanti e consapevoli, le percezioni si amplificano, le conoscenze si arricchiscono, nell'attesa non si soffoca, nell'attesa si vive.
Davvero un gran bel libro, da non far aspettare :)

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Opinione inserita da Geffy    25 Aprile, 2010

to be or not to be...

Un romanzo-monologo di difficile interpretazione ma di profonda intensità, in uno stile fluido, avvincente che riesce a perforare l’animo umano.
Henrik e Konrad si conoscono in un collegio militare, all’età di dieci anni e diventano inseparabili. Il primo è di discendenza nobile, l’altro, si mantiene agli studi grazie ai grandi sacrifici dei suoi genitori. Ambedue intraprendono la carriera militare: Henrik, il generale, per devozione, l’amico, amante della musica e della lettura, la considera quasi una costrizione. Tra di loro un’amicizia totale, fatta di condivisione, amore, solidarietà.
Poi le loro vite si separano per quarantuno anni. Che cosa succede perché una tale amicizia stravolga le loro vite?
Si ritrovano già vecchi, alle spalle un’esistenza sconvolta, vissuta nella consapevolezza di una rottura e nell’indignazione di chi si sente oltraggiato. Ma il tempo attenua la rabbia e addolcisce i sentimenti, così, chi ha ricevuto un danno si sente colpevole e il tradito diventa traditore di se stesso.
In un lungo monologo, davanti a una tavola apparecchiata, il generale racconta i fatti, esternando il suo dolore, in attesa della verità. Parla con l’amico, co-protagonista del romanzo, che per tutto il tempo di una lunga cena dice poche parole, e, intanto…ascolta…, in un silenzio più eloquente di qualsiasi parola.
“Le braci” è un romanzo introspettivo, psicologico, un viaggio nella psiche umana dove la verità si annida negli angoli più reconditi, rimanendo spesso enigmatica.

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Di Sándor Márai avevo letto “La donna giusta” e Divorzio a Buda” e, devo dire, che anche “Le braci” è un testo introspettivo di grande pregio.
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gracy Opinione inserita da gracy    04 Aprile, 2010
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L'uomo comprende il mondo un po' alla volta

Questo libro ha una trama semplice e per nulla complicata, parla dell'amicizia coltivata fin da ragazzi tra Konrad ed Henrik. Eppure contiene tanta forza e bellezza.
Le braci è il fuoco, la passione che arde prepotentemente, come l'amore, l'amicizia, l'infedeltà, l'odio e la vendetta e quando attanagliano il cuore dell'uomo innesca la passione e brucia, si accendono le braci ed inizia la la ricerca della verità, cruda ed evidente agli occhi di Henry che ha rinunciato a tutto per quarantun anni solo per tenere vivo quel fuoco inesauribile fino all'arrivo del suo amato amico e traditore Konrad.

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