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Trilogia del ritorno
 
Trilogia del ritorno 2021-08-16 09:43:40 Anna_
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Anna_ Opinione inserita da Anna_    16 Agosto, 2021
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Le voci di Konradin e Simon Elsas

"L'amico ritrovato" e "Un'anima non vile" costituiscono un unico corpo narrativo della "Trilogia del ritorno" di Uhlman, due facce della stessa medaglia.
Hans Schwarz, figlio di un medico ebreo e protagonista del primo libro, ha incontrato nel tempo un pubblico che gli si è affezionato e che talvolta ritorna al suo racconto anche a distanza di anni.
"Un'anima non vile" ripercorre quella stessa storia di cui, dunque, già si conoscono protagonisti, luoghi, situazioni, epilogo: leggerla potrebbe non avere senso. Ma forse Uhlman avrà voluto restituire al pubblico il puzzle completo di quest'amicizia senza tempo e, per farlo, l'unico modo era dare spazio e voce anche ai pensieri di Konradin von Hohenfels, figlio di una ricca famiglia aristocratica, l'altro giovane protagonista de "L'amico ritrovato".

In "Un'anima non vile", Konradin è la voce di chi è stato vinto dalla sua famiglia prima e più che dalla Storia. Ormai adulto, scrive all'amico di un tempo, anche se non è certo che Hans riceverà la sua lettera: Konradin non vuole giustificarsi ma spiegare, raccontarsi per essere compreso, magari anche perdonato.
Ecco allora che quella "figura che, trasudava agio e distinzione" tale da intimorire i compagni di classe, ripercorre la sua infanzia, la solitudine dell'adolescenza ("I miei genitori, com'è logico, facevano quello che credevano essere la sola cosa importante: pagare. Non hanno mai dimenticato Natale e il mio compleanno... ma d'altra parte il figlio di un contadino greco ha ricevuto più amore in un giorno che io in tutta la vita"), il suo bisogno di amicizia, il suo rivendicare il diritto di scegliere da sé, e difendere finché potrà, il suo migliore amico, l'ipocrisia del padre, i pregiudizi della madre verso gli Ebrei e l'importanza per quest'ultima della forma (non importa che un principe sia un idiota, è pur sempre un Principe, pertanto persona da frequentare), la sua illusoria euforia giovanile nell'abbracciare un ideale, seppur sbagliato, e nel sentirsi parte di qualcosa di "importante".

Konradin ha sbagliato, e lo sa. Il suo non è un racconto ordinato né poetico e suggestivo quanto quello di Hans; il suo tono è amareggiato, impaurito, talvolta confuso, proprio di chi vuole dire tanto, tutto, e sa di avere, letteralmente, i giorni contati per tentare di restituirsi all'amico di un tempo.

In "Niente resurrezioni, per favore", romanzo che conclude la trilogia, Il protagonista, Simon Elsas, non ha alcun legame con Hans e Konradin ma è la voce di un ebreo che, dopo vent'anni, sente, inspiegabilmente, il bisogno di ritornare nella Germania che ha amato e da cui è dovuto fuggire per scampare all'inferno nazista.

"Negli ultimi recessi della sua mente c'era qualche cosa che non sapeva spiegare".

Turbato, sospeso a metà tra la sensazione di un déjà vu e di estraneità proprio di chi si trova in una terra sconosciuta, Elsas sente che "c'era qualcuno che desiderava incontrare, qualcuno di cui aveva quasi dimenticato il nome, ma che aveva avuto una parte importante nella sua vita."

È questo il romanzo del confronto con il passato, col peso della Storia e dei ricordi che esasperano ancora: "Questo suo ritorno aveva fatto sì che la memoria, come un torrente fangoso, scoperchiasse le tombe di morti dimenticati, per trasportarne le ombre da una riva all'altra dell'Acheronte e distruggere la diga da Elsas costruita con tanta cura perché il passato non lo inghiottisse e gli lasciasse iniziare una nuova vita."

"Niente resurrezioni, per favore" è un romanzo di tristezza e nostalgia, amore e odio, confronti e incomprensioni. È, dei tre, quello che, alla fine, lascia un senso di amara compiuta consapevolezza e di necessaria speranza.

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Hai ragione, Anna : i primi due testi di fatto formano un tutt'uno, sono speculari ; andrebbero sempre pubblicati in un unico volume. Il terzo non l'ho letto.
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