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Leonardo Sciascia ha denunciato dalle pagine di quotidiani e settimanali italiani la realtà sulla mafia. Lo scrittore, prendendo spunto da diversi fatti di cronaca, è stato tra i primi a sottoporre all'opinione pubblica il fenomeno mafioso in termini concreti, non come fatto eversivo dell'ordine costituito bensì come sistema parallelo e speculare rispetto allo Stato e alle sue leggi. Senza temere di scuotere gli animi più conformisti, ha rotto in questo modo il silenzio che uomini e istituzioni mantenevano rigorosamente su tale annoso problema.



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A futura memoria 2011-01-28 17:31:46 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    28 Gennaio, 2011
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Un giornalismo scomodo

“Questo libro raccoglie quel che negli ultimi dieci anni io ho scritto su certi delitti, certa amministrazione della giustizia e sulla mafia. Spero venga letto con serenità.”
Leonardo Sciascia


Questo libro è costituito da una raccolta di articoli che sono stati pubblicati in un periodo che va dal 1979 al 1988 su diversi settimanali e quotidiani nazionali.
Letti acriticamente possono sembrare autonomi, non legati da un filo conduttore, ma se si presta la massima attenzione, soprattutto ove si consideri che Sciascia in tutta la sua attività letteraria si è sempre attenuto a un atteggiamento di aperto contrasto con l’ufficialità dei fatti, troppo incline a celare verità spesso in antitesi con l’evento, è possibile comprendere la rilevante importanza che hanno per conoscere la storia italiana, cosi travagliata, degli anni ’80.
Lo scrittore parte da fatti di cronaca, spesso eclatanti, per una riflessione sul ruolo dello Stato e su una certa incontrovertibile specularità della sua struttura e dei suoi sistemi con quelli del fenomeno mafioso, due entità contrapposte che vivono in osmosi.
Se in origine per primo aveva evidenziato che una certa delinquenza non era un fenomeno comune, a se stante, ma bensì era una struttura radicata nel territorio siciliano e pronta a espandersi a macchia d’olio ovunque, passando poi a rilevare connivenze con lo stato, negli ultimi anni di vita aveva saputo cogliere la confusione esistente fra l’ordine costituito e quello mafioso.
Sono articoli anche con affermazioni brucianti, come quello con cui afferma che il generale Dalla Chiesa fu ucciso perché non aveva capito la mafia nella sua trasformazione in multinazionale del crimine, il che aveva provocato nel figlio dello scomparso una querelle, sostenuta su giornali con toni aspri e piuttosto accesi, con Sciascia che ribadiva il suo concetto, pur nel rispetto del caduto, e con l’altro che ne faceva una questione personale, anzi familiare, ma senza riuscire a contestare in modo logico il pensiero dell’autore siciliano.
L’analisi stringente di Sciascia si rivela poi profetica nel caso del presentatore Enzo Tortora, accusato da un pentito e ingiustamente costretto in carcere. Nell’occasione fu uno dei pochi a prendere le sue difese con argomentazioni incontrovertibili e non per un semplice moto di simpatia e alla fine si è potuto vedere che aveva ragione.
Così come illuminanti sono i suoi giudizi sulla morte di Calvi, su personaggi mafiosi come Buscetta, Sindona e Michele Greco.
Non aveva peli sulla lingua e analizzava, sviscerava arrivando poi a conclusioni che provocavano risentimenti vari, dando luogo a polemiche, a scontri giornalistici.
Con questi articoli è probabile che si sia fatta, almeno all’epoca, una vasta rete di nemici, in una battaglia da Don Chisciotte contro non tanto dei mulini a vento, ma dei poteri immensamente grandi.
Forse qualche volta non ci ha azzeccato, ma quasi sempre è riuscito a vedere oltre l’apparenza, al di là dell’ufficialità, comportamenti che poi, sovente diversi anni dopo, sono venuti alla luce del sole.
A futura memoria è quindi un libro sempre attuale ed è quindi ovvio che la sua lettura è più che raccomandabile.

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