Saggistica Storia e biografie Bestiari del Medioevo
 

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Bestiari del Medioevo

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Gli unicorni non esistono; non moriremo inghiottiti da un ippopotamo; i serpenti non amoreggiano clandestinamente con le murene e un gatto, sia pure scorbutico, non per questo è un agente di Satana. Lo sappiamo tutti, con una certezza talmente «chiara e distinta» da considerare tutt’al piú con benevola indulgenza i testi medievali che sembrano addirittura descrivere queste assurdità sub specie scientiae. In effetti, si può fare: nulla impedisce di ammirare le splendide immagini di questo libro e di divertirsi – molto – con le stravaganti storie di animali che raccoglie. È un criterio esatto. Per l’appunto, avverte l’autore: solo che nel Medioevo esatto non coincide con vero, anzi. Il primo è un concetto superficiale, limitato, personale e di conseguenza impressionistico. Il secondo, una qualità da conquistare, sempre nascosta com’è «sotto il velame» di codici e simboli, che peraltro – grazie alla sapiente regia della Chiesa e degli intellettuali – vanno a costituire un lessico potente e condiviso, fatto di metafore narrative ma anche di colori e forme, cui la ripetizione costante garantisce, alla lunga, vasta diffusione e immediata comprensione da parte del pubblico. Non va mai dimenticato, infatti, che dietro le «favolette» si stagliano grandi figure di uomini dottissimi, profondi e innamorati conoscitori non solo dei testi sacri ma anche, per quanto possibile, dei classici greco-latini. Attraverso la loro opera, questo sapere si conserva e si propaga: istruisce i predicatori, catechizza i fedeli, tende a mitigare i costumi, ma disquisisce anche di amor cortese e, addirittura, trasposto nell’araldica, può trovarsi alla base della costruzione di interi programmi politici. C’è davvero qualcosa di ingenuo, in questo? E chissà che, chiudendo il libro, non ci scopriremo a pensare che gli unicorni non esistono solo perché non siamo addestrati a vederli.



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Bestiari del Medioevo 2020-04-15 07:17:16 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    15 Aprile, 2020
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La volpe è l’incarnazione del Maligno?

L’uomo è sempre stato attratto dal mondo animale e ciò non solo per l’ovvio motivo che da esso traeva gran parte del suo nutrimento e con esso si doveva confrontare, vuoi come avversario nella difficile lotta per la sopravvivenza, vuoi come potenziale fonte di “alleati”. Gli animali sono sempre stati caricati di un forte simbolismo. Gli dei si incarnavano in essi, quando essi stessi non erano animali divini. Gli animali erano i loro messaggeri, i loro esseri totemici, gli inviati agli uomini come punizione o ricompensa. Negli animali si credeva di veder amplificati i pregi e i difetti dell’umanità.
Il medioevo cristiano, lungi dall’abbandonare tendenze tipiche dell’antichità pagana, accrebbe di significati le varie bestie, reali o inventate che fossero, trasformandole in vere e proprie metafore della divinità, del bene o del male, in un mondo in cui tutto era integrato per mostrare al credente l’unicità della Creazione.
Nei secoli tra l'XI e il XV fiorì, così, una ricca letteratura che catalogò e codificò le caratteristiche degli animali dando luce a un filone di manuali ed enciclopedie zoologiche che istruivano sul loro comportamento e sulle loro presunte caratteristiche. I più ricchi e istoriati erano destinati a regnanti e grandi nobili, le edizioni più “economiche” non potevano mancare nei monasteri e nelle case degli uomini di cultura.
Questo libro dello storico Pastoreau ci fornisce una ricca carrellata delle credenze che si andarono sedimentando in quei secoli e ci illustra, con uno stile garbato e senza pregiudizi o saccenti ironie da uomo moderno, le varie tipologie di animali e i simboli che a esse erano attribuiti.
Confesso che mi sono avvicinato al libro con lo spirito dell’uomo moderno, infarcito da documentari sulla natura e indottrinato da letture di etologia e zoologia scientifica, nella speranza di farmi edotto, ma pure di sorridere, sugli “alberi delle oche”, le anfisbene, le manticore, i porci di mare o gli sciapodi (i mitici uomini con un unico piede, ma così grande da poter essere usato come parasole). Insomma ho cercato l’equivalente della donna barbuta che in passato attirava i curiosi nei circhi e nelle fiere.
L’A., però, giustamente avverte che questo è l’atteggiamento sbagliato, anacronistico perché non tiene conto della cultura dell’epoca medievale. L’uomo del Medioevo non ignorava le caratteristiche “reali” degli animali che lo circondavano, ma riteneva che più del reale avesse importanza il “vero”, inteso come il legame tra la dimensione materiale e quella immateriale, cioè quella della verità eterna. Da qui l’aspirazione di descrivere l’aspetto esteriore delle varie specie, ma soprattutto di individuarne i significati occulti (le senefiances), sulla base dei testi sacri, delle etimologie, delle caratteristiche simboliche che ognuno di esse esibiva.
Spogliandosi della supponenza che ci deriva dalle nostre attuali conoscenze (o credenze?) scientifiche la lettura procede gradevole e spedita. Il libro, abbellito da splendide riproduzioni di codici miniati, ci conduce per mano attraverso questa intricata selva di allegorie ove l’unicorno è simbolo di Gesù Cristo, ma pure il carnefice dell’elefante, verso il quale nutre un odio implacabile, nonostante a quest’ultimo siano attribuite tutte le possibili virtù (castità, coraggio, pazienza, bontà, onestà, generosità, etc.). Il bue rappresenta il Bene, mentre il toro è una creatura diabolica. L'iridescente pantera è una figura cristologica, dolce e benevola, al contrario del leopardo (bestia nefasta e pericolosa) che è frutto del suo incrocio con la lussuriosa leonessa.
Se si perdonano all’A. alcuni errori veniali su argomenti spiccatamente zoologici, “Bestiari del Medioevo” è un libro istruttivo e per nulla noioso, che ci aiuta a comprendere la complessa cultura medievale in un campo piuttosto negletto. Può essere gustato sia come opera storica, ma pure come un affascinante libro d’arte ove è piacevole perdersi ammirando le ricche illustrazioni.

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