Nero su nero Nero su nero

Nero su nero

Saggistica

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Molto si parlò di questo libro, quando apparve nel 1979. Ma allora notando soprattutto ciò che Sciascia vi dice della realtà pubblica che lo circondava: l’Italia come paese «senza verità», dal caso del bandito Giuliano all’affare Moro, la cui ombra si stende sulle ultime pagine di Nero su nero. Leggendolo oggi, affiora però con altrettanta evidenza la sua altra faccia, più segreta: quella del libro dove Sciascia ha consegnato, con scrupolosa precisione, pagine essenziali sul suo modo di intendere lo scrivere e la letteratura, che proprio qui viene mirabilmente definita quale «sistema di “oggetti eterni” ... che variamente, alternativamente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad eclissarsi – e così via – alla luce della verità».



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Nero su nero 2014-05-20 16:14:26 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    20 Mag, 2014
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Nulla gli sfuggiva

““Precetto per coloro che indagano nei misteri della Sicilia: se scoprite qualcosa, fatene subito la più larga divulgazione; è il solo modo per mettervi al sicuro. Anche se è un segreto fra voi e la persona che ve l’ha confidato, non tenetelo per più di un’ora: entro un’ora, appunto, la persona che ve lo ha confidato può cadere preda di pentimenti, di rimorsi; può rientrare nel grembo dellac sua chiesa dietro confessione e non senza penitenza.”



È nel 1979 che Sciascia pubblica Nero su nero, una specie di diario che comprende forse le pagine più feroci dell’autore siciliano, in cui la sua capacità di analisi raggiunge vertici elevatissimi; nulla sfugge ai suoi occhi attenti delle vicende del nostro paese e in una serie di riflessioni, o addirittura anche di epigrammi riesce a delineare, senza remore e impietosamente, un quadro nitido dell’Italia, lo stato dagli eterni fascismi nel suo periodo più oscuro e per certi versi tragico, quel decennio avviato nel 1969 con l’uccisione del poliziotto Antonio Annarumma, in quelli che poi furono giustamente chiamati gli anni di piombo.
Non manca la caustica ironia, atta altresì stemperare fatti gravi ancor oggi avvolti nella nebbia, e al riguardo riporto di seguito la perla del cretino di sinistra: “Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi, sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra; ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra, e perciò l’evento non ha trovato registrazione. Tra non molto, forse, saremo costretti a celebrarne l’Epifania”.
A volte si tratta quasi di appunti, di note a fatti di per sé insignificanti, altre invece sono pertinenti ad accadimenti piuttosto noti. Ciò che però sorprende è l’intento letterario che Sciascia sembra voler dare a questi suoi pensieri, pur senza tralasciare quella sua innata e portentosa capacità di analisi che lo ha sempre portato a mettere in discussione le verità ufficiale, per scendere in profondità, svelando nuove e spesso contrastanti altre verità.
Si potrebbe dire che è uno Sciascia a tutto campo, ma pessimista, avviato inesorabilmente verso i suoi ultimi giorni, deluso – ammesso che si fosse veramente illuso – da un’Italia incapace di perdere il suo difetto ben cronicizzato, quello di essere un paese “senza verità”. E in uno scrittore che tanto ha amato ricercare la verità, l’aver constato non solo l’impossibilità di ottenerla, ma una persistente volontà di celarla deve essere stato quasi un trauma. Del resto, proprio le vicende degli anni di piombo, di quella serie sanguinosa di attentati che vanno da Piazza Fontana alla stazione di Bologna, delitti di cui ancora si sa poco, soprattutto sui mandanti, conferma tragicamente che quanto appurato da Sciascia è un male congenito del nostro paese.
Evidenzio nuovamente la stupefacente capacità di analisi, perché se è relativa soprattutto a fatti notori, non manca quella di eventi che non sono stati di certo di dominio pubblico, accadimenti che si potrebbero definire privati, come incontri casuali, o stralci, a memoria, di colloqui le cui parole, dense di significato, sarebbero volate nell’oblio se Sciascia non avesse provveduto a immortalarle in questo libro, spesso ironiche, alcune volte umoristiche (Si parla di politica. Il contadino mio vicino e mio amico a un certo punto dice:” Una volta, qui in paese, c’era una famiglia di buoni mastri-muratori. Io avevo bisogno di murare e sono andato da loro. Mi dissero: noi non possiamo, abbiamo molto da fare; ti mandiamo Merulla – un muratore che conoscevo. E io dissi: e c’è bisogno che me lo mandiate voi, Merulla? Ci vado io, a chiedergli di venire a lavorare da me”. Fa una pausa e poi spiega la parabola:” Io ho votato sempre partito comunista; ma alle ultime elezioni, il 13 maggio, mi sono detto: e che bisogno ho di farmi portare dal partito comunista alla democrazia cristiana? Ci vado io”.)
Di spunti per un’analisi ce ne sono tanti e i più svariati, da quelli che necessitano di più pagine a quelli per i quali bastano poche righe, secche, lapidarie (E’ ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia cretino. Ma di intelligenti c’è stata sempre penuria; e dunque una certa malinconia, un certo rimpianto tutte volte ci assalgono che ci imbattiamo in cretini adulterati, sofisticati. Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa. Come l’olio e il vino dei contadini.).
Insomma, in buona sostanza, ce n’è per tutti i gusti in questo libro, scritto in modo gradevole, accattivante, come solo Sciascia sa fare, quasi che fosse lì davanti a noi a raccontare.
Da leggere, senza ombra di dubbio.

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