Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese
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Il futuro non è ancora arrivato
E' un libro impressionante...ma non è un thriller, è il racconto della nostra realtà sociale sotto forma di interviste a "giovani" come tanti altri, come i nostri figli, nipoti, figli di amici o vicini di casa che hanno tutti una cosa in comune: non hanno un futuro. E' un susseguirsi di lavori precari, saltuari, a tempo ma soprattutto sottopagati o addirittura non retribuiti. E' il ritratto spietato di un'Italia ripiegata su se stessa, chiusa e diffidente verso le nuove generazioni quasi ne avesse paura.
Ma la cosa più sconvolgente è lo sfacelo perpetrato nei confronti delle istituzioni dove i nostri ragazzi dovrebbero formarsi e prepararsi al futuro cioè la scuola e l'università. Molto belli sono il primo capitolo che dà il titolo al libro con la storia dell'insegnante Roberta e quello con la storia di Edoardo, entrambi raffigurano com'è diventato il mondo dell'istruzione nel quale vengono sistematicamente deluse le aspettative di persone capaci, motivate e amanti del proprio lavoro che, in un altro contesto, potrebbero dare il massimo (e per fortuna a volte lo fanno) ai nostri figli (...un mondo in cui un idraulico può prendere in un giorno quanto un docente delle superiori in un mese).
E' il mondo del lavoro che non funziona più né per chi ha studiato né per chi non ha un diploma o una laurea; è un mondo rimasto ancorato a regole che non ci sono più, che non valgono più, la "collettività" dove c'è l'individualismo più sfrenato (...alla Fiat ognuno lavorava per sé...), i sindacati che vivono ancora di stereotipi trascurando le nuove figure lavorative atipiche, l'incapacità di aggregarsi per poter rivendicare i propri diritti (come nel caso dei pastori sardi, dei precari dell'università o dei lavoratori dei call centers).
E' il mondo dei sogni infranti, della globalizzazione, della flessibilità, del vivere giorno per giorno, nel quale essere "locali" è -segno d'inferiorità, di degradazione sociale- .
Il capitolo per me più bello e significativo è quello dell'intervista a Leonardo dove c'è forse la frase simbolo del libro "Del resto siamo una generazione che vive erodendo il capitale raccolto nel passato".
La riflessione che mi è venuta leggendo questo libro è che in questo mondo frenetico, falso, ipertecnologico e globalizzato forse dovremmo tutti fermarci un attimo e tornare indietro riconoscendo i valori fondanti, non l'individuale ma il collettivo, non l'avere tutto e subito ma l'essere, ridare dignità e importanza all'unica cosa che ci può salvare: "la cultura...vera. Che non sta nella produzione e nel consumo di cultura, ma nello studio serio, articolato nel tempo della realtà....Non si tratta di assumere più informazioni perché ne siamo bombardati, ma di selezionarle, di discernere quelle importanti".
Indicazioni utili
Mi chiamo Roberta, ho 40 anni … – Commento di Brun
Aldo Nove confeziona un’opera che è un saggio, un’inchiesta, una riflessione sui nostri tempi e sul nostro paese.
Vengono presentate interviste a personaggi comuni, ciascuna delle quali è preceduta dall’introduzione di un autore che ha un atteggiamento critico e lucido nei confronti della realtà sociale ed economica dell’Italia del primo scorcio del XXI secolo.
Sfilano così:
Roberta, la precaria che dà il titolo all’opera: “Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese …”;
Alessandra, la stagista (“Lo stage è una forma di sfruttamento e di ricatto. Si differenzia dall’apprendistato … perché non insegna nulla”);
Domenico, il pastore sardo (“Ecco. Io, anche se faccio il pastore a tempo pieno, rientro nei lavoratori precari. Flessibili pure …”);
Riccardo, che lavora in televisione (“Un lavoro falso, perché vive inconsciamente sul falso senso di gratitudine che tu dovresti avere semplicemente per aver avuto accesso al magico mondo della televisione”) e sfata il falso miraggio di un’occupazione in questo ambito;
Angelo e Armando, operai (“Una storia, la nostra, di diritti conquistati e poi persi per sempre”);
Cilia, lavoratrice interinale (“L’agenzia interinale è il vero mostro del nostro tempo”; “Oggi è aumentata la domanda di lavoro. Ed ecco i negozi che vendono il lavoro”);
Marco, immigrato … e tanti altri.
Sono tutte figure tragiche di una società svuotata di valori e certezze, ove i ruoli sembrano quelli imposti da un dramma che ha un copione scritto e immodificabile.
In un’Italia che non regge il confronto con l’estero: “Mi piace questa possibilità che ti dà Parigi di … perder il tempo … che è poi la vera base della creatività”.
In aziende che si basano su modelli nefasti: “Per far funzionare un’azienda … bisogna minare le sicurezze individuali”.
Con meccanismi deteriori basati su “doni … per ricordare di ricordarsi … cifre esorbitanti pagate alla figona di turno che per una comparsata di pochi minuti guadagna il triplo di quello che guadagni tu in un mese …”
Le interviste di Roberta & c. sono state realizzate nel 2004 e nel 2005. Nel frattempo la situazione è peggiorata. Si è aggravata. Fenomeni e tendenze, che Aldo Nove ha impietosamente fotografato e denunciato, hanno accelerato il loro corso. Distruggendo speranze, fiducia e prospettive.
Bruno Elpis