Olive, ancora lei
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Recensione della Redazione QLibri
Ancora tu. Ma non dovevamo vederci più?
Ancora lei, Olive Kitteridge. Burbera, spietata, a tratti feroce. Ma anche sincera, vulnerabile, compassionevole. Cosa è cambiato, allora? Cosa aggiunge questo romanzo a quanto già sapevamo sul villaggio di Crosby nel Maine e su questa eccentrica donna, che ci siamo ritrovati in qualche modo ad amare più di dieci anni fa? Il tempo.
Lo sguardo che permea questi racconti è infatti quello di chi è arrivato alla fine del proprio viaggio e inevitabilmente si volta indietro, ai miliardi di albe e tramonti che ci hanno regalato lampi di emozione, ma anche agli errori, ai segreti, alle persone allontanate che ora si vorrebbe poter riavere con sé. E ci si aspetterebbe che, osservato all’indietro, il percorso ci mostri chiaramente il suo senso, plasmato sull’incrollabile verità di ciò che siamo, invece molto di quel che abbiamo vissuto appare infine come qualcosa di accettato, modellato dal caso o dalle circostanze. E ci si sente allora come un pezzo di corteccia a galla sul fiume, in balia dell'acqua, inconsapevolmente in corsa verso la cascata. Oltre la cascata, una solitudine che si colora di paura. Paura di non avere più occasioni o di concedersi di sperare ancora. Di essere traditi dal proprio corpo o dalla propria mente. Di morire.
“E capì che non bisognava mai prenderla alla leggera, la profonda solitudine della gente, che le scelte fatte per arginare quella voragine di buio esigevano molto rispetto”.
È con straordinario rispetto e delicata sensibilità che Elizabeth Strout ci presenta ancora una volta fette di vita quotidiana composte di piccoli gesti, mettendoci di fronte a personaggi sempre in bilico tra l’ordinario e il luminoso, ciascuno con il proprio bagaglio di debolezze, indegnità, rimpianti, ricordi. Senza ergersi a giudice, ma con tenera accoglienza. Ancor più in questo ultimo lavoro, che si avvolge intorno allo stadio della vita forse più fragile e colpito dalla sofferenza. Le pagine si animano di una soffusa malinconia. Le parole appaiono così candidamente limpide e schiette da brillare di poesia. L’emozione del nudo dolore e delle sue inattese consolazioni arriva dritta al cuore. Ricordandoci infine che è proprio nel saper tendere l’orecchio, nel chiedere agli altri qualcosa di sé, nell’empatia, che si può trovare un conforto a quell’abisso che è la solitudine.
“Non ho la minima idea di chi sono stata. Dico sul serio, non ci capisco niente”.
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È tempo di resoconti
Chi ha conosciuto Olive Kitteridge non la troverà molto cambiata in questo secondo libro, se non forse per una nuova e più matura presa di coscienza di sé. Sempre scorbutica ma schietta e sincera, Olive, dopo qualche anno di vedovanza si ritrova nuovamente innamorata. Un amore semplice, consapevole e coraggioso, ora che riesce ad affrontare i fatti della sua vita con maggiore lucidità; un amore utile e necessario, nonostante abbiano poco in comune, se non forse la vedovanza stessa; un amore che è conforto e compagnia. Da sfondo restano le storie di qualche cittadino di Crosby, sempre ricche di spunti di riflessione sulla vita o sui rimpianti, il rapporto col figlio Cristopher e il suo tentativo di costruire amicizie che le vadano a genio, nonostante la sua attitudine alle critica.
Sicuramente da leggere per chi avesse già intrapreso la sua conoscenza, se non altro per accogliere anche questa parte della vita di Olive, e per sentirsi ancora coinvolto nelle chiacchiere e nelle atmosfere degli abitanti di Crosby.
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di Kent Haruf