Narrativa italiana Classici La Divina Commedia. Paradiso
 

La Divina Commedia. Paradiso La Divina Commedia. Paradiso

La Divina Commedia. Paradiso

Letteratura italiana

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La terza "sublimis cantica" - come il suo autore stesso, con profonda consapevolezza e bellezza, la chiamò - contiene in sé qualcosa di unico, che la fa diversa da ogni altra composizione delle letteratura a noi nota. Essa appare nuova anche rispetto alla altre due parti del poema, già così rivoluzionarie nell'invenzione e nel linguaggio. Perché la poesia del Paradiso non racconta vicende di uomini, non descrive paesaggi. Essa si sostanzia di cose che non si vedono e che, soltanto, per fede, si sperano. E tuttavia anche e soprattutto qui il genio di Dante riesce a esprimersi con versi di grande potenza, che si imprimono per sempre nella mente del lettore con immagini di straordinaria forza suggestiva.



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La Divina Commedia. Paradiso 2012-07-10 23:25:29 rakovic
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rakovic Opinione inserita da rakovic    11 Luglio, 2012
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bello, ma per pochi eletti

La terza cantica si distingue notevolmente dalle due precedenti: tanto è immediato e facile descrivere il dolore nella sua forza terrena, quanto è difficile rappresentare la perfezione assoluta che non è di questo mondo. “La gloria di colui che tutto move/ per l’universo penetra e risplende/ in una parte più e meno altrove/ nel ciel che più della sua luce prende/ fui io e vidi cose che ridire/ né sa né può chi da là su discende”. Per poter affrontare un argomento tanto arduo Dante chiede aiuto nientemeno che ad Apollo affinché gli infonda tutto il valore artistico possibile. Se fosse vissuto due secoli più tardi l’Inquisizione lo avrebbe arrostito a fuoco lento.

Dopo i cerchi infernali e le cornici del Purgatorio è la volta dei cieli del Paradiso che in gran parte ricalcano le orbite dei pianeti allora conosciuti: nell’ordine Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, le Stelle Fisse, il Primo Mobile ed infine l’Empireo.
E’ bene precisare che gli spiriti si trovano tutti nell’empireo dove godono di gradi diversi di beatitudine: appaiono a Dante nei vari cieli affinchè il poeta possa rendersi conto più agevolmente delle differenze.

Nella Luna si trovano gli spiriti Inadempienti, cioè che avevano preso i voti religiosi ma non sono riusciti a portare in fondo il loro impegno anche se non per propria colpa, mentre nel secondo cielo, quello di Mercurio abbiamo gli spiriti Attivi tra i quali Dante ha un colloquio con l’imperatore Giustiniano che scrisse l’importante codice di leggi.
Nel terzo cielo, quello di Venere, si trovano gli spiriti Amanti. Dante incontra Carlo Martello che aveva conosciuto e stimato personalmente. Figlio di Carlo II d’Angiò fu amante sì, ma delle arti e della letteratura. Forse qualcuno preferirà l’inferno di Paolo e Francesca.
Diciamo la verità, fin’ora abbiamo incontrato dei comprimari, nessun personaggio veramente degno di nota: Dante si rifarà nei prossimi due Cieli.

Il cielo del Sole (“lo ministro maggior de la natura/ che del valor del ciel lo mondo imprenta/ e col suo lume il tempo ne misura”) è senza dubbio il più bello del Paradiso. Vi troviamo gli spiriti Sapienti tra i quali spiccano San Francesco e San Domenico. Poiché all’epoca vi era un certo attrito tra gli ordini religiosi fondati dai due santi, Dante fa narrare le gesta di S. Francesco al domenicano San Tommaso d’Aquino, mentre per l’elogio di San Domenico è il turno del francescano San Bonaventura da Bagnoregio. Splendido Fair play.

Il quinto cielo è quello di Marte con i suoi spiriti Combattenti. Dante trova il personaggio che preferisco in tutta la cantica: il trisavolo Cacciaguida morto alla seconda crociata. “O fronda mia in che io compiacemmi/ pur aspettando, io son la tua radice”. Come già aveva fatto Farinata degli Uberti nel sesto cerchio infernale, predice a Dante il prossimo esilio “tu lascerai ogni cosa diletta/ più caramente; e questo è quello strale/ che l’arco dell’esilio pria saetta./ Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui e come è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altri scale”. Gufo, ma almeno si capisce il senso.

Nel cielo di Giove si trovano gli spiriti Giusti ed i più importanti sono Carlo Magno, Orlando, Goffredo di Buglione (il vincitore della prima crociata), Davide, Costantino e Traiano che era pagàno ma tanto Dante faceva come gli pareva.
Il cielo di Saturno comprende gli spiriti Contemplanti ed il personaggio principale è San Pier Damiano, una specie di Savonarola ante litteram.

Nel cielo delle Stelle Fisse dapprima assistiamo al trionfo di Cristo e di Maria e quindi compaiono S. Pietro che esamina Dante sulla fede, San Giacomo (“mira mira: ecco il barone/ per cui là giù si visita Galizia”)che lo interroga sulla speranza ed infine San Giovanni che fa domande sulla carità.

Il nono cielo è il Primo Mobile. Prende il movimento dall’Empireo nel quale si trova Dio e che è immobile: infatti il movimento implica un bisogno, una necessità, ma Dio è perfetto così e quindi non si muove. Imprime però il movimento al Primo Mobile e questo, come una serie di ingranaggi e pulegge dà il movimento all’ottavo cielo, questo al settimo e così via. Nel Primo Mobile si trovano le gerarchie angeliche che Dante riprende pari pari dal “De coelesti hierarchia” di Dionigi l’Aeropagita: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli e Angeli (in ordine crescente d’importanza).”Questi ordini di su tutti si ammirano/ e di giù vincon sì che verso Dio/ tutti tirati sono e tutti tirano”. Tiro alla fune.

Finalmente siamo all’Empireo, il top del top. Ha la forma di candida rosa ed all’interno sembra una specie di parlamento perfettamente circolare e diviso in due parti: il vecchio testamento, ormai gremito in ogni ordine di posti, ed il nuovo testamento dove i posti sono occupati solo in parte. Beatrice ha lasciato Dante per mettersi al suo posto ed ora il poeta ha come guida S. Bernardo da Chiaravalle che gli mostra Adamo “il padre per il cui ardito gusto/ la specie umana tanto amaro gusta”, Maria, S. Pietro, San Giovanni, Mosè e tutto il fior fiore della cristianità.
Quindi, nel trentatreesimo canto del paradiso, centesimo ed ultimo della Divina Commedia S. Bernardo recita il celebre inno a Maria “Vergine Madre, figlia del tuo figlio/ umile ed alta più che creatura/ termine fisso d’eterno consiglio/ tu se’ colei che l’umana natura/ nobilitaste sì che ‘l suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura”.
Dante è pronto per assistere alla visione diretta di Dio che gli appare sotto forma di tre cerchi concentrici di luce di tre colori raccolti in un’unica circonferenza. Per la sua mente umana è però difficile esprimere ciò che vede: “oh quanto corto è il dire e come fioco/ al mio concetto! E questo a quel ch’i’ vidi/ è tanto che non basta a dicer poco”.

A questo punto la grande immaginazione del poeta ha fine. Non gli resta che concludere la cantica con un verso quasi uguale a quello che l’aveva aperta: da “la gloria di colui che tutto move” all’analogo “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. “All’alta fantasia qui mancò possa/ ma già volgeva il mio disio e ‘l velle/ sì come rota ch’igualmente è mossa/ l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

Il sacro e il profano si mescolano facendo un tutt’uno in una sorta di cristianità panteistica, inoltre si alternano racconti di vite vissute, come nelle altre cantiche, con disquisizioni scientifico-religiose nelle quali la spiegazione però pende nettamente in favore del trascendente: come può il corpo di Dante librarsi per raggiungere i cieli più eterei? Qual’è l’origine delle macchie lunari? La luce dei beati resterà così splendente anche dopo la resurrezione?La spiegazione è sempre teologica e di estema complessità.
Anche il linguaggio di Dante cambia: diviene più ermetico, si va per similitudini, niente viene chiamato col proprio nome e considerando il tema filo-teologico la lettura procede con difficoltà. Sprazzi di luce in un turbinio di versi di difficile interpetazione.
Sì, il Paradiso lo preferisco per il clima, l’Inferno per la compagnia.







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La Divina Commedia. Paradiso 2011-08-20 17:53:22 miumiu
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miumiu Opinione inserita da miumiu    20 Agosto, 2011
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La poesia della luce

La poesia del Paradiso è particolare, lo stile si eleva e diventa estremamente complesso perché l'autore seguiva il principio medievale secondo cui lo stile deve adeguarsi all'argomento... e quale argomento è più elevato del mondo dei beati?
Se, però, si riesce a superare la difficoltà recata dallo stile si è davvero "trasportati" in Paradiso... la luce, diafana nei primi cieli, diventa sempre più splendente, forma distese fiorite, fiumi, immagini. La terra è lontana ma, attraverso le vicende delle anime, appare sullo sfondo. Gli ultimi canti, poi, sono dedicati a descrivere l'inesprimibile... il poeta stesso ammette che le sue forze non sono sufficienti a compiere "il volo" richiesto ma proprio in questo sforzo letteralmente "sovrumano" sta la grandezza del poeta che si è cimentato con una materia tanto sublime.

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