Narrativa straniera Classici Ricordi d'egotismo
 

Ricordi d'egotismo Ricordi d'egotismo

Ricordi d'egotismo

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Il diario intimo di un uomo che, sulla soglia dei cinquant’anni, traccia un bilancio senza pudori della propria esistenza, “col piacere di chi scrive una lettera a un amico”. Così in pieno Ottocento un diplomatico francese, console a Civitavecchia, abbozza in soli quattordici giorni i suoi Ricordi d’egotismo. Pagine apertamente autobiografiche in cui si trovano impressioni su uomini e viaggi, su Parigi e l’adorata Milano, dove si era consumata la disfatta sentimentale di Stendhal, straziato dall’indifferenza dell’amatissima Matilde al punto di vagheggiare il suicidio.



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Ricordi d'egotismo 2016-06-19 12:23:15 viducoli
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viducoli Opinione inserita da viducoli    19 Giugno, 2016
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Frammenti di un mondo vacuo che ritorna

Stendhal, scrittore caotico e disordinato, lasciò molte opere incompiute, tra le quali spicca sicuramente il 'Lucien Leuwen', uno dei suoi indubbi capolavori letterari. Fra queste vi sono anche i 'Ricordi di egotismo', frammento di un’opera di memorie cui lo scrittore lavorò per poche settimane all’inizio dell’estate del 1832, quando si trovava, in qualità di console, a Civitavecchia.
Nelle intenzioni dell’autore i Ricordi avrebbero dovuto coprire quasi un decennio della vita di Stendhal, il periodo che va dal giugno del 1821 – quando lascia Milano per non cadere nelle grinfie della polizia austriaca che lo sospettava di appoggiare i carbonari, rientrando a Parigi – al novembre 1830 – allorché parte per Trieste essendovi stato nominato console dal nuovo regime orleanista. Come andò è noto: Metternich non espresse il gradimento per il console liberale e Stendhal fu inviato nella noiosa Civitavecchia come console presso lo stato pontificio.
Proprio per sfuggire alla noia che prova nella sonnacchiosa città di estrema provincia Stendhal, che ha da poco dato alle stampe Il rosso e il nero, inizia a scrivere le memorie della sua vita durante la restaurazione, durante il regno degli odiati Borboni, che rappresentava per Stendhal la negazione di tutto ciò in cui credeva, il trionfo – ancor prima che della reazione – della stupidità e della vacuità. Come detto, i Ricordi d’egotismo sono poco più di un frammento, in quanto le poche settimane in cui Stendhal ci lavorò gli permisero di descrivere di fatto solo il primo anno della sua vita parigina, e sono un frammento anche dal punto di vista stilistico, in quanto il manoscritto non fu mai rivisto dall’autore (fu pubblicato per la prima volta solo nel 1892) e si presenta quindi abbastanza disomogeneo e a volte sconnesso, colmo di divagazioni, di spunti che probabilmente Stendhal intendeva sviluppare in seguito, di appunti e note dell’autore in alcuni casi di difficile interpretazione senza le (per la verità stringate) note a margine del curatore della elegante, vecchia edizione SE che ho letto.
Pur con questi limiti, i Ricordi di egotismo rappresentano un testo molto importante per comprendere da un lato la personalità di Stendhal, il suo pensiero politico e i tratti della sua psicologia, dall’altro lo spirito di un mondo talmente antistorico che sarebbe presto stato spazzato via dalla logica ferrea della realtà, ed infine per conoscere alcuni dei personaggi che in tale mondo si trovavano a vivere, molti dei quali essendosi riciclati per far dimenticare il loro passato napoleonico quando non rivoluzionario.
Stendhal riesce quindi, in queste pagine sia pur frammentarie, nell’intento – dichiarato nel primo capitolo – di '…far dimenticare al lettore gli eterni “Io” che qui troverà scritti', presentandoci una galleria di personaggi colorita e a tratti picaresca, riuscendo attraverso questi a descriverci la Francia smarrita e vacua del dopo-Napoleone.
Tutto è ovviamente filtrato dallo sguardo dell’autore, dalla sua capacità analitica e critica, che si esercita anche verso sé stesso, soprattutto nei primi capitoli, che ci parlano della sua disperazione per aver dovuto lasciare Milano e Metilde, la donna tanto amata che non gli concesse mai più di un’intima amicizia. Stendhal in quei primi mesi parigini vive di dolore e di noia, trova Parigi peggio che brutta, insultante per il mio dolore ed accarezza l’idea del suicidio, oltre a quella di approfittare del suo dolore per uccidere Luigi XVIII. Toccante, a mio avviso, per il candore con cui l’autore si confessa, è l’episodio raccontato nel terzo capitolo. Tre suoi amici di allora, vedendolo malinconico, organizzano una serata con alcune prostitute: Stendhal si apparta con Alexandrine, una ragazza molto bella che gli piace, ma non riesce a combinare nulla, perché il pensiero di Metilde si impossessa di lui. Gli amici naturalmente lo prendono in giro e per anni lo soprannomineranno 'babilano'.
Tra i personaggi che Stendhal ci presenta ricordando il primo periodo del suo ritorno a Parigi un rilievo particolare assume La Fayette, che frequentava – al pari del nostro – il salotto della Signora De Tracy, moglie del filosofo illuminista. Stendhal dice di venerarlo per il suo coraggio e per il suo passato, ma non gli risparmia gli strali acuminati della sua pungente ironia, descrivendolo mentre ultrassessantenne, nel 1821, 'viveva alla giornata, tra pensieri scarsi… non si occupava d’altro che di strofinarsi da dietro alle sottane di qualche bella ragazza (vulgo tastarle il culo)'.
Le descrizioni del salotto De Tracy e degli altri luoghi in cui si ritrova una società varia ma in generale vuota di valori, intellettualmente e moralmente corrotta, sono tra le pagine più intense e divertenti dell’opera, e rappresentano tra l’altro un topos letterario che diverrà in qualche modo centrale nella letteratura francese del XIX e dell’inizio del XX secolo. L’emarginato Stendhal, che in quell’epoca sopravvive con pochi soldi, guardato con sospetto tanto dalle autorità quanto dai salotti per il suo radicalismo politico, si vendica così a posteriori delle grettezze e degli opportunismi che lo circondavano.
Annoiato dalla società Parigina, pochi mesi dopo il suo arrivo Stendhal compie un viaggio in Inghilterra, sulle tracce dell’amatissimo Shakespeare. Se da un lato sarà soddisfatto dall’aver avuto la possibilità di vedere alcune opere del bardo interpretate dal grande Kean, dall’altro non manca di farci notare come nell’Inghilterra della rivoluzione industriale, dove la borghesia ormai domina incontrastata, accumulare denaro è ormai la sola preoccupazione delle classi dominanti, che vedono la cultura e l’arte come una inutile perdita di tempo, mentre gli operai inglesi, con la loro giornata lavorativa di 18 ore, sono molto più poveri dei poveri francesi od italiani, che almeno hanno più tempo libero. Durante questo viaggio inglese, quasi a dimostrarci un equilibrio in via di recupero rispetto al dolore dovuto alla separazione da Metilde, Stendhal ci racconta di un altro incontro con una prostituta, durante il quale 'tutto va bene'.
Stendhal dedica anche alcune pagine a Giuditta Pasta, la celebre cantante che riuniva nel suo salotto parigino i rifugiati milanesi, che per Stendhal fu una carissima amica e che rappresentava per lui il legame con Milano. Anche in queste pagine l’autore prende lo spunto per parlarci dei suoi gusti in ambito artistico, specialmente quelli musicali: venera Cimarosa e Mozart, mentre definisce fanfaronate le opere rossiniane.
Molti altri sono i personaggi e le situazioni che questo breve volumetto ci presenta, ma la sua accennata frammentarietà, accentuata dalla tendenza di Stendhal a divagare continuamente per analogia o per associazione, rende difficile seguire un filo logico anche di rendiconto, ragion per cui lascio al lettore inoltrarsi nei meandri della narrazione stendhaliana. Basti dire che a mio avviso i Racconti di egostismo rappresentano probabilmente il primo tentativo della letteratura romantica dell’800 di affrontare un tema – quello del recupero della memoria soggettiva che si fa anche affresco sociale – che quasi un secolo dopo sarebbe stato portato per così dire a compimento da Marcel Proust, non a caso francese e non a caso figlio di Stendhal e di Balzac.
Stendhal probabilmente concepisce i Racconti di egotismo insieme come un esorcismo ed una vendetta rispetto al periodo più difficile della sua vita, quando si trovò solo e sbandato sia in senso personale sia in senso sociale. A differenza di quanto avviene in genere nei suoi romanzi, non racconta 'in media res', ma subito dopo che il mondo da lui descritto si è dissolto con la rivoluzione di luglio. Ciò gli permette probabilmente di apparire un buon profeta rispetto al destino di quel mondo, alla sua vacuità e vanità, che egli riassume ad un certo punto magistralmente così: 'l’unica loro preoccupazione era che i loro capelli, aggiustati in modo da formare un rotolo sulla fronte, non s’appiattissero'. Oggi, che viviamo in un clima culturale e politico per molti versi simile a quello della restaurazione, nel quale senza alcun Congresso di Vienna ci viene imposto di tornare a modelli sociali ed economici prebellici, quanta gente che pensa solo a non permettere che i propri capelli si appiattiscano ci circonda?

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Ricordi d'egotismo 2012-04-20 09:58:13 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    20 Aprile, 2012
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La confessione

Corre l’anno 1832 allorché Stendhal si trova a Civitavecchia nella sua qualità di console. In quella che allora non era neppure una città, ma un paese scarsamente abitato (la maggior parte della popolazione era costituita da galeotti e guardie carcerarie), una landa quasi desolata, lontana mille miglia dai salotti parigini e milanesi, la vita era del tutto noiosa e priva di attrattive, tanto che il ripetersi monotono delle giornate induceva a richiudersi in se stessi, pensando al miglior tempo andato.
Stendhal non può tollerare un’esistenza così piatta e allora cerca uno sfogo nelle memorie, che provvedere a trascrivere in questo libretto stilato in soli quattordici giorni, anche perché dell’idea originaria di parlare dei ricordi di fatti, di eventi, di persone compresi nel periodo che va dal 1821 al 1832, in effetti finirà con il limitarsi a un solo anno, appunto il 1821, perché tanto ci sarebbe da scrivere, ma l’intento, privo di stimoli, finisce con lo spegnersi.
Eppure, per quanto ridotto a un periodo così breve, il lavoro che ne viene fuori è, a dir poco, stupefacente.
La sua è quasi una confessione, una specie di lettera inviata a un immaginario amico che è poi in fondo é lui se stesso.
Ci sono ritratti impareggiabili, come quello di La Fayette, ma molto del lavoro è dedicato ai personaggi femminili, con sempre presente la delusione amorosa per la milanese Matilde Viscontini, una passione non ricambiata che segnò assai la vita dello scrittore francese. C’è ovunque Parigi, ma in sottofondo un richiamo a Milano, città che gli ricorda i trionfi napoleonici, i salotti meno formali di quelli francesi, un altro amore, questa volta tradito, per Angela Pietragrua.
E’ sincero, è spontaneo Stendhal, si confessa senza remore, quasi infierendo su se stesso, ma senza acredine e così lascia spazio a una sottile ironia, che poi sfocia nel riso nel racconto di quando gli capitò di andare in bianco con una giovane prostituta, che non disprezza, verso la quale poi mostrerà tenerezza, sentimento che si tramuterà in pietà allorché l’età comincerà a incidere su di lei i segni inequivocabili dell’attività svolta.
In un solo anno, di cui noi non avremmo molto da raccontare, lui invece ha un calendario fitto, con impegni, appuntamenti, serate nelle case dei parigini più in vista, dove incontra tantissime persone e per ognuna ha il piacere di tratteggiare un ritratto, non solo fisico, ma soprattutto del carattere, con uno stile quasi giornalistico, essenziale potrei dire, e che però consente di non stancarsi in questa girandola di personaggi, ma di far scorrere le pagine come l’acqua limpida di un torrente di montagna.
C’è tutto un mondo che è trascorso, ci sono protagonisti e non della storia, un autentico carosello in cui uomini e donne appaiono, a volte per poche righe, altre invece per più pagine.
Si potrebbe pensare a un libro di pettegolezzi, ma non è così; questi sono lasciati ai personaggi minori, ma li ignoriamo, pur se Stendhal lascia al nostro intuito immaginare conversazioni non solo letterarie, ma civettuole in salotti ottocenteschi.
E in ogni caso, di qualunque uomo o donna si parli, dietro c’è sempre lui, con la sua sottile ironia, la leggerezza del tratto di penna, il desiderio di essere uno dei protagonisti, mettendo in evidenza più difetti che pregi, insomma fornendo il contenuto di un’amabile confessione fra contrapposizioni, incisi e riflessioni.
In contraddizione con il titolo l’unico egotismo è dato dalla sua presenza e nulla trapela della vanità, di quel desiderio di essere al centro di ogni attenzione che invece è propria di alcuni dei personaggi incontrati.
Se voleva fare un esame di coscienza, Stendhal ci è riuscito benissimo, e in quelle poche pagine è possibile conoscere di lui più che in una esauriente biografia.
Con il cuore in mano lo scrittore francese si consegna ai suoi lettori per conoscere se stesso.
Ricordi d’egotismo è un libro assolutamente imperdibile.

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