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I miserabili
 
I miserabili 2011-07-17 09:30:05 R๏гy.o°
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R๏гy.o° Opinione inserita da R๏гy.o°    17 Luglio, 2011
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IL libro

«Questo libro è un dramma che ha l’infinito come personaggio principale. L’uomo è il secondo».

Vorrei iniziare questa recensione con qualcosa che colpisca il lettore, con qualcosa che lo incolli a questa pagina e gli faccia comprendere quanto fondamentale è il libro che ho appena finito di leggere. Ma mi sento svuotata di belle parole, come se solo Hugo fosse in grado di partorirle, e mi sento orfana di pagine che non dimenticherò, pagine che racchiudono una storia indelebile raccontata con una voce soave e sibillina. Mi sento triste per gli accaduti raccontati e per la sorte dei personaggi che in questo arco di tempo – di lettura – sono diventati miei compagni di viaggio.
Avrei voluto fare un commento lucido, analitico e critico di questo Romanzo. Avrei voluto, ma non ci riesco. Non con in testa ancora il ronzio della voce di Hugo. E non sto qui a presentarvi la sinossi, sarebbe troppo riduttivo. Perché dentro la penna dello scrittore francese c’è il mondo, ed è proprio quello – nella sua interezza – che egli è riuscito a riversare su carta. Potrei parlarvi delle piccole perle di saggezza ed eleganza descrittiva sparse nel testo; potrei citarvi quel lunghissimo elenco di vere piccole perle sull'animo ed il comportamento umano (sulla zia di Marius: "Era triste di una tristezza oscura di cui non possedeva ella stessa il segreto: c'era in tutto il suo essere lo stupore d'una vita finita che non è mai cominciata"); potrei elogiare gli ottimi dialoghi: nella “Repubblica”, Platone sosteneva che il modo mimetico della narrazione è quello che riporta i dialoghi in modo diretto, ed è un modo pericoloso, perché al lettore gli si confondono le idee e non capisce se a parlare è lo scrittore o direttamente il protagonista. Con Hugo Platone ha maledettamente ragione, sia sulla lettura che fa scomparire la presenza di terzi incomodi, ché esistono solo il lettore e i protagonisti che parlano direttamente al suo cuore. Sia sul fatto che lo scrittore sia pericoloso.

“I miserabili” uscì in due parti, e la stampa non tardò ad attaccare aspramente l'opera, che venne giudicata troppo favorevole e celebrativa dei moti rivoluzionari. E divenne un libro tanto ‘pericoloso’ quanto letto in tutto il mondo. Un libro con così tanti argomenti, politici sociali morali filosofici e psicologici, e così sapientemente mescolati, che mi stupisco della sua esistenza. Perché “I miserabili” è un’enciclopedia della vita: si legge dell’amore in tutte le sue sfumature, della morte, del coraggio, del mistero, della lealtà, dell’inganno, del rispetto, della cattiveria.. e l’elenco potrebbe non finire mai. Si leggono le posizioni moderne di Hugo rispetto alla pena di morte e alla finalità rieducativa della pena, oppure della schiavitù delle donne ridotte a prostituirsi, ad esempio, oppure ancora sui moti rivoluzionari ("Fra la logica della rivoluzione e la sua filosofia, c'è questa differenza: che la logica può condurre alla guerra, mentre la filosofia non può condurre che alla pace"); e poi ci si cala nel vivo della storia e in particolare nell'intimo di ogni personaggio, tanto da farci scordare che stiamo leggendo un libro del XIX secolo. Pagine liriche ed eccelse, con immagini intense che scuotono l’anima del lettore si alternano a capitoli interi sul gergo parigino, l’argot, o di descrizioni minuziose dei quartieri parigini o della battaglia di Waterloo. La magistrale scrittura di Hugo si rivela per quel che è: come un giallista che si rispetti, anzi addirittura meglio dei giallisti, ci dimostra che nelle sue pagine nulla è lasciato al caso, che niente è superfluo ma tutto è essenziale nelle sue parole, anche quando sembra che si dilunghi fin troppo su particolari 'inutili'. Pagine in cui non si esime nel fornirci i suoi pensieri di denuncia sociale, che possono benissimo essere riassunti nella frase “L’unico pericolo sociale è l’ignoranza”; e su quelli politici: limitare la povertà senza frenare il benessere, oppure aumentare il salario e diminuire la fatica, oppure ancora la considerazione sul lavoro, che non può essere una legge senza essere un diritto.

Nel capitolo IX del libro V si legge: 'Ci sono molte di queste virtù in basso; un giorno saranno in alto'. E’ questo il principio che sta alla base del progetto “I miserabili”. Un progetto che contempla la caduta di molti miserabili, il più importante dei quali è decisamente Jean Valjean, e la volontà di risalire in alto. Per dimostrare di essere forti d’animo e pronti a soffrire per stare bene. Perché mentre si legge, si incontra gente come i Thénardier, che sono esattamente l'incarnazione del Male che deriva dall'Ignoranza. Si leggono di discese sociali che purtroppo (conseguentemente?) vanno a coincidere con quelle morali. Grandissime pagine in cui Hugo si dimostra ben capace – con la sua solita maestria nell’uso delle parole – di descrivere “quel po’ di tutto” che “ c’è nel caos dei sentimenti e delle passioni che difendono una barricata: il coraggio, la gioventù, il punto d’onore, l’entusiasmo, l’ideale, la convinzione, la pertinacia del giocatore, e soprattutto un continuo alternarsi di speranza”. Pagine che restano dentro; dentro al cuore e nella mente di chi le legge e ne resta rapito: se "Notre-Dame" - l’adolescenza - mi aveva folgorato, con "I miserabili" - decisamente la maturità - non riesco a dare una spiegazione razionale del mio amore sempre in costante crescita per Hugo. Secondo la critica letteraria lansonista, che pone alle propria base dei concetti elaborati da Proust, il libro è semplicemente uno strumento ottico attraverso il quale al lettore è permesso di vedere se stesso. Hugo è stato il mio strumento ottico: ho letto di Valjean, Javert, vescovo di Digne, Cosette e altri ancora, ed ho letto di me stessa. Mi sono immersa nella realtà parigina di inizio ottocento e ho vissuto.
Mi si strazia il cuore ad abbandonare i protagonisti di uno dei libri più letti di sempre.

Trovatemi voi un libro migliore di questo.
Leggetelo. E’ un imperativo morale.

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