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La notte di Roma
 
La notte di Roma 2008-05-28 22:10:56 Francesca Romana Letta
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Opinione inserita da Francesca Romana Letta    29 Mag, 2008

La notte di Roma, di Emma Pomilio

Il cupo colore della copertina e il titolo “La notte di Roma” ben simboleggiano l’angoscia e il lutto del popolo romano per la perdita delle gloriose legioni XVII-XVIII-XIX, massacrate nella selva di Teutoburgo dal popolo germanico dei Cherusci (uniti a Bructeri, Marsi, Catti, Angivari e Ampsivari). Ma Emma Pomilio, ancor prima di indagare sulle cause immediate di un così tragico evento apparentemente inspiegabile, con la consueta fedeltà ai dati storici, ne ricerca le cause remote nella struttura stessa dell’impero. È vero: Roma, con il suo valoroso esercito e con la sua sapiente legislazione, è riuscita a costruire uno Stato multietnico e un mercato globale straordinari. Grazie a un efficiente sistema stradale, a una fitta rete di porti e di fiumi navigabili, essa ha reso possibile spaziare in tutto il mondo conosciuto, giungendo anche in luoghi al di fuori dell’Impero... Basti pensare che MARBORD, che “regnava su un’ampia valle verde e ondulata attraversata dall’Elba” e abitata dai Marcomanni, è stato educato a Roma, fa costruire la sua capitale Boviasumen (attuale Budweis nella Repubblica ceca) prendendo a modello i palazzi dei Galli, e di conseguenza usa tutta la sua diplomazia per conservare rapporti amichevoli sia con i Romani, sia con gli altri popoli germanici. D’altra parte, Quinzio e Vestinio, due esperti mercanti romani, si muovono senza posa tra Roma, la Gallia, la Germania e altri luoghi più a nord, per la compravendita di ambre, oro, pelli, schiavi e molte altre merci. Contemporaneamente, nell’Urbe arrivano dall’Oriente oro, pietre preziose, generi del lusso più sfrenato, oltre a schiavi di raffinata cultura, come l’aristocratico greco Emilio. Ma conquistare territori ai limiti del mondo civilizzato, abitati solo da barbari, non può limitarsi ad imporre il dominio di Roma; richiede, invece, una indispensabile collaborazione con le genti sottoposte. “Eppure non possiamo cacciare i barbari, siamo circondati su tutti i confini”, dice la stessa Livia moglie di Augusto. Non solo perché soltanto loro conoscono bene i luoghi, il terreno, il clima, le popolazioni confinanti, ma anche perché Roma da sola non riesce ad arruolare soldati sufficienti a controllare tutti i suoi domini. Ecco, quindi, che Galli, Germani e genti di ogni provenienza, entrano o a far parte del vero e proprio esercito romano, o a costituire le milizie ausiliarie, innestando un costante processo di interscambio tra culture diverse. È questo il crogiolo di una civiltà del domani più aperta, libera da barriere fisiche e ideologiche, che però tende ad appiattire le differenze tra i popoli. Ed è proprio l’avanzata romana ciò contro cui alcuni popoli Germanici si ribellano, a difesa della loro cultura. ”I Romani fanno figli dappertutto, tranne che con le loro mogli; siamo contenti di non somigliare ai romani”, dice il figlio del nobile cherusco Segeste. “I Romani non danno esempio di unità familiare”, deve ammettere Lucio. I Cherusci, dunque, interpretano uno scottante dilemma che coinvolge tutti noi: reagire alla globalizzazione è attaccarsi a gretti particolarismi, o difendere la propria identità e la propria storia? Sotto questo profilo, il libro della Pomilio, che attraverso i problemi dell’Impero Romano sottolinea quelli che attualmente affliggono il mondo, appare di estrema attualità. Come Arminio, capo dei CHERUSCI, avendo fatto sua parte della cultura romana, dimostra di essersi parzialmente allontanato dalla tradizione del suo popolo e di non poter contrastare il corso della storia, così nessun popolo dell’oggi può sottrarsi, volente o nolente, all’interscambio culturale e alla internazionalizzazione dei mercati.

Ma tutto ciò non vuol dire, come afferma Emilia, nonna di Lucio, ”che il progredire della civiltà migliori l’uomo, se non esteriormente”. Un Impero così grande, però, richiede necessariamente un governo unitario, come dimostra l’ascesa al potere di AUGUSTO, nell’immaginario collettivo legato a un’atmosfera di pace e grandiosità. La scrittrice, però, ci invita a considerare ”di che lacrime grondi e di che sangue“ anche il potere di questo principe pacificatore. Augusto, pur nella sua saggezza, come qualsiasi dittatore, deve preoccuparsi di tenere sotto controllo l’opposizione, tutti coloro che non sono dichiaratamente schierati con lui, ma soprattutto i nobili, che si son visti privare del forte potere politico avuto nella repubblica. ”Per non scontrarmi col potere - dice infatti Lucio Cornelio - e poter continuare a vivere nella mia Roma, ho deciso di non partecipare alla vita pubblica”. Ecco, quindi, la necessità di spie, di polizia politica, di allontanamento da Roma dei sospetti, come accade a Lucio Cornelio, principale protagonista del romanzo. Anche la nuova legislazione a favore della famiglia e della moralità pubblica, disattesa dallo stesso Augusto che sposa Livia incinta di un altro, viene spesso usata contro i nemici politici.

Così Giulia, nipote dell’imperatore, viene accusata d’immoralità per non dichiarare che la si sospetta di aver congiurato ai danni dello stesso Augusto. D’altra parte, l’assoluto divieto di parlare della strage di Teutoburgo, la dichiarazione di morte che accomuna tutti i legionari sconfitti, anche i pochissimi sopravvissuti, ci mostrano chiaramente che ogni potere assoluto vuole i suoi eroi, per stupire con la propria immagine e dar lustro al proprio potere. Anche Hitler condannò al silenzio e alla morte morale Von Paulus solo per essersi costui rifiutato di portare a morte sicura tutti i suoi soldati, e Mussolini impedì ai pochi alpini della Julia tornati dalla Russia di mostrarsi in pubblico. Solo partendo da questa complessa realtà, è possibile comprendere il significato della ribellione dei Cherusci, sotto la guida di Arminio, considerato nei secoli eroe nazionale dell’identità germanica, come dimostra la statua in suo onore, eretta a Groteburg, in Assia. In stretta interazione con questa storica rivolta, si svolge la vicenda esistenziale del nobile tribuno romano Lucio Cornelio noto come “l’Auriga”, prototipo di molti nobili realmente vissuti sotto il regno di Augusto, sospetto al potere per essere stato un amante di Giulia. In realtà, secondo un inveterato costume di Roma, le accuse diffuse ad arte sul conto del tribuno servono ai delatori per impossessarsi del suo grande patrimonio. Sistema che, senza dubbio, getta cupe ombre sul decantato diritto romano. Data l’amicizia con Arminio a lungo ospite nella sua casa di Roma, Lucio si reca in Germania, nell’illusione di sfuggire al controllo delle spie, che in realtà lo seguono ovunque. Qui, riesce a cogliere numerosi segnali premonitori dell’attacco dei Cherusci e, dopo il rinvenimento del cadavere del romano Quinzio nel santuario votivo dei Cherusci, mette in guardia Varo, per evitare un disastro. Questi, però, condizionato dai sospetti diffusi da Arminio, non lo ascolta. Intanto il capo dei Cherusci, forte della sua perfetta conoscenza delle tecniche e delle strategie militari romane, proprio mentre si finge grande amico dei romani, unisce sotto il suo comando tutti i popoli disposti alla rivolta. Ad incitarlo, c’è Hilda, una giovanissima profetessa, proprio la stessa di cui Lucio, dopo averla strappata alla forza travolgente delle acque, si innamora, attratto dalla sua bellezza nordica e dalla sua forte personalità.

Per l’“auriga”, razionalista e scettico, anche la tendenza della ragazza a divinizzare le forze della natura (“la dea del fiume non ha l’aspetto di donna. La dea è il fiume con le sue manifestazioni benigne e tempestose”), è una dimensione poetica ormai dimenticata, che egli considera con ammirazione, anche se con apparente ironia. Varo, persuaso della sincerità dei consigli di Arminio, dà ordine alle legioni di percorrere, invece delle sicure strade fortificate da loro costruite, paludi e foreste, dove improvvisamente vengono attaccate e, malgrado l’eroica resistenza, quasi completamente trucidate. Lucio, sopravvissuto all’eccidio con altri tre romani ma ridotto in schiavitù dallo stesso Arminio che vuole salvarlo, dopo rocambolesche fughe, ritrova Hilda, la profetessa, bella, alta, bruna, diversa dalle donne dei Cherusci, con magnetici occhi azzurri”, ormai in disgrazia presso i Cherusci. Ella non discende da questo popolo e, pur amandolo, è profondamente legata alle sue radici e alla madre sacerdotessa, a cui è stata strappata da un nobile cherusco durante una rapina oltre il Danubio. Un preziosissimo bracciale di rubini e smeraldi a forma di serpente, conservato nel santuario dei Cherusci, è la concreta testimonianza di questi tragici eventi. Hilda, che per Lucio è “Armonia, armonia in sé e con tutto quello che la circondava”, non è come le altre donne, non vuole scegliere un marito ed avere dei figli. A causa delle sue profezie è considerata quasi una strega, anche perchè ama un nemico. Lucio, bruno, bello, forte, malgrado le apparenze, ha molte affinità con lei. Anche lui è un “diverso”, innanzitutto perché rispetta i barbari, tanto da indurre Arminio a dire ”Lucio è orgoglioso di essere romano, ma è un uomo rispettoso degli altri e delle loro usanze”. Egli, inoltre, non integrato col potere, è spiato, sospettato e indesiderato nella sua stessa patria. Ma la maggior delusione, che l’auriga riceve nella città da lui tanto amata, gli viene inflitta dal suo miglior amico Caio Valerio che, pur d’impossessarsi del cospicuo patrimonio di Lucio, diventa l’amante di sua moglie Marcella, uccide l’amata nonna Emilia, diffonde sospetti sul suo conto, si serve di una schiera di servi e di spie, per seguire le sue mosse. L’incendio con cui Lucio distrugge la sua meravigliosa casa piena di oggetti preziosi, simboleggia efficacemente l’addio dell’”auriga” alla sua vita precedente, per cominciarne una nuova accanto a Hilda.

Sullo sfondo di magnifici paesaggi ricchi di foreste, paludi, fiumi, importanti città come Magonza, Argentorate, Roma e altre, agiscono anche altri personaggi, personificazioni di specifici modi di vita dei due popoli: Tusnelda, affascinante moglie conquistata da Arminio col rapimento; Varo, fiero del suo ruolo di comandante romano, ma borioso e superficiale; Rufio, forte legionario romano proveniente dalla Siria, pieno di disprezzo per i barbari, tanto da torturare e far prigioniera Hilda.

Il romanzo della Pomilio, dunque, pur essendo un romanzo d’azione in cui i protagonisti si spostano senza posa su uno scenario internazionale, è contemporaneamente un romanzo di critica storica e di attualità. Infatti, anche in questa sua seconda opera, come nella prima “Dominus”, la scrittrice non si accontenta, come abitualmente accade, di contemplare ciò che di stupefacente Roma ha saputo costruire, ma ci guida a scoprirne gli aspetti più reconditi e i problemi più gravi, spesso correlati all’uomo in sé e non solo ad una specifica epoca storica.

Soffermandosi, poi, sulla descrizione di tanti paesaggi, l’autrice ci induce implicitamente a cogliere le profonde differenze tra la luminosa realtà mediterranea a cui Roma era abituata, e le foreste del nord, apparentemente cupe e paurose, ma in realtà ricche di fascino e di acque. Inoltre, molti dei cosiddetti barbari che la Pomilio ci presenta, non sono nient’altro che la personificazione di una dimensione di vita naturale, anche se a volte primitiva, dimenticata dai Romani. Le conquiste, la ricchezza e il lusso, infatti, li hanno allontanati dai veri valori della vita, ivi compresa la sacralità della famiglia. È per questo che, tanto al tempo di Augusto quanto ai nostri giorni, non sono delle semplici leggi che possono consolidare questa cellula base della società.

Nel libro non mancano valide notazioni di carattere psicologico, a proposito della diversità, ad esempio. Per inserirsi bene nella propria comunità, è necessario condividerne valori, metodi, comportamenti. Se attraverso il ragionamento, l’esperienza, il confronto con altri vissuti, si giunge ad acquisire convinzioni e comportamenti più avanzati, più tolleranti di quelli delle persone con cui si vive, si è guardati con sospetto. Un tempo si era considerati streghe o lupi mannari, ora emarginati. Così accade a Hilda e a Lucio, che sentono il bisogno di crearsi una nuova vita lontani dal loro ambiente. Particolarmente apprezzabili sono i toni sfumati con cui la scrittrice delinea la loro delicata storia d’amore, dove non c’è spazio per esagerazioni da telenovela e dove si registra uno stridente contrasto con l’amara storia di Dafne. È una bellissima donna di talento, considerata soltanto come lucrosa merce di scambio, al pari di tante altre donne del passato e del presente che, loro malgrado, si sono trovate a far le prostitute. Ed è per questo che un’atmosfera tristemente malinconica accompagna il solitario declino della donna, rovinata dagli anni e dai maltrattamenti, consapevole di non avere futuro.

Il poliedrico romanzo della Pomilio, dunque, spaziando dalla storia romana alle condizioni della donna, dall’identità nazionale ai problemi psicologici, può veramente definirsi una profonda riflessione sull’uomo, la società, lo Stato, al di là delle epoche storiche e dei regimi politici.

Un’ultima considerazione, sul linguaggio di Emma Pomilio. Nella sua prosa prevale la struttura paratattica, con poche e brevi subordinate. Il ritmo è intenso, con una successione rapida di immagini. Il tono sembra distaccato, come se la narratrice volesse rimanere estranea agli eventi. Ciò dà al romanzo quasi una veste di oggettività, di pura narrazione storica, senza mai cedere alla tentazione di trasformare il lavoro in un melenso e inutile “romanzo d’appendice”.





Francesca Romana Letta

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