Narrativa italiana Classici Poemi conviviali
 

Poemi conviviali Poemi conviviali

Poemi conviviali

Letteratura italiana

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La presentazione e le recensioni dei Poemi conviviali di Giovanni Pascoli. Dopo i Primi poemetti, che saranno seguiti dai Nuovi poemetti, Pascoli alza il tiro con questi Poemi conviviali (1904): un titolo che allude contemporaneamente ai «carmina convivialia» della poesia arcaica latina, alla vagheggiata origine conviviale della poesia e alla rivista «Convito» dell'amico Adolfo De Bosis, che ospitò appunto alcune di queste composizioni. Docente per molti anni di letteratura latina, autore di antologie di poeti classici in quella lingua (Epos e Lyra), vincitore più volte del certame di Amsterdam per composizioni latine, Pascoli si lancia ora con testi italiani tutti riferiti a personaggi e miti greci, dopo essersi mosso nel mondo romano con i Carmina. Il viaggio verso la grecità è per Pascoli un'inchiesta vichiana, o quasi antropologica, sulle origini, un'interrogazione sulla significanza primigenia del mito. La repressione dei sentimenti, del desiderio e della nostalgia trova, nei personaggi evocati, la parola dagli echi più profondi, anche perché continuamente riferita al pensiero della morte. Pascoli, in questi testi stupendi, ha rinnovato il proprio linguaggio, adeguando i ritmi alla lentezza descrittiva dei modelli classici, da cui trae, rinnovandoli, elementi formali stranianti, come le parole composte. Giuseppe Nava, massimo pascolista, illustra con rara sapienza ogni particolare dei testi: un trionfo dell'intertestualità, in particolare per la felice combinazione del linguaggio d'epoca, anche pascoliano, delle tradizioni poetiche italiane, e d'immagini e allusioni e forme classiche. È in un'analisi funzionale che si congiunge l'interpretazione letterale precisa con l'acclaramento delle idee guida e dei riferimenti autoanalitici.



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Poemi conviviali 2014-03-02 14:58:31 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    02 Marzo, 2014
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Un Pascoli che non finisce di stupire

Va dato atto a Giovanni Pascoli di averci lasciato un’ampia e variegata produzione poetica, ampia perché numerose sono le raccolte composta ognuna da un consistente numero di liriche, variegata perché, pur nel solco del decadentismo, e quindi con una visione della vita improntata al pessimismo, i temi trattati non sono ripetitivi. Che l’autore romagnolo fosse un gran conoscitore della letteratura greca e di quella latina, non vi è dubbio, tanto che le insegnava, dapprima agli istituti superiori e poi all’università, anzi era così ben ferrato nella bellissima lingua degli antichi romani da vincere più volte il difficile concorso di poesia latina che si teneva ogni anno in Olanda. Questo piccolo preambolo non introduce tanto a liriche scritte in latino, ma a una raccolta di una ventina di componimenti pubblicata nel 1904 e in cui vengono rievocati personaggi mitologici e dell’antichità. Quindi si tratta di un unicum nella produzione di Pascoli, ma di particolare e rilevante valore. Sono opere appunto riunite in unico volume, ma che in buona parte già in precedenza erano state pubblicate su Il convito, un’elegante e raffinata rivista diretta da Adolfo de Bosis e a cui partecipava anche Gabriele D’Annunzio. Ed è appunto dal nome di questa rivista che questi poemi prendono il titolo; degni di apparire su quelle pagine si presentano nel complesso come il frutto dei profondi studi classici di Pascoli, ma se l’estetica, attraverso una veste letteraria impeccabile, è un colpo d’occhio ineguagliabile, del tutto innovativi sono i contenuti. Eppur si parla di personaggi noti, di protagonisti di opere immortali, ma la rivisitazione degli stessi da parte del poeta romagnolo fa sì che, oltre a farceli sentire vivi, spezzi quell’alone di mistero e di magia che li circonda e ce li faccia sentire vicini, nelle loro umane e naturali debolezze. È indubbio che ciò che rattrista l’autore è quella contemporaneità che anziché rappresentare un segno del progresso, sancisce una regressione a cui pare non esservi rimedio. I vizi capitali della società pascoliana sono l’ingiustizia, il caos, una costante e progressiva disumanizzazione, contrastati con una presa di posizione radicale e decisa che, per esempio, in Alexandros di traduce in un’aspirazione all’oltre.
Non è un caso, tuttavia, se le due figure più emblematiche sono anche quelle più mitiche, e mi riferisco ad Omero, che in Il cieco di Chio, accetta la sua condizione di buio, in cambio e dell’amore e della seconda vista, quella dell’anima, e al suo ben noto Ulisse..
Ciò che più sorprende, però, è L’ultimo viaggio, con un Ulisse ormai vecchio che vuole ripercorrere la sua Odissea, ma non trova più corrispondenza fra ricordi e realtà, così tutto gli sembrerà frutto di un sogno, il risultato di una vita forse non vissuta; eppure, se dei Ciclopi, delle Sirene non è rimasta traccia, sarà fra le braccia di Calipso, in grembo a colei che gli aveva offerto l’immortalità, che l’uomo di Itaca si abbandonerà all’ultimo definitivo sonno (…/ Giaceva in terra, fuori del mare, al piè della spelonca, un uomo, /sommosso ancor dall'ultima onda: e il bianco / capo accennava di saper quell'antro, / tremando un poco; e sopra l'uomo un tralcio / pendea con lunghi grappoli dell'uve. / Era Odisseo: lo riportava il mare / alla sua dea: lo riportava morto /alla Nasconditrice solitaria, all'isola deserta che frondeggia / nell'ombelico dell'eterno mare. / Nudo tornava chi rigò di pianto / le vesti eterne che la dea gli dava; / bianco e tremante nella morte ancora, chi l'immortale gioventù non volle. / Ed ella avvolse l'uomo nella nube / dei suoi capelli; ed ululò sul flutto / sterile, dove non l'udia nessuno: / - Non esser mai! non esser mai! più nulla, / ma meno morte, che non esser più! - ).
Anche gli eroi, anche i miti sono destinati a finire e la caducità umana quindi non ha limiti, marchiando ogni essere di un senso di onerosa limitatezza.
Pascoli non smentisce quindi il suo pessimismo, ma il suo, più che un urlo disperato, è un pianto silenzioso per il destino di ogni uomo.
Da leggere, perché questi poemi sono semplicemente stupendi.

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Myricae, I canti di Castelvecchio, Primi poemetti, tutti di Giovanni Pascoli
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Poemi conviviali 2010-10-21 19:32:56 Indigowitch
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Indigowitch Opinione inserita da Indigowitch    21 Ottobre, 2010
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Il Pascoli che preferisco

Non ho gli strumenti critici adatti per analizzare questa splendida opera poetica, ma fortunatamente una recensione non è un saggio di critica letteraria, quindi dirò semplicemente la mia.
Non amo particolarmente Pascoli, pur riconoscendo il suo talento poetico, ma i Poemi Conviviali sono l'opera che preferisco.
Nei vari poemetti vengono richiamate le figure più importanti della mitologia e della storia greca classica: Achille, Ulisse, Alessandro Magno.
Questi uomini-mito, che ci sono sempre stati descritti avvolti in un'aura di semidei, in Pascoli diventano fragili, perfettibili, soggetti anche loro al potere corrosivo della Morte.
Achille,simbolo di spavalderia e di energia inesauribile, sa che lo scontro mortale è vicino e trova un tenue conforto nel corpo di Briseide, che lo osserva con le guance rigate di lacrime.
Ulisse, celebre per l'astuzia e l'intelligenza lucida, viene dipinto ormai anziano alla ricerca delle tracce del suo lungo viaggio. Quasi sull'orlo della follia, non riesce, incredulo, a rintracciare la benché minima prova di quello che ha vissuto: il Ciclope, Circe, le Sirene, sono tutte delle illusioni.
Solo Calipso, colei che gli aveva offerto l'immortalità, lo riconosce, e accoglie il suo cadavere ormai esangue sulla spiaggia. E proprio lei pronuncerà i versi più belli e criptici di questo poema.
E infine Alessandro Magno, ossia la brama di conquista e l'inesauribile voglia di scoperta, deve arrendersi alla finitezza di un Universo che ormai non ha più segreti per lui.
Commentare le immagini suggestive che costellano questi componimenti sarebbe riduttivo.
A me hanno lasciato in bocca qualcosa di inesprimibile, a metà tra l'amarezza e la fascinazione.
Consigliato vivamente.

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