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Perdere la bussola
Neppure dei Nobel ci si può fidare. E' infatti la prima volta che mi capita un libro, scritto da un'autrice gratificata dall'ambito Premio, che mi pare assolutamente non all'altezza.
Si tratta di un romanzo che fa sospettare un assemblaggio di racconti con la medesima protagonista.
Per struttura può ricordare "Olive K..." della Strout, ma come personaggio Olive è molto più interessante, una figura drammatica con un epilogo in linea col suo carattere aspro e puntuto.
Qui, invece, Rose viene presentata come una studentessa d'eccellenza, ma la sua presunta cultura e il livello intellettivo proprio non si avvertono. Quale donna irrealizzata è resa come figura banale, una che non può fidarsi di se stessa ; che si crede libera, invece è solo un po' libertina. Tutto narrato senza grandi sussulti vitali, quasi appiattito in una scrittura pur gradevole, ma nulla di più.
Come personaggio che non può fidarsi di se stesso, mi ricorda il protagonista di "Casa" dell'eccellente Marilynne Robinson. Là però lo spessore dell'analisi psicologica e il dramma di un individuo sono resi con una profondità che affascina e sconvolge, che apre a domande di fronte alle quali ci si sente smarriti, come capita leggendo Dostoevskij.
Qui invece nulla di tutto ciò : si respira quell'atmosfera un po' femminilista, che troviamo in certe scrittrici di poco talento, se non addirittura una punta di compiacimento ; una sensazione sgradevole personalmente sperimentata ancor più in "Va' dove ti porta il cuore" della Tamaro.
Non escludo che A. Munro sia una grande scrittrice, ma questo libro non le fa particolare onore.
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