Narrativa straniera Classici All'ombra delle fanciulle in fiore
 

All'ombra delle fanciulle in fiore All'ombra delle fanciulle in fiore

All'ombra delle fanciulle in fiore

Letteratura straniera

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Premio Goncourt nel 1919, All'ombra delle fanciulle in fiore rappresenta, all'interno di quel "tout vivant" che è la Recherche, il momento spirituale e biologico della giovinezza. Libro "corale", "estroverso", di un fascino duraturo, è anche un libro "marino", nel quale il paesaggio della costa normanna insolitamente assolata, tratteggiata con tocchi impressionisti, fa da sfondo al doppio amore del Narratore per Gilberte prima e per la piccola banda delle "fanciulle in fiore" poi, in cui spicca Albertine. Tra i molti incontri decisivi, quello con lo scrittore Bergotte e il pittore Elstir, che inizieranno il Narratore alla vita e all'arte.



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All'ombra delle fanciulle in fiore 2022-07-31 09:08:32 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    31 Luglio, 2022
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Sogni e desideri

“All’ombra delle fanciulle in fiore”, parafrasando il titolo, è il volume dei “bocci”: giovani donne nel fiore dell’età e della giovinezza, i primi e sofferti amore dell’io narrante, atmosfere vaporose dell’estate, aria di vacanza.
Chi ha letto il primo volume, sa molto bene che i titoli sono indicativi: il contenuto torrenziale, dalla prosa ricca di volute, a trama quasi zero, è un fluire di ricordi, di suggestioni, di sensazioni, di riflessioni.

La lettura della Recherche, che sia il primo o l’ultimo volume, porta con sé sempre un po’ di smarrimento: ogni romanzo che la compone nella sua complessità è privo di quella struttura cui il lettore ha bisogno per orientarsi, per usare le parole di Carlo Bo, per “legare la risposta alla domanda, la soluzione al problema”. E invece con Proust tutti questi canoni saltano, vengono ribaltati e stravolti: ci troviamo di fronte ad una trama moltiplicata all’infinito.

L’opera riconferma dell’impareggiabilità di Proust, incoronata, stavolta, dal Premio Goncourt e anche dal plauso del pubblico.
Di fronte ai capolavori sublimi della letteratura mondiale, ogni commento entusiasta è pur sempre poca cosa.

La Recherche du temps perdu non è una rappresentazione della realtà, ma è una ricerca del passato , di quel “paradiso perduto” da far rivivere ogni volta dentro di sé, è una ricerca della verità. Una verità che però rimane pur sempre parziale e Proust lo sa e sembra -mi verrebbe quasi da dire - che ami lasciare il lettore in questa situazione di sospensione. Proprio come faceva al di fuori della finzione letteraria, stando a quanto testimoniato dalla governante del nostro scrittore, Céleste Albaret, nel libro Monsieur Proust.

Anche qui vi sono più centri e nuclei narrativi che si possono grossomodo ricondurre alle due parti che lo compongono: “Intorno a Madame Swann” dove l’io narrante si innamora della figlia di Swann, avuta da Odette, Gilberte, e dal capitolo delle vacanze a Balbec, dove impararerà ad amare Albertine.
Nella prima parte, quella che nel primo volume ci era sembrata una giovane cocotte scialba, ignorante è qui innalzata al ruolo di Madame Swann, donna matura, circondata da innegabile fascino e da immancabili corteggiatori. Lo scrittore ama mostrarci le sue toilettes, ci mette al corrente dei pettegolezzi scambiati con le sue ospiti nel grande salotto di casa Swann. Cura del dettaglio e studio delle impressioni: questa è una delle mille sfumature di colore che compongono la tavolozza del talento di Proust.

Il lettore non ha il tempo di sentire l’amaro in bocca per l’infelice matrimonio di Swann, che prova compassione per il povero Je narrante che si innamora, non ricambiato, di Gilberte. La prima parte, come anche nella seconda, include sempre un interessante spaccato sulla società che cambia, sull’aristocrazia che odora di stantio e che guarda con disprezzo e timore i parvenues, i nuovi ricchi così ben rappresentati nel primo volume dai Verdurin. Proust ce li fa conoscere senza raccontare in terza persona i personaggi più rappresentativi, ma attraverso il particolare dei loro vestiti, l’arguzia o l’imbecillità dei loro discorsi, la loro sensibilità verso l’arte, la natura, la bellezza, attraverso i loro discorsi. Sono personaggi che a volte sembrano avere vita propria anche al di fuori del romanzo stesso.
Ed è così. È innegabilmente così.

La seconda parte del romanzo è ancora più coinvolgente, più emozionante, probabilmente non ci saranno le stesse atmosfere nei volumi successivi: in Nomi di paese: il paese (da notare la variazione con il titolo dell’ultima parte del precedente volume) l’io narrante è con l’amata nonna a Balbec per respirare l’aria di mare benefica per la sua malattia, l’asma. Come nell’ultima parte del precedente volume, il richiamo all’Italia, al desiderio di vedere quei luoghi, coi suoi paesaggi coi suoi tesori d’arte fa da preludio al capitolo dedicato ai sogni, alla speranza di conoscere la bellezza, quindi al desiderio.
In questa parte l’amore e il legame con la nonna si mostra in tutta la sua necessità

“Una volta le dissi: “«Senza di te non potrei vivere. — Ma non bisogna, mi rispose con voce turbata. — Bisogna indurire il nostro cuore. Altrimenti, che ti succederebbe se io partissi per un viaggio? Spero invece che saresti molto ragionevole e molto felice. — Saprei essere ragionevole se tu partissi per qualche giorno, ma conterei le ore. — Ma se partissi per dei mesi... (a questa sola idea mi si stringeva il cuore) per degli anni... per...». Tacevamo tutti e due. Non osavamo guardarci. Eppure, soffrivo più della sua angoscia che della mia”.

E’ il romanzo della giovinezza, della “ridicola età, un’età per nulla ingrata, anzi feconda caratterizzata dallo stupore, dalla meraviglia, dagli errori di valutazione delle persone e quindi delle prime grandi delusioni. E’ il romanzo del sogno e del desiderio”.

“La pressione della mano di Albertine aveva una dolcezza sensuale in armonia, si sarebbe detto, col colorito roseo, leggermente mauve della sua pelle. Era una pressione che sembrava farvi penetrare nella fanciulla, nella profondità dei suoi sensi, come la sonorità della sua risata (…)”


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All'ombra delle fanciulle in fiore 2020-08-12 13:04:37 kafka62
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kafka62 Opinione inserita da kafka62    12 Agosto, 2020
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SULL'ALTARE DEL DESIDERIO

“À l’ombre des jeunes filles en fleurs” è il bellissimo titolo, evocativo, poetico, musicale, del secondo capitolo della “Recherche”, in cui Proust racconta l’adolescenza del protagonista, una stagione impregnata di desiderio e di sensualità, di eccitazione e di profumi, dei primi piaceri sparsi quasi per caso durante il gioco con una compagna e delle sensazioni dionisiache che per la prima volta rendono le ragazze più attraenti dei quadri e dei monumenti. Certo, non manca in questa seconda parte l’impagabile rassegna di tipi del bel mondo, attraverso un’osservazione inesausta, acutissima e raffinata, la quale, ai limiti della satira di costume, mette alla berlina i vizi e le idiosincrasie dei contemporanei: l’insopportabile snobismo aristocratico, la rozzezza e l’ignoranza nascoste sotto i titoli nobiliari e l’alto lignaggio, l’ostentazione di amicizie e di conoscenze prestigiose (e spesso fasulle) al solo scopo di farsi un nome in società, via via fino ai malori inventati per non dover dare a vedere di non essere stati invitati al ricevimento del marchese Caio, il disprezzo per la duchessa Tizia che ha l’unico difetto di frequentare l’amica Sempronia, la quale potrà poi rivalersi e vantare con tutte questa preferenza, con strascichi penosi di invidie e recriminazioni, la competizione tra salotti rivali, e poi ancora odi dissimulati, malignità sussurrate alle spalle, veleni propinati con eleganza, ecc. ecc.
E’ però con l’entrata in scena dell’amore e dell’innamoramento, non più raccontati in terza persona (come in “Un amore di Swann”), che prende corpo il nucleo centrale di “All’ombra delle fanciulle in fiore”. Anzi, il romanzo può essere visto come una ricca e doviziosa trattazione della fenomenologia del desiderio (e dell’annesso dispiacere) amoroso. Gilberte e Albertine sono i due poli di attrazione tra i quali il nostro oscilla, con una dedizione sentimentale assoluta ed una sensibilità capace di cogliere miracolosamente tutte le più lievi sfumature di un sentimento reso acerbo solo dalla personalità in continua maturazione dell’adolescente, non certo dalla sua minore intensità. Tra le due muse, vi sono però decine di altre ragazze che il narratore magari incrocia fuggevolmente per strada e che gli lasciano intravedere, attraverso un processo di sublimazione cui non sono estranee l’impossibilità di realizzazione, la brevità dell’esperienza e la labilità del ricordo, abissi di felicità; ragazze che, come le amiche di Albertine, sono come fiori tra i quali il protagonista, come un’ape attratta dal polline, indugia con voluttà, innamorato di tutte e, in fondo, innamorato di nessuna; ragazze la cui immagine egli insegue incessantemente, senza mai ritrovarla uguale (clamorose sono, ad esempio, le “metamorfosi” di Albertine, che ogni volta si ricompone sotto lo sguardo del giovane “emergendo dal pulviscolo del ricordo”) perché sono in un’età in perpetua e costante trasformazione. Le pagine dell’estate a Balbec sono pagine solari, paniche, in cui perfino le differenze di classe vengono meno, e gli obblighi sociali sono facilmente sacrificati di fronte alla Bellezza, pagine che descrivono un'età irripetibile come quella della prima giovinezza e nelle quali, nonostante tutto, si insinua un sottile velo di malinconia, giacché in quelle divine creature si intuiscono già i tratti che, di lì a poco, si irrigidiranno definitivamente, facendo sfiorire definitivamente il loro irripetibile fascino.
Questa considerazione mi riporta a quello che è il tema principale della “Recherche”, vale a dire la dialettica temporale. Molto spesso l’opera di Proust è stata analizzata solo in relazione alla dimensione del passato in rapporto al presente. E’ questa, certo, una parte fondamentale della filosofia proustiana: il passato, in tutto l’arco della “Recherche” viene sublimato, evocato minuziosamente (persone, luoghi, odori, ecc.) fino a giungere a formare un “nuovo” presente, un presente parallelo, eterno e non più modificabile, grazie alla sua cristallizzazione nel piano “perfetto” dell’opera d’arte. Ma c’è anche dell’altro nella complessa dialettica temporale di Proust. In particolar modo è importante sottolineare come il presente venga influenzato non solo dalle madeleines del passato, ma anche dal futuro. Non è solo una questione di desideri, di sogni e di aspettative, e della coscienza che essi si realizzino o meno. E’ qualcosa di metafisico, se così si può dire. Il presente viene infatti avvelenato dal pensiero che le persone che oggi amiamo domani non ci saranno più (pensiero della morte) o non ci ameranno più (pensiero della transitorietà dell’amore). Fin qui nulla di particolarmente originale e innovativo. In realtà, ciò che ci fa soffrire di più è la consapevolezza che anche noi saremo talmente cambiati da non sentire più la loro assenza. Il protagonista si allontana da Gilberte per far sentire di più in lei la propria mancanza e ravvivare così il suo amore, ma sa benissimo (ed in ciò sta il vero strazio) che così facendo sarà lui un domani a essere disamorato (“la felicità ci arride quando, ormai, ci lascia indifferenti”). Così il pensiero che la perdita dei propri cari sarà elaborata, e la vita (anestetizzata dall’Abitudine) procederà normalmente senza di loro, ci provoca un’ondata di sdegno, in primo luogo contro noi stessi.
L’impossibilità della felicità è sancita dal fatto che forziamo il tempo per cambiare il nostro destino (anche semplicemente crescendo, uscendo dall’infanzia per diventare uomini), pur sapendo (ed è la coscienza di ciò a farci soffrire di più) che così facendo anche noi cambiamo, e i termini della nostra felicità sono sempre diversi da prima, e quindi perennemente, malinconicamente irraggiungibili se non nella dimensione della creazione artistica. Ma anche questa, forse, è un’illusione, dato che se è vero che l’opera è destinata a durare per sempre, il creatore non può goderne, in primo luogo perché essa è apprezzata e compresa appieno solo dai posteri e quasi mai dai contemporanei, e in secondo luogo per l’implacabile intervento della morte, la quale, proprio nel momento in cui abbiamo “recuperato” il tempo passato, che diventa perciò tempo “ritrovato”, ce lo toglie inesorabilmente di mano. In tale ottica, non è neppure possibile una visione religiosa della vita, perché il nulla e l’eternità sono sotto questo aspetto identici, nel senso che entrambi ci portano via quello che nell’arco della nostra vita abbiamo faticosamente conquistato. Da qui deriva un pessimismo molto particolare, che non ha nulla della negatività e del ribellismo di Kafka o Leopardi, ma che pure è totalmente sconfortante, raggiungendo con toni più malinconici e sfumati le loro medesime conclusioni, persino nella constatazione della fugacità e della precarietà del desiderio. Quando infatti il narratore si invaghisce delle fanciulle incontrate fuggevolmente per strada, è costretto a rendersi conto dell’illusorietà del suo desiderio, che è alimentato – come si è già detto - proprio dall’inaccessibilità della persona intravista ma che, qualora l’incognito venisse meno, sarebbe destinato a dissolversi in un istante. In tal modo il desiderio delle cose che non possediamo (e che pure è l’unico a rendere più interessante la vita) diventa analogo a quello che un moribondo sente verso i giorni futuri che gli sono negati, anche qualora questi fossero, come il più delle volte succede, squallidi e meschini.

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All'ombra delle fanciulle in fiore 2020-07-22 09:36:25 siti
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siti Opinione inserita da siti    22 Luglio, 2020
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Sete d’amore, sete di sole

Stupendo secondo volume della Ricerca proustiana, un viaggio letterario ineguagliabile, un ritrovarsi in una prosa cristallina, netta, perfetta, dalla cifra stilistica che non corre mai il pericolo di lasciare indietro il contenuto, sapientemente dosato, centellinato nelle oltre cinquecento pagine, a riscoprire il piacere di un trama impalpabile ma tangibile, tesa ad annullare i fatti mentre li propone come solo la pittura impressionista sa fare. Impressioni , sensazioni, pensieri , colti nell’immediato ma arricchiti da considerazioni a posteriori che oscillano fra il gusto garbato dell’anticipazione e lo sguardo ricco di senno di chi ripercorre la propria giovinezza, o meglio una porzione di essa. Un’estate lunga, a Balbec, la prima lontana dai genitori, in compagnia della nonna, nel Grand Hotel che fotografa, cristallizzandola, la realtà sociale francese ancora in bilico, in questo primo scorcio del Novecento, fra nobiltà e borghesia, una realtà , di contro, tutta protesa verso la novità dettata dal progresso tecnologico. Un narratore alle prese con i suoi primi ardori, nella prima parte, di ambientazione parigina , nei confronti di Gilberte, la figlia di Swann e di Odette, dapprima agli Champs –Élysées poi, gradualmente, nella dimora della coppia, quasi un fortino da espugnare, per vedersi infine ripagato da un intero gineceo in spiaggia, in Normandia. Le fanciulle in fiore, visione prima, messa a fuoco poi e selezione fra esse di una predestinata al suo amore: Albertine, sfuggente come un cerbiatto, accessibile come una soglia da varcare a cui si frappone intanto un gradino inatteso. Un vissuto sottratto all’oblio cui sarebbe stato destinato, come tutto nella vita. Il processo dell’innamoramento, il mistero del ruolo giocato dalla casualità in certe alchimie che si vorrebbero lontane dal mistero e totalmente imbevute della nostra volontà, per scoprir poi che l’amore procede seguendo, dettato dal caso, semplicemente i binari della nostra fantasia, del nostro immaginare, supporre e ricercare nell’altro una porzione meno fumosa di noi stessi. Il volume è trapuntato di considerazioni di tal misura, ogni volta colpiscono per l’ingenua verità e truce che contengono, permettendo al lettore un ritrovarsi universale, meravigliandolo per la semplicità con la quale viene trasposto in scrittura un pensiero sicuramente abbozzato un tempo anche nella sua mente, senza averne mai avuto la capacità di recuperarlo, analizzarlo, fissarlo nella sua estrema veridicità. Proust ha il dono di recuperare il suo tempo, il suo vissuto, coinvolgendo il lettore in un’altra ricerca, simile alla sua, anche se ora più personale: quella del proprio tempo perduto. "All’ombra delle fanciulle in fiore" è semplicemente uno scritto contraddistinto dalla grazia della giovinezza, dall’eleganza del ricordo, dalla istantaneità di un quadro impressionista. Coglie l’attimo, lo fissa, per sempre dilatando la percezione del proprio universo temporale.

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La strada di Swann
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All'ombra delle fanciulle in fiore 2019-12-04 13:05:51 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    04 Dicembre, 2019
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Il canto della Primavera

"All'ombra delle fanciulle in fiore" , libro bellissimo e sfavillante nella traduzione di G. Raboni.
Il secondo volume della Recherche può essere definito il Canto della Primavera della grande opera di M. Proust.
Gilberte e Albertine ne sono le muse ispiratrici, creature lievi, quasi eteree.
Chi risalta particolarmente è però Odette, ora Madame Swann e madre di Gilberte, tant'è che in tutta la prima parte del libro, a Parigi, m'è parsa lei la protagonista, una moderna botticelliana Flora.
(L'altra parte è invece ambientata a Balbec, sulla costa della Normandia).

Il narratore stesso ne subisce pienamente il fascino. S'incanta a "sentir suonare Madame Swann" : "il suo tocco mi sembrava far parte, come la sua vestaglia, come il profumo delle sue scale (...) di un tutto individuale e misterioso".

"All'improvviso, sulla sabbia del viale, lenta, calma e lussureggiante come il fiore più bello, (...) Madame Swann faceva sbocciare intorno a sé toilettes sempre diverse (...); e innalzava e dispiegava (...) la cupola serica d'un vasto ombrello identico per sfumatura alla cascata di petali del suo vestito".
"E'sopravvissuto il piacere che sempre provo (...) rivedendomi discorrere così con Madame Swann, sotto il suo parasole come sotto il riflesso d'un pergolato di glicini" .

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