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Gita al faro
 
Gita al faro 2021-09-25 18:42:32 archeomari
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
archeomari Opinione inserita da archeomari    25 Settembre, 2021
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Un lampo tra le tenebre del tempo

Se un libro è considerato un capolavoro, un motivo ci sarà. I libri belli non sono quelli che piacciono per forza a tutti, ma sono quei libri talvolta difficili che ti lasciano addosso qualcosa che sa di eterno.

“Al faro” non è per tutti, il lettore va avvisato. Il focus del libro non è assolutamente una piacevole ed agognata gita fuori porta che profuma di mare e risuona dei versi dei gabbiani. Se cercate questo nel libro, chiudetelo. Chiudetelo, assolutamente, perché siete a quanto di più lontano dall’opera della scrittrice.

Non è un libro di trama, è invece un libro di stile. Uno stile equilibrato, dove il virtuosismo non è troppo ardito e, quindi, accettabile.

Ho riscontrato una sola difficoltà. I flussi di coscienza sono multipli, ora entriamo nei pensieri di un personaggio, ora nei pensieri di un altro e questi voli pindarici, che talvolta si accavallano, richiedono concentrazione altrimenti si rischia di non seguire la scrittura. Io ho riletto le prime trenta pagine almeno due volte, poi sono riuscita ad armonizzarmi con lo stile e da allora è stata solo una piacevolissima scoperta.

Avevo già letto La signora Dalloway, ed apprezzato con immenso piacere lo stile della scrittrice. Ho trovato originale e particolare il romanzo “Orlando”, ma “Al faro” mi rende concorde con coloro che lo ritengono il capolavoro della Woolf.
Per apprezzare pienamente quest’opera secondo me, sarebbe interessante leggere il diario della scrittrice, perché è lì che lei spiega la concezione di To the lighthouse, tradotto ultimamente con il titolo “Al faro”, titolo più vicino all’idea del testo.
Non è la gita al faro il cuore della narrazione, ma la tensione verso un qualcosa incarnato da un faro, che potrebbe significare la verità, il senso del tempo, la realizzazione delle aspirazioni personali disattese.
Il faro potrebbe essere il ricordo della madre di Virginia Woolf, qui rappresentata dalla signora Ramsay.

Nel diario Virginia Woolf scrive:

“the presence of my mother obsessed me. I could hear her voice, see her, imagine what she would do or say as I went about my day’s doings. She was one of the invisible presences who after all play so important a part in every life […], It is perfectly true that she obsessed me, in spite of the fact that she died when I was thirteen, until I was forty-four”

Un giorno, la scrittrice, illuminata da una specie di correlativo-oggettivo, pensa a sua madre e immediatamente immagina un faro. Scrive velocemente il libro, libera un fiume in piena. La scrittura diventa la terapia per elaborare il lutto dopo tanti anni.

Ma “Al faro” è un concentrato di materia letteraria: non solo la figura centrale della madre che tiene unita la numerosa famiglia, ma anche il tema dello scorrere del tempo, della precarietà delle nostre vite, delle tensioni umane, dell’amore, delle ipocrisie, del non detto che rode le viscere, dei pensieri che scorrono più vivi e veri del meccanicismo delle azioni quotidiane. È un libro che parla di attese, di bellezza, di natura, di ricordi, di consuetudini di una famiglia che ad un certo punto perde il suo “faro”, e tutto questo è raccontato in una esplosione di immagini e di puro lirismo. Perchè il signor Ramsay e la signora Ramsay, tratteggiati magnificamente dalla penna della scrittrice, corrispondono grosso modo al padre e alla madre della Woolf!
Il padre, filosofo, con le sue idiosincrasie, le sue letture preferite, le sue concezioni sul sesso femminile, innamorato della bella moglie, odiato dai figli perché ama quasi contrariarli

“…i figli generati dai suoi lombi, dovevano rendersi conto sin dall’infanzia che la vita è difficile, la realtà intransigente, e il passaggio a quel paese favoloso ove le nostre speranze più vivide s’estinguono e le nostre frali scorze naufragano nella tenebra(…)”
(Traduzione Giulia Celenza, ediz. Garzanti)

La signora Ramsay, come la madre dell’autrice, rappresenta ciò che c’è di buono e di bello, è amata da tutti, mette una buona parola sempre per gli amici e muore prematuramente.

“Tutti ricorrevano a lei, da mattina a sera, così, perché era donna; chi voleva una cosa, chi un’altra; i ragazzi crescevano; e a lei pareva ormai d’essere niente più che una spugna inzuppata d’emozioni umane”.

Il libro è diviso in tre parti, un trittico di tre pannelli dove poesia e colori incontrano flussi di coscienza e talvolta epifanie liriche: La finestra, Il tempo passa, Il faro.

Interessante anche il personaggio di Lily Briscoe, che probabilmente è l’alter ego della Woof, nubile, pateticamente legata al sogno di dipingere bei quadri, che riflette sui rapporti tra i sessi:

“Ella non avrebbe mai capito quel giovanotto. Quel giovanotto non avrebbe mai capito lei. Le relazioni umane erano tutte così, ella pensava, e peggio ancora (fatta eccezione per il signor Bankes) quelle fra uomini e donne. Quelle poi erano estremamente ipocrite”.

Ah, l’amore, quel sentimento così “puerile, eppure così necessario!”

Raramente ho trovato pagine così intense, non serve leggere un libro di trama, i grandi autori non sarebbero grandi se avessero scritto libri “facili”. I grandi autori hanno fatto proprie le sensibilità del tempo in cui sono vissuti, le hanno rielaborate, hanno corretto centinaia di volte i loro scritti non punti dalle esigenze di mercato, ma dalle esigenze della letteratura. Quella vera.

Al faro è un libro pieno di luce e di colori, quelli ad acquerello che usa Lily Briscoe per dipingere la cara amica ormai estinta e quelli della letteratura che usa Virginia Woolf.

“Di scatto, come se qualcosa la richiamasse laggiú, si girò verso la tela. Eccolo – il suo quadro. Sí, con tutti i suoi verdi e i suoi azzurri, le linee che correvano verticali e di traverso, la sua aspirazione a qualcosa. L’avrebbero messo in soffitta, pensò, sarebbe andato distrutto. Ma che importanza ha? si chiese, prendendo di nuovo il pennello. Guardò i gradini; erano deserti; guardò la tela; era confusa. Con repentina veemenza, come se per un attimo lo vedesse distintamente, tracciò una linea là, al centro. Era fatto; era finito. Sí, pensò, posando il pennello stremata, ho avuto la mia visione.”

Voglio terminare con una piccola citazione di Hisham Matar (introduzione, edizione Einaudi):
“…l’intero romanzo è come un lampo che per un istante inonda la foresta. Invece di disperdere l’oscurità, ne lascia una traccia indelebile”.

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La signora Dalloway
Le onde
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Commenti

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"Un libro pieno di luce e di colori" : che bella sintesi dello stile dell'opera : I. Calvino l'avrebbe definito di ' leggerezza pensosa ' .
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