Le recensioni della redazione QLibri

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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    28 Ottobre, 2013
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Una morte misteriosa: intrighi e segreti...

Una morte segreta a Taormina, nell'inverno piomba sulla tranquilla città come un fulmine improvviso; una città che scorre nei suoi ritmi usuali e nella quale pare che nulla possa influire sui suoi consueti equilibri...Al contrario la morte di Efre, una donna ricca proveniente da una famiglia facoltosa e per questo rimane sotto gli occhi di tutti come un preambolo di un benessere generazionale che pare scivolare inesorabilmente alla deriva..
Chi può averla uccisa e perchè?
L'autore ci presenta un libro lievemente noir, scorrevole nel tratto e che si legge senza difficoltà, senza grossi traumi, senza troppi colpi di scena...
Giacomo Cassisi, un giornalista del luogo indaga cercando di far luce su questa vicenda, scontrandosi naturalmente con l'omertà dei suoi concittadini, la complicità dei suoi superiori e delle alrvate forme di minaccia che lo colpiscono direttamente.
Danni all'auto, tentativi di introdursi in casa sua, intromissioni nel suo computer e la fuga misteriosa di Nisciula, la sua gatta, segno tangibile che qualcuno si è misteriosamente introdotto nella sua abitazione e ha curiosato nel suo computer..
La figura di Giacomo è molto ben delineata, è un professionista "curioso" che cerca di portare alla luce le verità nascoste di quella morte sospetta, ma esse non vogliono assolutamente venire a galla.
Giacomo è circondato in questo suo percorso professionale da varie figure femminili: un'amica giornalista, una collega con cui fa sesso, la misteriosa femmina della chat e la signora della famiglia altolocata che tenta di sedurlo per chiudergli la bocca.
In questo miscuglio di personaggi e situazioni ambigue, Giacomo si muove con disinvoltura e pur essendo attorniato da figure femminili, mantiene la sua situazione di scapolo che in alcuni momenti può essere considerata invidiabile, in ogni modo egli vi si trova perfettamente a suo agio...
Egli ci presenta infatti la sua quotidianità che rivela il gusto della vita: le sue abitudini giornaliere, il tempo che scorre fra indagini, colazioni al bar e incontri galanti con belle donne, infine serate solitarie in compagnia della sua gatta.
Ho trovato questo libro carino, interessante e rilassante, una lettura che comunque delinea la natura ironica e giocosa dell'autore, per quanto si ha l'impressione che la storia sia almeno in parte autobiografica..
Consigliato.
Agli amanti del genere poliziesco...
Saluti.
Ginseng666

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peucezia Opinione inserita da peucezia    27 Ottobre, 2013
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Una Sophie Kinsella in salsa italiana

La letteratura chick lit diffusasi a partire dagli anni Novanta ha visto trionfare protagoniste generalmente britanniche o perlomeno di lingua inglese nate dalla penna di scrittrici altrettanto di lingua inglese. Generalmente si tratta di protagoniste appartenenti all'alta borghesia e piuttosto frivole con un gusto spiccato per la moda. Testi ironici e frizzanti completano gli ingredienti. Valeria Angela Conti, autrice del romanzo Una crociera sui tacchi riesce a riprodurre in toto quelle caratteristiche classiche del chick lit pur essendo assolutamente italiana. Tuttavia la protagonista del romanzo è altresì inglese, ricca, anche laureata ma comunque innamorata della moda ( con una passione smodata per le scarpe a tacco 12). Bianca, ha 28 anni, è bella, a metà tra la kinselliana shopaholic Becky e la fashionista Carrie Bradshaw ma è stata abbandonata praticamente sull'altare dal secondo scapolo più interessante di Londra dopo il principe William.
La crociera da sogno che affronta da single la metterà di fronte a una serie di avventure a metà tra il rosa e il giallo perché per gran parte della vicenda si assiste a una serie di misteriosi furti occorsi a bordo della nave . Anche i personaggi che la ragazza incontra sono altrettanto sopra le righe: uno scrittore glamour, una coppia di buffi pensionati, un enigmatico italiano e infine miss Polly, una vecchietta che per le sue misteriose apparizioni e sparizioni ha il ruolo di spirito guida . Le descrizioni dei paesaggi da sogno e della vita da crociera sono realistiche così come l'accurata esposizione sull'abbigliamento di Bianca, ragazza indubbiamente fortunata visto che si permette di entrare nei negozi più cari del mondo facendo incetta di capi di abbigliamento e soprattutto di calzature.
Stile brioso e scorrevole, citazioni anche colte, il libro è una piacevole alternativa alla letteratura di genere tradotta in italiano ma di lingua inglese e potrebbe essere tranquillamente esportato perché la scrittrice espone con competenza pur affrontando ambienti e caratterizzazione appartenenti a un'altra cultura.
Libro coniugato al femminile da leggere tutto d'un fiato da regalare alle fashionistas ma anche alle intellettuali con la puzza sotto il naso e a chi ama sognare spensieratamente. Ottima prova della scrittrice dalla quale però ci si aspetta una versione chick lit ambientata in Italia.

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Sophie Kinsella, letteratura chick lit
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    27 Ottobre, 2013
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Nonsenso globale

Doveva esserci una qualche ragione se Alan era lì. Perchè si trovava sotto una tenda a 150 km da Gedda? Sì, ma anche: perchè si trovava sulla Terra? Molto spesso il significato era nascosto. Molto spesso richiedeva un certo scavo. Il significato della sua vita era un'inafferrabile vena d'acqua centinaia di metri sotto la superficie, e periodicamente lui calava il secchio nel pozzo, lo riempiva, lo tirava su e beveva. Ma questo non lo sosteneva molto a lungo.

Alan, americano, ex venditore porta a porta, imprenditore fallito si trova in Arabia saudita ad aspettare il re (che non si sa se e soprattutto quando arriverà) per vendergli la tecnologia che solo l'azienda americana per cui lavora, almeno in teoria, dovrebbe avere. Vengono ospitati in una città fantasma nel deserto, dentro una tenda, con l'aria condizionata che non funziona, aspettando re e funzionari che non arrivano.
In attesa del re, Alan stringe amicizia o almeno qualcosa di simile con il suo taxista e alcuni personaggi locali. I rapporti tra persone non sono mai del tutto chiari, la differenza di culture fa nascere improvvisamente malintesi e barriere alternati a slanci e momenti di sincerità rara come accade a volte solo tra perfetti estranei. Il libro è sicuramente geniale nella forma e interessante nei contenuti affrontando in modo originalissimo il tema della globalizzazione e dell'ingiustizia di fondo di una economia sempre meno nazionale,rigorosamente basata sul profitto. L'ingiustizia sociale si trasmette sotto forma di malessere e incombente follia ai singoli individui come una vibrazione.
A Gedda i rapporti con la gente del posto sono amichevoli, è piacevole venire a contatto con mentalità diverse ma a volte c'è un fondo di sospetto da ambo le parti. Non si è mai certi di cosa ci si può aspettare dall'altro. Il finale forse è un po' meno bello del resto, ho l'impressione che si perda qualche maglia della storia e che qualche nodo non venga al pettine. L'esito della transazione finanziaria è quello che ci si può immaginare date le premesse. Comunque il libro è molto, molto piacevole da leggere, originale e effettivamente formidabile. Non saprei a quale altro libro paragonarlo.

"Questo posto sta per scoppiare" disse la donna etiope.
"Questo posto sta per scoppiare?" Alan pensò che intendesse alludere a una specie di guerra. Una forma di terrorismo. Qualcosa di simile al massacro della Mecca del 1979, tutti quei pellegrini morti.
"No, no" disse lei. "Le donne. Le donne saudite non ne possono più. Hanno chiuso con questo merdaio. Abdullah sta cercando di aprire delle porte, spera che le donne riescano a farsi largo, a procedere da questo punto. Crede di essere GORBACIOV. Sta raddrizzando le tessere del domino. L'Università mista è stato il primo passo. L'ECRA il secondo."
Alan si rivolse agli altri due. "Voi siete d'accordo?"
Gli altri due annuirono. Probabilmente ne sapevano più di lui.

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paola melegari Opinione inserita da paola melegari    27 Ottobre, 2013
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capire se stessi

Lo stile di questo giovane autore mi ha colpito fin dall’inizio.
Dalla prima pagina è stato un piacere leggere, senza annoiarsi mai, le parole fluivano veloci e in men che non si dica il libro era finito.
La storia narra di Raul giovane impiegato.
Dopo aver perso entrambi i genitori cade in un periodo buio, beve, si lascia andare, non ha più stimoli.
La madre , Agnese,poco prima di andarsene, confessa di aver subito uno stupro, e spiega che quello era stato il motivo della sua chiusura verso tutti, verso la vita in genere.
Danilo, il marito non sopporta di non aver intuito il problema della moglie e, disperato, si suicida.
Il povero Raul rimane solo, anche se solo forse lo era già da prima. La famiglia aveva naturalmente dei problemi, legati alla chiusura di Agnese
‘’ora, solo, di fronte al mondo bastardo,non sapeva da che parte girarsi, dove attaccare dove difendersi.
Mollusco inerme , aveva riposato imbelle protetto dai suoi cari, per poi restare disarmato e allarmato, incapace di reazione’’.
A un certo punto della vita dopo incontri ‘fallati’’, si deve scovare un modo per riemergere, tornare ad essere protagonisti del proprio destino.
Così si torna ad uscire, con una collega, Romina, con la ragazza del supermercato, Katia.
Ma Raul non è pronto , sfrutta a suo vantaggio entrambe le relazioni sentimentali, combinando un vero casino.
Così, cosciente della sua inadeguatezza, lascia tutto, donne amici e lavoro.
In autunno parte per Formentera, dove si trova casa e lavoro, e incontra una persona che gli sarà amica.
Qui Raul fra lavoro e panorami stupendi, riflette sul suo passato, solo così riuscirà a metabolizzare la perdita dei genitori, e il perché di alcuni comportamenti.
Capirà ciò che davvero vuole dalla vita.

-La trama è piacevole, lo stile davvero ricco, moderno, disinvolto e scorrevole.
Complimenti al giovane autore, Alberto Vailati , mi ha davvero impressionata positivamente.
Attendo un nuovo romanzo con una certa impazienza.

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Racconti di viaggio
 
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Zine Opinione inserita da Zine    27 Ottobre, 2013
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La Porta tra due mondi

I diari di viaggio sono un genere poco gettonato, in questo periodo, ma personalmente li ho sempre amati. Non solo ti portano in luoghi lontani; ti avvicinano all’anima di individui che non conosci. Ti permettono di accostarti alla loro esperienza personale, alle loro avventure come alle domande e ai pensieri che nascono durante esperienze vissute tanto lontano da casa. Da essi si può imparare qualcosa, o trovare spunti di riflessione anche importanti.
Il viaggio fatto da soli non funziona come fuga dal nostro quotidiano, dai problemi che ci assillano, ma offre la possibilità di valutarli e ragionarci sopra da un punto di vista più calmo, oggettivo. Un viaggio può aiutare a trovare soluzioni, a conoscersi meglio attraverso il nuovo che ci circonda, a dipanare quei nodi che le abitudini hanno intrecciato dentro di noi.
In “La mia Istanbul” di Francesca Pacini, edito con Edizioni Ponte Sisto, ho trovato il connubio desiderato di bella prosa ed esperienza di viaggio, verità dei fatti e cammino spirituale. La scrittrice non solo dipinge a tinte vivide una città che è diventata la sua meta d’elezione, una seconda casa che non cessa mai di affascinarla e arricchirla, ma ci permette di accostarci a temi che oggi sono di estrema attualità e che ci vengono proposti senza il filtro dei pregiudizi occidentali: la società moderata musulmana, il ruolo e le abitudini delle donne, la cultura islamica in generale.
Una prosa a tratti onirica, ogni capitolo è un dipinto realizzato usando le parole come colori. L’amore di Francesca Pacini per ciò che descrive e per il suo viaggio – dell’anima e del pensiero, oltre che del corpo - è palpabile in ogni frase e le restituisce quell’afflato di sincerità che il lettore non può che apprezzare, godendosi la proprietà di linguaggio e la sua musicalità non solo nel piacere della bella scrittura ma godendo dello sforzo – non artificioso – di rendere con le parole più adatte, gli accenti migliori, ciò che è stato veramente visto, respirato, gustato. Soprattutto, amato.
Istanbul, per sua natura, è un ponte tra Occidente e Oriente, un luogo liminare ove si uniscono due continenti, da una parte e dall’altra di un braccio di mare che ha visto accadere innumerevoli gesta degli uomini. Come tale, conserva in sé numerose contraddizioni e mostra al visitatore sia la sua parte musulmana tradizionale che quella più spregiudicata e godereccia dei quartieri del divertimento. Occorre capirne entrambi i volti per entrare nell’atmosfera di questa città magica, ricchissima di Storia e segnata da sanguinose battaglie.
Ogni parentesi di questa esperienza crea un momento di meditazione, dà forma a una domanda su cui sarebbe il caso di fermarsi a riflettere per il tempo necessario ad aprire la mente a diverse forme di pensiero, a culture differenti. L’odio e l’incapacità di accettare le altrui abitudini derivano soprattutto da una cecità radicata dalla convinzione che il proprio modo di vivere sia il solo a poter essere etichettato come “giusto”. La Pacini si avvicina alla realtà musulmana con la mente aperta, senza rinnegare le proprie tradizioni ma disponibile a cercare di comprendere quelle altrui.
Riveste per lei grande significato la possibilità di approcciare un nuovo modo di concepire e vivere la femminilità, senza intenti polemici ma in un’analisi personale di ciò che è diventato il corpo della donna nella cultura occidentale e la valenza che riveste invece nella cultura musulmana. Come sempre, ciò che non si ha possiede un fascino tentatore. Per le musulmane, il desiderio di una maggiore libertà di costume. Per la donna occidentale senza pregiudizi, un ritorno a quel minimo di pudicizia, di consapevolezza delle differenze oggettive tra uomo e donna e quel rispetto reciproco senza ostentazione del corpo che le lotte femministe hanno travisato e cancellato, andando oltre gli intenti iniziali e appiattendo, in qualche modo, la figura della donna.
La mistica sufi riveste un ruolo essenziale nell’attrarre costantemente la Pacini a Istanbul. Il fuoco interiore dei dervisci, la loro danza che unisce al trascendente e supera le leggi della materia, conserva per lei un’importanza fondamentale, conducendola – insieme ai riti dell’hammam – a percepire una dimensione spirituale più ampia, lontana dal tran-tran frenetico del mondo materiale.
Il contatto con le povere ma dignitose famiglie curde, con modi di vivere tradizionali e con donne tentate dall’Occidente, le interminabili camminate lungo le strade sempre imprevedibili di Istanbul, conducono Francesca Pacini – e noi con lei – in un viaggio di sogno, un’esperienza che disgrega e rinnova, in un tentativo riuscito di mettere in parole un’affinità elettiva.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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calzina Opinione inserita da calzina    27 Ottobre, 2013
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la sottile linea rossa della convivenza

Kate Burkholder è il capo della polizia di Painters Creek nello stato dell’Ohio. In questa cittadina convivono pacificamente la comunità Amish e la comunità degli “inglesi”(così come vengono chiamati dagli amish stessi coloro che non fanno parte della loro comunità).
Ma Kate non è una poliziotta qualunque; all’età di quattordici anni fu vittima di una violenza truce tale al punto di segnare profondamente la sua personalità e da indurla a fare scelte drastiche nella propria vita, prima fra tutte l’abbandono della comunità amish di cui faceva parte.
Per questo motivo Kate è oggetto di pregiudizio da parte di entrambe le comunità che, nonostante la professionalità dimostrata, mostrano diffidenza nei suoi confronti. Diffidenza completamente assente da parte dei suoi collaboratori, tre agenti in servizi uno di riserva e due centraliniste, che hanno estrema fiducia e stima nel capo.
Nella convivenza pacifica di queste due comunità si insinua però un omicidio. Viene ritrovato in un campo il corpo tremendamente seviziato e insanguinato di una donna. Toccherà a Kate e a tutto il suo staff indagare su questo omicidio, vedendola costretta a dover affrontare i ricordi legati alla violenza subita nel passato.
Questo thriller mi è piaciuto. La narrazione è fatta in prima persona dalla protagonista Kate, la terza persona è utilizzata solo quando sono descritti fatti in cui Kate non è presente. La scrittrice decide però in modo interessante, di far parlare in prima persona anche nel singolo tratto del libro in cui è l’assassino a mostrarci il suo punto di vista. Un solo, unico, pensiero in tutto il libro. Ho trovato questo particolare significativo, è secondo me ferma convinzione dell’autrice non permettere scusanti all’assassino.
Come ogni buon thriller suspance, sangue e adrenalina si mescolano sapientemente fino a formare un ritmo serrato, di quelli che non vuoi staccare gli occhi dal libro.
Ho apprezzato moltissimo anche l’ambientazione di questo romanzo; la comunità amish era fino a poco tempo fa poco conosciuta e questo spesso portava a considerarli degli integralisti religiosi. Questo libro ci permette di capirne le dinamiche e le abitudini, la purezza di ideali e la ferma volontà nel mantenersi una comunità incontaminata dalla modernità e chiusa in se stessa.
Seppur questo libro sia il primo di una serie con protagonista Kate Burkholder, è autoconclusivo, non rimangono punti in sospeso se non magari vicende strettamente personali riguardanti la protagonista ma chissà se questi puoi verranno svelati nei capitoli successivi. Sicuramente lo scoprirò, ho la ferma intenzione di leggere i due libri successivi e scoprire cosa riserverà questa brava autrice.
Lo consiglio a tutti gli amanti del thriller, sicuri che troverete in questa nuova protagonista una nuova compagna di letture.
L’unica raccomandazione va a chi è suggestionabile al sangue, in questo caso state lontano da questo libro, non è proprio il vostro genere.

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Poesia italiana
 
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    25 Ottobre, 2013
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“Preziose sono le Ore..."

Cosa c'è nel cuore di una giovane donna impegnata a vari livelli nel sociale, con la passione per la scrittura e il desiderio di condividere e comunicare?
Ce lo rivela la sua prima silloge, quarantasette liriche scritte di getto, parole che danzano leggiadre descrivendo un turbinio di emozioni.

“Preziose sono le Ore in cui sei lì/a pettinarmi il cuore...”, si legge in “Anime nude” - nude di ipocrisia e mediocrità, - disposte a soffrire pur di “sentire”.
E' uno dei punti cardine della raccolta – esporre se stessi consapevoli dei rischi, scendere a patti con le proprie fragilità in cambio di emozioni autentiche:
“...Con tre quarti di cuore/mi arrendo ai timori/di tatuare/un'impronta di te”.

Comunicare significa anche puntare il dito contro le rigide ideologie, e l'autrice usa parole antitetiche per denunciare le pecche di una società sterile che non va oltre l'apparenza e antepone i giudizi ai fatti:
“Modesta è la sua superbia/profonda la superficialità/trasparente è la sua falsità/crudele la sua ironia...” (“L'uomo sociale”).

La catarsi passa attraverso l'Amore e la presa di distanza da ciò che uccide la purezza:
“...E vedrai oltre/ascolterai l'impercettibile/respirerai alchimie/Amerai”.

Le poesie di Selene Pascasi sono pensieri fugaci che trasmettono energia positiva anche quando raccontano il dolore, schegge che riflettono luce e bussano al cuore “come vento” per essere ascoltate, comprese e amate.

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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    25 Ottobre, 2013
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Nuovo cinèma Paradis

Il libro si rivolge a un pubblico di donne anche colte, amante del genere rosa. E' un libro che attinge a piene mani all'immaginario femminile creando, su misura, l'uomo dei sogni: bello, romantico, sentimentale, capace di resistere alle avances dell'attrice super sexi. Il libro è scritto con un certo garbo, cerca di rifarsi alle atmosfere indimenticabile del film Nuovo Cinema Paradiso: film rigorosamente d'essai, divieto di ingozzarsi di patatine e pop corn e di trangugiare coca cola durante la proiezione, mercoledì riservato ai film d'amore scelti, devo ammettere, con gusto (il raggio verde, Cyrano, Nuovo cinema paradiso ecc...). Nel libro c'è un unico bacio che anche quello ricorda la sequenza di baci, anzi sembra citarli, del nostro Nuovo Cinema Paradiso. Il libro si rivolge a un pubblico di donne anche colte, ammiccando ai comuni interessi artistici e in questo mi ha un po' ricordato L'eleganza del riccio. I dialoghi però fanno rimpiangere L'eleganza del riccio. Sembrano tirati fuori dalla testa di un uomo che pensa cosa farebbe piacere a una donna sentirsi dire.
Nonostante questo, credo che il libro possa essere gradito a un pubblico di lettrici rosa. Credo che l'ascoltare frasi o storie orecchiabili e dal finale scontato come succede nella letteratura di genere abbia qualcosa di rassicurante e di rilassante. Anche a me piace rilassarmi con qualcosa di genere anche se preferisco il fantasy come genere.
Certo, al lettore che in un libro cerca l'originalità, la sincerità, l'umanità, il guizzo dell'anima e dell'intelligenza consiglio altre letture.

Per i curiosi, c'è chi insinua che l'autore francese e i suoi romanzi siano stati pensati a tavolino da uno scaltro editore tedesco per assecondare i gusti delle lettrici germaniche.
Alla luce di questo proporrei il libro come testo di studio per Tu sai chi nel caso dovesse tornare al potere, in quanto potrebbe essergli utile nelle public relations: un po' di charme (quello francese), un bel mazzo di fiori, la citazione colta e qualche frase di meno (quelle da uomo del paleolitico italiano) ci avrebbero potuto risparmiare qualche migliaio di posti di lavoro.

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a.a.a.: uomo bello, affascinante, romantico, intelligente, che non va subito al sodo (anzi non ci va mai), cerca donna sensibile (non importa età e posizione economica), romantica, dolce..... che compri il suo libro.
A parte gli scherzi lo consiglio a tutte le amanti del genere rosa (e solo a loro).
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Romanzi
 
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paola melegari Opinione inserita da paola melegari    24 Ottobre, 2013
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VOLERE è POTERE

L’amore, quello vero.
Combatte le avversità e i pregiudizi, rafforzando il sentimento, unendo la coppia ulteriormente, rendendo complici gli amanti.
Un breve romanzo, che sembra più una storia vissuta dall’autrice, ma che dichiaratamente, è storia di pura fantasia.
In un piccolo paese del sud, nasce un amore fra due persone , siamo negli anni del liceo, questi individui scoprono di amarsi, ma i pregiudizi e la violenza interferiscono fra i due amanti, facendo loro del male,
Esiste un problema, gli amanti sono Simona e Lara, appartengono allo stesso sesso, e questo diventa un ostacolo, per i genitori, i compagni di scuola, gli estranei dei luoghi pubblici, le uniche persone che credono davvero nella loro unione sono le due protagoniste.
Un breve romanzo di un’autrice giovane , emergente, scritto in modo semplice e scorrevole, nel quale l’amore viene descritto come qualcosa di pulito e di inevitabile.
Forse un po’ troppo semplicistico, date le problematiche .
Non possiamo giudicare le pulsioni e l’attrazione fra persone dello stesso sesso, tutto per loro diventa difficile, ma quando non è ostentazione, dobbiamo accettarlo, è parte della vita e dei sentimenti.
Non tutto è solo razionale, l’attrazione e l’amore sono anche chimica e alchimia.
Carino.
.

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volevo i pantaloni
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Scienze umane
 
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    23 Ottobre, 2013
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L'alchimista alla ricerca del nucleo d'oro

"L'incontro con se stessi è una cosa spiacevole che tentiamo continuamente di rimandare perchè ci spaventa. Ciò che ci spaventa è il fatto che il sè primordiale è a noi totalmente sconosciuto; e forse spiacevole non è soltanto l'incontro in se stesso, ma anche il percorso che a questo incontro ci conduce, un percorso fatto di rinunce, cambiamenti, di tagli e riorganizzazioni delle abitudini, delle convinzioni, dei valori. Tuttavia non è possibile esperire l'Amore assoluto se non si attiva tale processo di cambiamento, perchè l'amore, quello vero, è espressione della purezza dell'oro. "
Il libro dà delle sollecitazioni, suggerisce un percorso di purificazione dalla zavorra degli ego, che come dannosi airbag si attivano in condizioni di pericolo promuovendo automatismi che coprono la nostra personalità più autentica mascherando il nostro nucleo d'oro. Il percorso necessario è individuare questi ego (cosa non facile) e scioglierli come farebbe l'Alchimista nel Crogiolo per liberare il Nucleo che mascherano dalla loro ingombrante zavorra (la maschera di Jung).
Questo percorso porta a rinnovare molti aspetti dell'esistenza, a guardare le cose con attenzione, a non esprimere giudizi sugli altri, a vedere nelle cose che ci danno fastidio negli altri la nostra parte Ombra. Il riconoscere la nostra Ombra nei difetti altrui porta a non emettere giudizi, a ragionare diversamente e infine a purificare il nostro modo di vedere le cose liberandoci degli ego, cercando di capire situazioni e persone con l'intelligenza del cuore (intuitiva).
Il libro suggerisce un cammino, dà degli input interessanti ma non si propone di analizzare approfonditamente le dinamiche che portano alla comparsa degli ego o il percorso da fare per liberarsene.
Il libro è splendidamente scritto, con molte citazioni e spunti presi da filosofia e religione. Potrebbe non soddisfare pienamente il lettore che si aspetta un testo di psicologia.

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il libro è consigliato a lettori con gusti un po' new age. Il testo propone una lettura filosofico-mitologica della psicologia della coppia.
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Romanzi
 
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2.3
Stile 
 
2.0
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Zine Opinione inserita da Zine    23 Ottobre, 2013
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Saga genetica

Il DNA è un acido nucleico contenuto, per l’appunto, nel nucleo delle cellule. Esso contiene la completa sequenza genetica di ogni essere vivente. Formato da due nucleotidi a doppia elica, si compone di gruppi fosforici, uno zucchero a cinque atomi di carbonio (il desossiribosio) e quattro diversi tipi di basi azotate, in grado di “incastrarsi” come chiave e serratura a coppie ben precise: adenina con timina, citosina con guanina. Dalla sequenza di incastri tra queste basi nascono le informazioni genetiche che danno all’individuo le caratteristiche basilari della sua specie e quelle personali che lo differenziano da chiunque altro.
Il DNA è un mistero potente e un’arma potenzialmente pericolosa, un miracolo che non cessa di stupire. Può servire a guarire malattie e a conservare specie in via d’estinzione come può costituire un mezzo di controllo sociale terrificante. Non stupisce che sia diventato motore di numerose fantasie letterarie. Il romanzo – o meglio, raccolta di racconti legati tra loro - che vado a presentarvi, fa della manipolazione del DNA il suo tema portante.
“DNA” di Rodolfo Viezzer, autore de “L’Uovo” che ho recensito qualche tempo fa, è edito in Italia con Aracne Editore. Racconti che inizialmente sembrano slegati l’uno dall’altro, tenendo la manipolazione del DNA come unica cifra d’unione, vanno pian piano assemblandosi in una narrazione univoca, in una storia completa vista attraverso molti occhi.
Nel primo racconto, si assiste all’efferato omicidio di un bambino. Solo le tracce di DNA scoperte sul giocattolo che portava con sé potrebbero dare indizi sull’identità dell’assassino. Le indagini della polizia vanno a intrecciarsi alla ricerca genetica di una scienziata cinese e porteranno a scoprire un triste segreto e ad un commovente atto d’amore.
Il secondo si immerge in un immaginario futuro in cui si è instaurato un nuovo regime autoritario con mire di conquista e controllo del mondo. L’arma definitiva, silenziosa e micidiale, consiste in un micro-ritrovato della tecnica installato nei corpi umani su scala mondiale e in grado di dare morte istantanea con la sola attivazione a base genetica. Le armi, però, sono sempre a doppio taglio…
La terza storia è una finestra su una piccola comunità gioiosa, che ha lasciato un mondo in guerra, grigio e diviso in caste ben precise, per trasferirsi su un altopiano lontano da tutto e tutti e vivere in pace, a contatto con la natura. Tutti sanno, però, che la magia potrebbe finire in qualsiasi momento. Se venissero scoperti, avrebbero solo due scelte: o rientrare nella schema sociale, o fuggire.
Nel quarto racconto, si scopre che i potenti della Terra hanno trovato modo di clonare se stessi per ottenere il potere, anche se i risultati non sono ancora ottimali e le grandi menti rischiano il cortocircuito. Nel successivo, una privilegiata che perde il suo status e viene esiliata in mezzo ai Verdi (la plebe condannata al lavoro), scopre che la vita vera è molto diversa dall’esistenza meccanica e liofilizzata che ha sempre vissuto e l’esperienza si trasforma in una corsa verso la libertà.
La sesta parentesi vede di nuovo protagonisti i cloni dei governanti, ormai attivi in più copie per volta, unire le forze per creare un super-dittatore. Nell’ultimo racconto, si assiste alla ricerca della città dei rifugiati, ormai diventata una specie di leggenda.
Purtroppo, contrariamente a “L’Uovo”, in questo caso Viezzer non riesce a centrare il bersaglio. Le sue idee sono ottime, molto vivide e interessanti. Non c’è banalità nei processi che lo portano a costruire le trame dei suoi racconti. I temi sono importanti, profondi, vanno a scavare nella psiche umana e nei meccanismi sociali, mischiando alla letteratura una denuncia della decadenza che caratterizza il consumismo e della tendenza mai sopita all’autoritarismo.
Proprio per questo motivo, però, la forma racconto diventa un’arma a doppio taglio. Le trame sono di troppo ampio respiro per essere contenute in così poche pagine. Ne risulta una trattazione affrettata, un rincorrersi di avvenimenti troppo celere che lascia disorientati e spesso insoddisfatti. Cose che avrebbero bisogno di quaranta pagine per essere espresse vengono concentrate in cinque. Questo taglia le gambe a una possibile affezione ai personaggi e non permette di soffermarsi a riflettere per un tempo congruo sugli argomenti sollevati.
Inoltre le pecche grammaticali e sintattiche sono molte, c’è un uso smodato del punto esclamativo e i dialoghi sono artificiali; queste caratteristiche vanno ulteriormente a rovinare l’effetto generale della raccolta.
Un vero peccato: i semi erano di ottima qualità, ma la pianta è cresciuta debole.

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Scienze umane
 
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    22 Ottobre, 2013
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Il perverso narcisista

Anna, psicologa nel settore della tutela dei minori ha a che fare per lavoro con Rachele, un'assistente sociale affetta da narcisismo patologico, che in gergo professionale viene definito narcisismo perverso. Nel libro viene descritto il braccio di ferro tra Anna e Rachele nelle sue diverse fasi che passano da un'idillio iniziale in cui Rachele cerca di "sedurre" la vittima, una fase parassitaria in cui Anna, consapevole, accetta di lavorare con l'appoggio di Rachele pur facendo buona parte del lavoro per non mettersela contro e una fase manifestamente aggressiva in cui i nodi vengono al pettine e la relazione tra le due diventa non solo di scontro aperto ma dannosa per gli utenti che ci vanno di mezzo. La personalità di Rachele viene analizzata alla perfezione da Anna/Paola che ne fa una relazione chiara e comprensibile anche ai non addetti ai lavori (come me). Il libro anche se scritto con un linguaggio abbastanza tecnico è infatti accessibile a tutti e comprensibilissimo.
Mi sarebbe piaciuto però trovare un'analisi più dettagliata dell'ambiente di lavoro in cui il Direttore dell'Area ha grosse, enormi responsabilità che non possono essere mascherate e coperte dicendo che è nella fase di parassitismo. Un po' comodo, mi pare!
Credo che Anna/Paola nella sua analisi se ne rende ben conto ma diplomaticamente è più interessata a smascherare l'odiata Rachele che a puntare il dito su altre persone corresponsabili analizzandone più a fondo il comportamento, dedicando loro lo stesso spazio riservato alla nemica Rachela. In più c'è da dire che in genere nel mobbing l'aggressione da parte di un collega pari grado è un problema, ma è un problema minore rispetto all'accerchiamento, al fatto che per motivi vari, in genere di interesse, gli altri colleghi fanno fronte comune con il mobber facendo perdere alla vittima la percezione esatta della realtà delle cose. In questo caso Rachele stava sullo stomaco a molta gente. Perciò, quello che rimprovero a questa gente è il non avere provato a fare fronte comune non per una comune antipatia ma per il bene degli utenti. Alcuni esempi riportati sono davvero gravissimi. Certo, Anna ha dovuto subire l'attacco della sgradevole, velenosa collega ma non è una pinco pallina qualunque incapace di difendersi. E' una psicologa e brava. Quindi mi aspetterei da lei un contrattacco all'americana in cui riesce in qualche modo nell'ardua impresa, quasi impossibile, di mettere il mobber di fronte a uno specchio mettendolo in crisi. Invece questo non accade. Forse sono cose che succedono solo nelle favole e nei film americani. Ma non riesco a vedere come una vittoria di Anna l'avere cambiato ambiente di lavoro. E gli utenti in balia di Rachele? Non so ... Anche la dichiarazione di Anna che il perverso narcisismo non ha una buona prognosi anche se trattato ...
Io sono cresciuto leggendo Adler, perciò quello che mi aspetto da un testo di psicologia è un po' di speranza per tutti e di comprensione delle cose. Il fatto che dopo anni di lavoro comune Anna scriva un libro sull'odiata Rachele smascherandone tutte le nefandezze lo vedo come un'altra sconfitta di Anna: nei confronti della collega ha assunto il ruolo di vittima rinunciando a quello riparativo di terapeuta. E' vero non è mai stata la sua terapeuta ma possibile che su certe dinamiche si possa giocare solo in difesa? Anche una psicologa? Il veleno di Rachele pervade l'analisi di Anna del caso clinico. Rachele è definita "il serpente a sonagli".
La cosa è perfettamente comprensibile ma il distacco esibito nell'assoluto controllo delle sue reazioni da parte di Anna viene smentito dalla mancanza di serenità che traspare dalla sua analisi del tutto priva di clemenza verso il nemico. Non sarebbe stato meglio fare una bella spiazzata alla collega, in una di quelle situazioni odiose in cui l'assistente sociale ha messo in pericolo gli utenti, andare dal responsabile di area, dirgliene quattro e poi una volta buttato fuori il rospo cercare di depurarsi dall'odio, dal nervosismo, dalla frustrazione, dirsi "Ok, le ho provate tutte" e cercare di vedere le cose con gli occhi di Anna? Occhi sereni e non offuscati dal veleno? A me sembra che il libro sia stato scritto sotto effetto (troppo sotto effetto) del veleno di Rachele nonostante il tono professionale e distaccato. Spero che Anna si riprenda presto, e che se le dovessi ricapitare una situazione simile (spero di no), questa volta giochi d'attacco. Chi scrive non è psicologo ma conosce sul campo certe dinamiche.

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A chi lavora in un ufficio e vuole capire meglio alcune dinamiche patologiche.
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Fantasy
 
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    22 Ottobre, 2013
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Una generazione di cacciatori di vampiri...

Un libro controverso e che lascia numerosi spunti a colorite riflessioni...
Oddio il nostro autore oltre che ad avere una fantasia illimitata, possiede anche una concezione dei vampiri che non è quella usuale.
Nella tradizione letteraria Dracula e i vampiri che in generale son derivati da lui, sono esseri malvagi che succhiano il sangue degli umani per continuare la loro demoniaca esistenza, un'esistenza che si svolge il giorno dentro la bara e la notte a caccia di vittime da succhiare e dissanguare...
Le creature della notte, malvage e da sopprimere...
In questo libro si parla di cacciatori di vampiri: il padre è un famoso cacciatore che lascia ai due figli maschi la sua "pesante" eredità, iniziandoli a un'attività estremamente pericolosa: uccidere i vampiri.
La loro missione principale consiste nello scovare l'ultimo vampiro esistente sulla terra e toglierlo di mezzo; dopo di che saranno liberi di vivere pacificamente, poichè hanno estirpato la malvagità e la violenza dal mondo.
Ma le cose non andranno esattamente come loro sperano; l'ultimo vampiro, sotto le spoglie di un mite e improbabile frate, nutrito da tutta la comunità, inoffensivo...viene soppresso, nonostante tutto...
e a questo punto scatta "la vendetta cosmica".
I due cacciatori di vampiri si troverano trasportati in un universo parallelo, una specie di oltretomba
in cui fra esperienze mistiche e mutazioni fisiologiche "sconteranno" il loro peccato..
il peccato di aver ucciso l'ultimo vampiro che a quanto pare aveva il sacrosanto diritto di vivere..
Appassionata difesa dei vampiri? Pare di si, almeno questa è l'impressione che ho ricevuto..
Non mi sento di svelare altro per chi volesse cimentarsi in questa lettura sappia che è genuina, unica e non simile a nessun altro tipo di libro riguardante i vampiri.
In sistesi, vorrei esprimere qualche considerazione personale: trattandosi di un'opera di fantasia, certamente l'autore può scrivere e immaginare ciò che vuole, ciò che è originale e in usuale è sempre gradito al lettore; tuttavia in certi punti del libro la narrazione risulta piatta...e non è creato il pathos necessario che si prova durante la lettura di un horror...
Alcuni concetti sono inspiegabili, perchè si ha l'impressione che il confine tra il bene e il male non sia più presente o almeno non sia importante evidenziarlo: infatti uno dei personaggi, caduto nel terribile limbo afferma:
"La conoscenza è la fine dell'eternità" e ancora "Il trionfo del bene è la nascita del male".???
Consiglio questo libro, con qualche piccola riserva agli amanti del genere horror. (Esclusivamente per adulti, visto le concezioni morali, molto discutibili che vi sono espresse ).
Saluti.
Ginseng666

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Dracula e gli altri libri sui vampiri...
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Romanzi
 
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maria68 Opinione inserita da maria68    19 Ottobre, 2013
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equilibrio anima e corpo

Se dovessi aver bisogno di raccontare i miei drammi lavorativi, mi rivolgerei a un psicologo, senza esitazione. Sonia Serravalli, per fortuna nostra, ha deciso di rivolgersi al lettore, narrando in chiave tragicomica i fatti e i personaggi che si sono avvicendati durante le sue esperienze lavorative.
Sonia è una receptionist di hotel, la sua mansione è di ricevere i clienti, di dare loro le prime informazioni e di accompagnarli nelle stanze. Nella realtà dei fatti, la nostra protagonista il più delle volte sconfina dal suo incarico, rivestendo ruoli diversi a seconda delle circostanze che si presentano, perché "La reception di un hotel è peggio della centralina di un aeroporto internazionale".
Con una esilarante confessione l'autrice riesce a tratteggiare il profilo del cliente tipo, senza distinzione di nazionalità o di genere... delineando un cliente esaurito, invadente, caciarone che con le sue strampalate richieste, purtroppo non riesce a uscire indenne dall'esame.
La nostra scrittrice con i suoi aneddoti dal linguaggio semplice e accattivante si spinge oltre, facendoci conoscere, inoltre, il dietro le quinte della gestione di un albergo, sottolineando a più riprese lo stress lavorativo cui sono sottoposti gli operatori del settore, in assenza di un'efficiente organizzazione.
Lungo è l'elenco degli effetti collaterali: tic nervosi, colite, giramenti di testa, attacchi di pianto, depressione, incubi, allucinazioni uditive...
In conclusione, mi sento di consigliare la lettura del romanzo "chiedete alla reception" perché indurrà il lettore alla riflessione attraverso storie divertenti che lo metteranno di buonumore.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Maso Opinione inserita da Maso    18 Ottobre, 2013
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Diletto, con gusto

Ancora una volta mi affaccio con occhio vergine ad una finestra autorale e narrativa a me poco nota. La letteratura “umoristica”, se in questo ambito può essere collocato il romanzo di Malvaldi in questione, è una tipologia letteraria che ho esplorato davvero poco, e ne rimango, nel caso specifico, pienamente soddisfatto. Forse perché non si può esattamente e pienamente definire umorismo quello proposto dall’autore in questo “Argento vivo”. Si tratta principalmente di un sarcasmo ben costruito che si innesta in una commedia degli equivoci altrettanto ben architettata. Un intreccio narrativo degno della più alta tradizione cinematografica e delle sue brillanti sceneggiature pseudo-comiche. E gli attori che si muovono tra le pagine di questo romanzo seguono il proprio reciproco avvicendarsi attraverso una matassa di fili aggrovigliati, che si sbrogliano e si riannodano con fluidità e semplicità. In un piccolo romanzo italiano si congiungono le capacità e i cliché del canonico plot tipologico.
Il fitto intricarsi degli accadimenti non permette un’estrazione precisa della trama, sebbene l’autore, con didattica intelligenza, ci mostri nero su bianco come i personaggi del romanzo possano essere suddivisi in sei differenti coppie, unite da sentimento o da professione. Giacomo e Paola, lo scrittore cui viene svaligiata la casa, romanzo inedito compreso, e la moglie. Leonardo e Letizia, novelli sposi alle prese con gli equivoci della legge e della cattiva sorte. Corinna e il Dott. Corradini, lei statuaria poliziotta con tanto zelo e tanta voglia di fare, lui viscido superiore poco propenso al consiglio. Gutta e il Gobbo, criminali improvvisati e comicamente mancanti di vera esperienza, e infine tutta la sequela di personaggi secondari atti a dare il tormento, sgradevole quanto inconsapevole, ai nostri eroi moderni così vicini alla condizione del cittadino medio italiano. Ed è forse proprio questa specifica caratteristica, prima di tutte la altre, che attira il mio personale apprezzamento verso questo romanzo. Sono i personaggi, così vicini a noi, così concreti da poter essere il nostro vicino di casa, il nostro collega di lavoro o il poliziotto che sta all’incrocio a fare il grande lavoro che dona assoluta verosimiglianza anche ad una trama così tremendamente buffa e poco probabile. E ciò che in assoluto contribuisce alla verosimiglianza dei personaggi di Malvaldi è sicuramente un realismo dialettico eccezionale. Una spontaneità di linguaggio talmente genuina che provoca il riso (non il sorriso) nel lettore, che vede trasposti e nobilitati dall’editoria dei modi di dire e delle locuzioni abitualmente utilizzate nel linguaggio più spiccio della propria vita quotidiana. Un personaggio che sbotta allo stesso proprio modo è qualcosa che colpisce, che immediatamente proietta la propria immedesimazione all’interno di una situazione puramente immaginaria. Questa è, a parer mio, la causa del gradevole intrattenimento che si può ottenere dalla lettura di “Argento vivo”. Se l’idea di leggere un giallo sostanzialmente blando in quanto a suspance non attrae la nostra attenzione, vale certo la pena godere a pieno della bravura linguistica e della proprietà di linguaggio dell’autore. Sarcastico, ironico, puntiglioso e piacevolmente autoreferenziale (e autoironico), dà, a parer mio, una lezione magistrale sulla condizione del narratore indeciso. Quello che narra senza troppa convinzione di onniscenza. Quello che tenta un oggettività doverosa senza riuscire a resistere alla tentazione di infilarsi in mezzo. Un compiaciuto, ma non irritante, eloquio che si burla delle ieratiche costrizioni lessicali e che ci lascia divertenti giochi di parole.
Di Malvaldi, come prima personale impressione, credo valga la pena leggere i romanzi principalmente per la modalità di scrittura che per la parte più meramente contenutistica. Una modalità di scrittura che mantiene il lettore, senza difficoltà, attaccato morbosamente allo svolgersi delle vicende, una modalità che non fa mai svanire il sorriso sulle labbra di chi scorre senza sosta questo delizioso, piccolo romanzo. Per quanto mi riguarda, una vera e propria boccata d’aria fresca, utile a schiarire le idee e a dare un po’ di ossigeno al cervello, dilettevole ma senza sovraccarichi. Uno di quei libri che ci dobbiamo necessariamente concedere nei periodi in cui nulla sembra entrare in testa. Uno di quei libri che, finalmente, ci fa divertire senza scadere nel cattivo gusto, nell’assurdo o nel superficiale.

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Classici
 
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silvia t Opinione inserita da silvia t    18 Ottobre, 2013
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I Malavoglia

Suoni desueti, polvere e salsedine avvolgono Aci Trezza, nascondendola agli occhi dei più; solo chi davvero lo desidera può trovare la chiave per conoscere la casa del nespolo, l'osteria della Santuzza, la piazza del paese; solo chi lo desidera può avere accesso all'essenza dei dialoghi e alla forza propulsiva di una mentalità che non vuol morire, che vuol difendersi, che non è pronta al futuro.
La chiave va conquistata, non è una merce a basso prezzo; si conquista lasciandosi carezzare dalle parole, osservando ciò che è descritto, senza voler capire, senza voler giudicare.
Allora se con l'umiltà di chi non sa, ma vuol conoscere, ci facciamo largo tra la polvere e l'odore di salsedine, cominciamo a scorgere un paese siciliano, simile a mille altri, di un'epoca lontana, ma sempre attuale e cominciamo ad udire il cicaleccio delle comari, le bestemmie degli avventori, il mormorio del mare.
Verga ci accompagna in quest'epoca e già dalle prime pagine si intuisce la portata dell'opera, che pone le basi su delle fondamenta così forti e profonde che ad ogni singola parola se percepisce l'importanza.
Capolavoro del verismo italiano, “I Malavoglia”* rappresenta la società di fine ottocento, ma trascende il tempo e risulta attuale, applicabile anche alla società moderna, caratteristica questa che qualifica un'opera come prodotto artistico.
Le parole si susseguono veloci, le descrizioni precise e attente non lasciano spazio a dubbi, la realtà è descritta per com'è, non ci sono consolazioni, il lettore è solo con le proprie opinioni e deve giudicare e analizzare.
I personaggi sono innumerevoli, ma ognuno ha la sua importanza, ognuno è il tassello di un intarsio, lavorato e levigato per far si che l'opera corale si componga in tutto il suo splendore.
Il vento di novità, l'illusione del benessere, la promessa di un futuro migliore per i propri figli, fa si che le nuove generazioni credano di essere in diritto di possedere, primo germoglio di quelle idee che Verga riprenderà in “Mastro Don Gesualdo”, così 'Ntoni di padron 'Ntoni figlio maggiore, scapestrato, vagabondo, ma con una visione della realtà coerente e reale, non riesce a far collimare il passato col futuro, la sua onestà intellettuale non gli permette di tenere gli occhi chiusi come i gattini appena nati, ma le radici profonde del suo essere lo tengono ancorato ad un terreno fatto di consuetudini e di tradizioni che non permette errori, non permette cambi di rotta, pena la distruzione. In questo personaggio così complicato, come solo gli animi più all'avanguardia sanno essere, c'è l'essenza del romanzo, la voglia di riscatto, ma la totale assenza di un progetto. Il progresso, il benessere e con essi l'agio e l'ozio sono visti da 'Ntoni come una meta, ma i mezzi per raggiungerli non sono in dotazione, così escono vincitori solo coloro che si ritagliano un pezzettino di benessere non allungando lo sguardo fuori dalle mura della città o chi sfrutta il vento per arricchire il proprio orticello: lezione questa che, mutatis mutandis, può essere applicata ad ogni epoca in cui si prospetti un grande cambiamento.
Il lessico che Verga utilizza è semplice, non risente del tempo, accessibile e tipico delle persone semplici; i dialoghi sono freschi e realistici; la scelta di mischiare il discorso diretto a quello indiretto immerge il lettore in quella realtà e gli fa sentire l'odore di chiuso, di morte; la sensazione di claustrofobia e di ineluttabile rovina è resa in modo efficace e penetrante, ma non sfocia mai nel sentimentalismo o nella pietà; il lettore sa, poiché conosce la Storia, dove è la verità, ma non può non comprendere i singoli personaggi, le loro idee, le loro azioni, poiché Verga li caratterizza in modo così attento e profondo, da farli figurare davanti e li rende paradigma di una società e di una umanità che anche se più ricca, più istruita non è poi cambiata di molto, i sentimenti che spingono a determinate azioni, i piccoli e grandi interessi personali, i modi leciti e illeciti di accumulare “la roba” rimangono i medesimi e proprio per questo ci saranno sempre i poveri pescatori che si spaccano le braccia per far mangiare su un tavolo d'oro coloro che oziano tutti i giorni.
Più acerbo da un punto di vista stilistico, ma di più ampio respiro rispetto a “mastro Don Gesualdo”, “I malavoglia” sono un testo che è fondamentale conoscere, ma non può prescindere da una ferrea volontà di accrescere il proprio livello culturale, poiché non è intrattenimento, non è sentimentalismo, è la cruda descrizione dell'umanità nella sua forma più pura senza sovrastrutture o giustificazioni.

*Soprannome della famiglia Toscano che è dato per antifrasi in riferimento alla loro grande volgia di lavorare

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Classici
 
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    17 Ottobre, 2013
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Novelle

Verga fu autore di svariate raccolte di Novelle, le più emblematiche e rappresentative dell'evolversi della sua poetica sono “Vita dei campi”, “Novelle Rusticane” e “Per le vie”.

La prima raccolta di otto novelle, “Vita dei campi” vede la luce intorno al 1880 e costituisce il primo segnale di cambiamento nell'autore, allontanandolo dai temi romantici e borghesi trattati fino ad allora, segnando l'inizio di una ricerca di contenuti nuovi.
Gli scenari divengono rurali, evidenziando disparità sociali, solitudini e lotte per la sopravvivenza; in questa prima raccolta, gli accenni ai temi passionali non sono del tutto sopiti ma si intrecciano con quelli dell'egoismo e della ricerca di mezzi economici.
Con la rappresentazione di personaggi indimenticabili come Rosso Malpelo, Jeli il pastore e La lupa, la penna dell'autore comincia ad assumere un registro stilistico diverso, fatto di termini gergali e imbevuti di realismo. Una penna che si piega a ritrarre uomini e parole come un pennello, senza belletti e cambiamenti.
Sono racconti che si leggono con facilità e che nella brevità delle loro pagine fotografano l'intera parabola di un personaggio, partendo sempre dalla quotidianità, seguendo desideri, aspirazioni, disagi degli uomini, portando in scena la vita campestre le cui immagini si consolidano nella raccolta successiva.

La raccolta“ Novelle rusticane” afferma la nascita e la crescita della penna verista dell'autore.
Qua il linguaggio si fa ancora più aspro, perdendo definitivamente gli accenni romantici; è la lingua dei derelitti, dei braccianti, dei contadini, di una fetta di umanità che il destino ha inchiodato in un'eterna lotta per la vita.
La malaria , la fame, le malattie sono le protagoniste dei racconti, unitamente al richiamo di accumulo per la “roba”. Senza la roba si vive malamente, si muore soli, non c'è pane sotto i denti.
E' forte e predominante in questa raccolta la tensione umana alla ricerca dei mezzi economici, per garantire la sopravvivenza propria e della famiglia.
La vita è una lotta e solo i più tenaci ne escono vincenti.

La raccolta meno conosciuta intitolata “Per la vie” abbandona lo scenario prestato dalla terra siciliana, per approdare lungo le strade ben più trafficate di una Milano agli albori della sua industrializzazione; una città grigia, dove alla rappresentazione di diverse classi sociali fa da costante la mancanza di solidarietà e la miseria sia morale che materiale.
Ad accogliere il lettore una galleria di personaggi diversi da quelli ritratti in Sicilia, eppure accomunati dalla ricerca del denaro e del benessere come fine ultimo della vita, siano essi borghesi, operai, disoccupati o prostitute.

La lettura delle “Novelle” consente al lettore di avvicinarsi e addentrarsi a piccoli passi alla poetica dell'autore, seguendone l'excursus di pensiero e di forme, oltre a ritrovare abbozzate figure che diventeranno personaggi a tutto tondo nei romanzi di stampo verista.

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Racconti
 
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    16 Ottobre, 2013
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Il manuale per precari d’amore

Vi è mai capitato di leggere un libro e ridere, non solo sorridere, ma proprio scoppiare in una risata fragorosa?
Con questo piccolo testo sono certa che accadrà anche a voi!

Ve ne sarete accorti tutti che il mondo del lavoro oggi non da molte possibilità e purtroppo molti giovani diplomati/laureati non hanno ancora trovato un impiego oppure devono fare l’ennesimo stage che non porterà in tasca loro neanche un misero spicciolo.
Però non si tratta solo di crisi nel mondo del lavoro c’è anche crisi nella coppia, nell’amore.
L’autrice con estrema simpatia e freschezza ha saputo racchiudere nel suo piccolo “manuale di sopravvivenza per coppie di precari” un insieme di storielle divise per capitoli che oltre a far ridere aiuteranno anche a scovare meglio l’amore senza incappare in brutte sorprese.
Davvero molto carina l’idea di inserire all’inizio di ogni nuovo capitolo un piccolo spezzone di qualche film.
Inoltre leggendo le varie storie mi è capitato di “catalogare” alcune amiche che hanno avuto qualche flirt che non è sempre andato a buon fine.
Ovviamente il tema principale, come avrete già capito da un pezzo, è l’amore: si parte con i primi approcci su Facebook, passando per Skype e le sue videochiamate. Poi ci si inoltra tra le varie tipologie di donna, gli amori impossibili e si arriva alle dieci tipologie di uomini e di donne da evitare assolutamente.
Ovviamente la scrittrice non tralascia neppure i misteriosi “dobbiamo parlare” che in un primo momento fanno impanicare il soggetto e successivamente fanno scattare una serie di molle nel cervello di chi sente queste due magiche paroline “ammazza coppia” e fa dire loro cose di un passato oramai remoto.
Inoltre ci da una serie di simpatici suggerimenti su come far rosicare o farsi lasciare, sopravvivere al Natale ed alle altre feste che ci fanno svuotare in maniera considerevole il portafogli senza tralasciare molti altri temi.

Il capitolo più bello di tutti, non che gli altri siano da meno, è stato l’ultimo intitolato “Dieci consigli per sopravvivere all’amore vero”. Devo dire che in alcune situazioni mi ci sono rispecchiata e ho anche un po’ riso di me stessa.

Mi sento di promuovere a pieni voti questo libro che è scritto davvero bene. Inoltre la simpatia dell’autrice ti entra dentro e poi prende in giro il genere maschile e quello femminile con una leggerezza e ilarità uniche nel suo genere!
Lo voglio consigliare non solo alle donne, ma anche a molti uomini!

Buona lettura!

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Romanzi autobiografici
 
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    16 Ottobre, 2013
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Malala Yousafzai

Tempo fa ricordo di essermi soffermata di fronte a delle immagini dal Pakistan di una ragazzina vittima  di un attentato . Ricordo di aver cercato notizie su di lei, di aver letto un anno dopo il suo discorso alle Nazioni Unite. Ricordo la commozione  e di aver promesso a me stessa, inconsapevolmente e senza sigillo, di diffondere la sua storia ed il suo messaggio, se mai un giorno fosse giunta l'occasione.
Lei si chiama Malala Yousafzai, e' stata la piu' giovane candidata al Nobel per la pace e io mantengo le promesse, questo e' quel giorno.

Malala nasce in Pakistan, in un villaggio pashtun nella valle dello Swat, in un contesto tradizionalista e fortemente condizionato dalla religione islamica e dai precetti del sacro Corano, che come tutti i libri sacri e' soggetto ad interpretazioni piu' o meno restrittive. La fortuna e la peculiarita' della piccola primogenita femmina e' il padre insegnante, buon musulmano pacifista ed ecologista, il cui sogno e' la diffusione dell'istruzione a prescindere dal sesso di ogni bambino, sostenitore del reciproco rispetto tra culture e religioni diverse. Malala cresce nelle aule del padre e si innamora dei libri, fecondando fin da piccina il seme della giustizia culturale per ogni bambino, visto che in nessun verso del Corano e' imposta l'ignoranza femminile e la dipendenza della donna all'uomo. 
Ma le precarie condizioni della donna in Pakistan peggiorano drasticamente con l'arrivo della politica del terrore dei talebani che impone il burqa, la pubblica fustigazione, il ritiro delle femmine dalle scuole,  zittisce la musica  e insidia l'incubo dei kamikaze, delle bombe, delle lame che decapitano. Undicenne, Malala partecipa ad un blog della BBC dove racconta la quotidianita' di una bambina in epoca talebana, partecipa a congressi ed interviste dove denuncia e implora per il diritto all'istruzione e la sua fama cresce a dismisura anche in Occidente.
Malala diventa pericolosa, Malala si sta imponendo per i diritti delle donne, le sue quattro parole, i suoi libri e le sue matite sono pericolosi : Malala deve morire.
Il 9 ottobre 2012 , attentatori talebani bloccano il bus su cui la quindicenne sta viaggiando e sparano tre colpi, uno di questo le penetrera' nel cranio e scendera' fino alla scapola. 
Evidentemente il suo Dio era in disaccordo coi talebani.
Perche' il proiettile miracolosamente sfiora la scatola cranica ma non lacera il cervello e dopo mesi di neurochirurgia tra Pakistan e Inghilterra, Malala e' viva ed ha riacquistato l'80 per cento di mobilita' facciale. E non ha alcuna intenzione di tacere o di smettere di lottare per le donne del suo paese e per la scolarizzazione globale.

Scritto da Christina Lamb, importante corrispondente di guerra, la penna non emerge per eccellenza ma per semplicita' e se all'inizio ero perplessa, poi ho capito che il fine della Lamb era di portare ogni singola particella di Malala nel libro, compresa la semplicita' colloquiale del linguaggio della ragazza. Ne emerge una testimonianza molto importante e piacevole da leggere, sia per documentarsi sulla situazione pakistana che per comprendere e apprezzare il messaggio di pace e l'impegno di questa piccola e coraggiosa pashtun : 
" Sedermi a scuola a leggere libri e' un mio diritto . Vedere ogni essere umano sorridere e' il mio desiderio. Il mio mondo e' cambiato ma io no. "

Forse non servira' a niente, ma Malala Yousafzai e' un passo. Non copriamo l'impronta di polvere, leggetelo e diffondete, se ne avete voglia. Buona lettura.

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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    15 Ottobre, 2013
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Sei come sei di Melania Mazzucco

Bellissimo. E importante. Bellissimo per lo stile e la forma. Importante per il contenuto: un romanzo che affronta uno dei temi più attuali e scottanti del nostro tempo. Eva è la protagonista adolescente, figlia di due padri che l’hanno voluta e amata, che hanno lottato perché la loro scelta audace e trasgressiva potesse essere accettata dall’opinione pubblica, che, pur abbandonandosi a dichiarazioni di principio aperte e liberali, si rivela poi spesso discriminatrice e retrograda.
Eva trascorre un’infanzia felice, circondata dall’amore di Giose e Christian, un artista in declino il primo, intellettuale sofisticato il secondo. Se Giose è sempre stato consapevole della propria omosessualità, Christian la scopre poco alla volta. La sua scelta di condividere la vita con Giose provocherà sgomento e tacita disapprovazione nella sua famiglia e dolore nella moglie che abbandona.
Amore e diversità sono i temi centrali di questo romanzo, che vengono affrontati e approfonditi con grande sensibilità dalla Mazzucco: amore e diversità che non dovrebbero mai essere in contrapposizione o in antitesi. Ciò non significa che non ci si debba porre dei quesiti che investano la sfera della coscienza. È Christian stesso che si chiede se la loro scelta non sia egoistica e non possa generare una crisi di identità sessuale nel figlio che desiderano avere, e quale credito si debba dare all’opinione corrente che un bambino debba crescere con una figura materna e una paterna. È Giose che trova le parole giuste per rispondere ai dubbi del compagno: “alcuni hanno il privilegio di essere amati, altri no. Alcuni sono educati alla libertà, altri sono schiavi della guerra, della dittatura, del fanatismo religioso ……. Chi nasce nero non è bianco, chi nasce malato, non nasce sano, chi nasce povero nasce svantaggiato. …. I figli … sono individui … ciò che ci rende diversi dagli altri può salvarci.”
La fuga di Eva alla ricerca del padre Giose, da cui l’ottusità della legge degli uomini l’ha separata, dopo la morte del padre Christian, di cui porta il cognome, è la dimostrazione di quanto l’amore non possa né debba essere ostacolato. Come non riflettere sui danni psicologici che può subire un adolescente strappato ai suoi affetti, solo perché questi non rispondono ai canoni della morale comune, con quale arroganza stabilire che un individuo con una capacità infinita d’amare non possa essere un genitore degno solo perché omosessuale?
Queste considerazioni che hanno come perno i protagonisti, inducono a ulteriori riflessioni non di minore importanza. Una fondamentale riguarda il tempo ed è anticipata con il capitolo che costituisce l’incipit del romanzo ed è intitolato “L’anno zero”. Qui la Mazzucco si addentra in considerazioni filosofiche affrontate con chiarezza e semplicità. Amplierà il discorso nel corso del romanzo. Ciò che è interessante è l’ affermazione della relatività del tempo, che muta per ciascun individuo, che non può essere qualcosa di universale e statico. Il riferimento all’anno zero, quello che è tra l’anno I avanti Cristo e l’anno I dopo Cristo, il vero tempo cioè, quello che esiste al di là di ogni convenzione, dimostra come le ore, i minuti che noi viviamo siano horae inaequales. “Un attimo, un’ora o un giorno esistono solo in rapporto agli eventi che li definiscono.” Dice Christian.
Da tutto il romanzo traspare inoltre la profonda conoscenza della Mazzucco della storia dell’arte e della cultura classica: elemento che contribuisce ad arricchire la narrazione di dettagli interessanti, mai pedanti.
Lo stile e la forma del romanzo vedono un alternarsi dell’uso del passato e del presente: il passato allunga i tempi degli avvenimenti raccontati, il presente , con la sua contemporaneità li accelera. Una raffinatezza squisita ed esemplare.
La storia di Eva, dunque, affronta una delle problematiche più attuali dei nostri tempi e il personaggio stesso, questa adolescente “in progress” o “on the road”, può essere a ragione considerato l’espressione più significativa del Picaro del ventunesimo secolo.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    15 Ottobre, 2013
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Storia di una capinera

La capinera ritratta da Verga nel 1869 è la giovane Maria, costretta ad una monacazione forzata per volere della famiglia.
Una consuetudine aberrante che ha attraversato secoli per arrivare anche a tempi molto vicini a noi.
Proprio in considerazione di questa “pratica” detestabile e foriera di mali, è possibile pensare che l'autore, nell'elaborare il lavoro, abbia voluto fondere un messaggio dal valore sociale e morale alla pienezza introspettiva e di sentimenti dettata da una netta influenza romantica.

La narrazione in forma epistolare, sfocia in un monologo di un'intensità stupefacente, dove la voce della sventurata Maria si racconta, si illumina, si infiamma, si smorza.
Le parole della protagonista rispecchiano fedelmente la sua anima, sono dapprima sussurri di speranza, poi diventano grida di dolore.
Quello che la penna dell'autore riesce a rappresentare è il supplizio di una donna,
raggiungendo un grado di immedesimazione e realismo graffiante; la componente romantica presente in questo romanzo, contribuisce a caricare di passione e di struggimento queste pagine, culminando nelle fasi di smarrimento e di annientamento della giovane.

Anche Maria al pari di protagonisti posteriori del Verga può essere considerata una “vinta”; schiacciata dalla vita e da un destino crudele, chiusa in una gabbia scelta da altri ad osservare il mondo attraverso le sbarre, un'anima repressa, svuotata dai sentimenti, privata della luce di un sorriso e di un abbraccio.

“Storia di una capinera” è un romanzo pienamente riuscito che ancora oggi, trasmette emozioni forti e nette, provocando una sensazione di soffocamento nel lettore di pari passo con il consolidarsi della clausura della piccola capinera e dell'affievolirsi della sua voce.
Una lettura lontana dalle caratteristiche stilistiche del Verga verista, eppure meritevole d'essere conosciuta e assaporata.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    15 Ottobre, 2013
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Una peccatrice

Tra le pagine del romanzo breve “Una peccatrice” incontriamo un giovanissimo Verga, romantico e passionale, fortemente influenzato dalle correnti letterarie e filosofiche del tempo.
Verga, partendo da una vicenda autobiografica, confeziona una storia struggente, che ribolle di amore e sentimenti; amore convulso e irrefrenabile, amore che percorre la strada dell'esaltazione del cuore e della mente sfociando in passioni insane e distruttive.
Anche se considerato da sempre dalla critica un romanzo minore, tuttavia è una piccola perla del Romanticismo ottocentesco italiano, di facile lettura nella sua suddivisione tra una parte narrata ed una parte epistolare. E' un crescendo di toni, dalla gioia pura dell'innamoramento alla tensione emotiva scaturita da una relazione tra un giovane studente ed una donna matura, avvenente e spregiudicata.
E' una febbre che sale infiammando i cuori dei protagonisti e destando pathos e curiosità nel pubblico; a distanza di tanti anni da allora, pensiamo che la pubblicazione risale al 1866, è un racconto emozionante che ci catapulta in un passato lontano dove amore significava corteggiamenti, sguardi indiscreti, profferte amorose, missive, convenzioni sociali, ma anche tradimenti, disillusioni e inganni. Verga convoglia con maestria tutti gli ingredienti in un flusso narrativo rapido, impetuoso e denso.

La giovane penna del Verga ha firmato un lavoro con cui immortalare le frenesie dettate dalla passione amorosa, vagheggiando rapimento, estasi, disperazione e furia.
E' una testimonianza letteraria pregevole per approfondire la conoscenza di un autore che, oltre ad essere ricordato come esponente del Verismo, ha dapprima percorso la strada del filone romantico, maturando un'ottima capacità di mettere a nudo l'animo dei suoi personaggi.

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silvia t Opinione inserita da silvia t    15 Ottobre, 2013
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Mastro Don Gesualdo

Dagherrotipi e immagini ambrate affollano la mente quand'essa corre a Vizzini, quando gli occhi scorrono le pagine di Mastro Don Gesualdo; quel piccolo libro che si porta addosso colpe che non ha, imposizioni liceali, furti di caldi e spensierati pomeriggi estivi; nel ricordo, quel piccolo libro ha un peso specifico immenso, simile al piombo, ma uguale al platino e come questo dopo anni il suo valore appare aumentato, la sua prosa perfetta, il piacere penetrante e indelebile.
Ciò che accompagna il lettore per tutto il tempo è un rumore di fondo che pervade l'aria, colori, suoni e immagini si compongono; la Sicilia si confessa, mette a nudo tutta la sua vivacità, tutte le sue contraddizioni.
Infiniti i piani di lettura e gli spunti di riflessione che si posso fare sul contenuto di quest'opera, ma ciò che colpisce in modo violento è la freschezza dello stile che non ha risentito per niente dello scorrere del tempo.
Il lessico è sempre coerente coi personaggi, così come il registro, più aulico nei palazzi nobiliari, più volgare e rozzo tra i contadini dimostrando quanto Verga riesca a interpretare i vari personaggi quanto conosca l'attualità del suo tempo e come riesca ad analizzarla.
Verga era un teoreta della letteratura e Mastro Don Gesualdo fa parte di un progetto molto ambizioso che non verrà mai alla luce in tutto il suo splendore, ma che racchiude in sé tutto il potenziale inespresso, tassello di un mosaico ambizioso.
Come in un teatro, quando si spengono le luci e lo spettacolo sta per iniziare, i riflettori illuminano la scena, così Verga squarcia il buio con la descrizione del fuoco in casa Trao, che distrugge e scopre una nobiltà decaduta, una morale ormai corrotta, una verità scomoda, ma figlia del suo tempo e destinata ad invadere e modificare i millenari equilibri di una terra abituata ai suoi ritmi e non ancora pronta a sovvertire la sua struttura.
Fin dalle prime pagine i protagonisti vengono caratterizzati e presentati in tutti i loro tratti essenziali, con poche pennellate si evidenziano i lati che fondano la loro personalità e i comportamenti che ne seguiranno saranno solo la normale conseguenza di essi.
Mastro Don Gesulado e Bianca Trao non sono che i paradigmi di un'Italia che inizia a cambiare, evolvere nel caso dell'uomo, scomparire nel caso della donna; il volgo che prende potenza, la nobiltà che la perde; ma non è solo una sorta di cronaca giornalistica di un'epoca, è la prima rappresentazione di un benessere che inizia a crescere, di una presa di coscienza del proprio valore da parte dei contadini, ma anche uno svelare la meschinità degli animi, il ricacciare i pochi buoni sentimenti in fondo al cuore, in nome della “roba” o in modo più eterogeneo del possesso.
La “roba” si fa succedaneo degli affetti, ogni zolla di terra diviene un figlio, la prole, legittima o meno, mezzo di riscatto sociale o vergogna da tenere nascosta, di cui disinteressarsi; la “roba” è consolazione, rifugio sicuro dove riposare, preoccupazione per il suo futuro, per la sua felicità.
La “roba” diviene personaggio, quasi in carne ed ossa, c'è più fedeltà da parte di essa che di qualunque altro, continua a dare i suoi frutti, restituisce la fatica attraverso rigogliose fioriture, solo Diodata, serva del padrone, orfanella, madre dei suoi due figli ha le stesse caratteristiche, è stata presa in carico dal padrone e ad esso sarà sempre fedele, sempre riconoscente, unico personaggio davvero positivo di tutto il romanzo.
Ciò che anche dopo tanti anni questo romanzo regala è un'emozione incredibile, un'empatia così profonda per quella vita fatta di stenti, ma di soddisfazioni, di quella nascente voglia di riscatto che porta però a contaminare la propria essenza generando qualcosa di irriconoscibile e per questo non gestibile e foriero di infelicità e di ingratitudine.
Un libro questo che non può mancare nel bagaglio culturale di nessuno, per molti motivi, non per ultimo la descrizione delle radici in cui affonda la nostra società moderna, ma soprattutto perché è scritto bene, le parole si fanno arabeschi che formano immagini dolci e grevi insieme, volteggi semantici che fanno vibrare le corde dei sentimenti e lasciano una dolce musica echeggiare nei meandri della mente dove, forse, gettano un piccolo seme che si spera un giorno fiorirà, generando la passione per i classici della nostra bellissima lingua.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    15 Ottobre, 2013
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Chiara di Assisi

Una Chiara ventenne di oggi e Chiara di Assisi nata nel lontano 1193.
Inizia così, su questo duplice binario temporale, la narrazione di Dacia Maraini, ammaliando il lettore fin dalle prime battute.

Difficile porre una definizione univoca e calzante al nuovo lavoro dell'autrice; non è solo una biografia romanzata, non è solo un'analisi socio-storica del periodo medievale, non è solo un confronto tra passato e presente, non è solo strumento di studio della figura femminile nel corso dei secoli dal mille ad oggi.
Il romanzo dedicato alla figura di Chiara di Assisi vuole essere tutto questo perfettamente fuso in una narrazione appetibile, ricca di riferimenti storici-religiosi-culturali.

Con maestria l'autrice appronta una ricostruzione di Chiara d'Assisi, donandole uno spessore storico netto, grazie alle numerose citazioni di testi dell'epoca e alle raccolte di testimonianze delle consorelle utilizzate durante il processo di canonizzazione, fino a renderla viva tra queste pagine.
Di una intensità e bellezza commovente le immagini di Chiara colta nella quotidianità di una vita trascorsa tra le mura di un monastero per scelta, abbandonando una vita di agi, facendo i conti con la povertà, con la fame e con la malattia.
La Maraini col supporto di tanta documentazione storica ci parla di una ragazza prima e di una donna poi, dotata di una forza di volontà estrema, impegnata a combattere società e clero in nome dei propri ideali di vita e religiosi.
Chiara come voce della disobbedienza, pronta ad infrangere regole consolidate che relegavano la donna a determinati ruoli, anche e soprattutto all'interno della Chiesa.
Chiara logorata dalle inquietudini, dai tormenti, dai pensieri.

Scorrono sotto gli occhi del lettore numerose citazioni tratte da testi medievali, che aiutano a comprendere il periodo di cui visse Chiara; la mano dell'autrice riesce ad amalgamare i riferimenti tra passato e presente senza appesantire il percorso narrativo, anzi inserendo approfondimenti e stimolando riflessioni.

Questo nuovo lavoro della Maraini è un saggio ibrido, interessante e vivace per coloro che amano la storia, ben lontano dall'impersonalità della mano di un saggista; la voce della Maraini è inconfondibile e non si astiene dal sussurrare tra le righe il suo stupore per la figura della santa, il suo grido di dolore per talune ingiustizie sulle donne perpetrate in tutti i tempi, la sua partecipazione alla sofferenza, confermando la sua capacità di fusione spirituale e psicologica col personaggio.
Un lavoro riuscito, che senza ambire alla completezza biografica, apre una finestra sul lontano medioevo e cerca di illuminare il volto di una donna: Chiara di Assisi.

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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    15 Ottobre, 2013
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NELLE ACQUE DEL FIUME SURREALTÀ

Il primo vero protagonista del libro è Londra, entità vorace e senza fondo, che brucia e incanta, eccita e delude, prende e si lascia prendere. Il suo ritratto emerge da visioni, allucinazioni, emozioni, odori che invadono gli incubi e i sogni senza acquistare mai una dimensione stabile. Vale la pena conoscere questa capitale così diversa, dove si può essere diversamente bianchi, dove le ingiustizie provocano rivolte e le rivolte possono essere delle “gran figate”.

Nei primi capitoli manca la profondità dei personaggi umani e sembra che questa dimensione manchi all’intera città: considerata la complessità della superficie, non sembra necessaria. La narrazione riprende la stessa struttura caotica delle strade, dei pub e dei party londinesi: i personaggi brillano e brulicano negli stili, nei comportamenti, nella musica, nei colori, negli umori. Il “Dizionario di Johnny” è utile per favorire la localizzazione.

Uno dei luoghi londinesi più suggestivi è il “mondo incantato” dei servizi sociali inglesi, il Departement of Social Security (DSS), che offre ottime possibilità ai parassiti urbani più astuti. Mirko, avvocato fallito e infantile di origini bolognese, ha trovato a Londra il suo ambiente ideale.
“Di lavorare non ne voleva sapere. Sempre alla ricerca di un osso da succhiare, sgraffignava ovunque finché non trovava una nuova carcassa da spolpare, che nella maggior parte dei casi riusciva a scovare tra i fascicoli dei sussidi governativi e tutti gli altri aiuti statali opportunamente celati tra le scartoffie.”

Andando avanti con l’intreccio, tra l’assurdo e il tragicomico la personalità della voce narrante prende forma: Johnny, fragile e ostinato artista, sguazza poco felice tra le sue contraddizioni, che sono le stesse della sua amatissima città d’adozione. Johnny ama le superfici; ma cerca l’interiorità. Conosce e utilizza con maestria l’arte di sopravvivere discretamente con piccoli furti e truffe al DSS; ma non sfugge sensi di colpa. Apprezza la musica, il sesso, l’arte e la bellezza; ma ne ricava poco.

Il nostro eroe, che potrebbe lavorare ovunque ma non ne ha voglia, si sente ancora troppo giovane per legarsi a una sveglia: meglio rimbalzare da un party e l’altro, assumere varietà mirabili alcool e stupefacenti, vagare stordito tra interni ed esterni. Sembra che non sappia dove andare, ma di fronte a una precisa domanda, noi lettori scopriamo che lo sa. In seguito, con ampio ritardo, lo scopre anche lui: sul finire delle pagine il ritmo ormai stanco della narrazione esce dal limbo e accelera, spinto dal desiderio.

Questo suo primo romanzo del fotografo Luca Desienna ha la struttura di un lungo reportage: i capitoli scorrono come immagini in un album fotografico. La scelta lessicale è vasta e varia, spesso cruda. La qualità dello stile alterna fiammate di eccellenza a cadute nel fango della banalità. Ma anche questo è Londra.
“É una bella donna che non te la dà e mai te la darà”.
“La metropoli dell’illusione, dove ti fanno credere che tutto è possibile se compili l’apposito modulo.”
“Il sensato è affondato. Dimenticato. Ora sei mio e farai quello che voglio io.”

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AlessandraV Opinione inserita da AlessandraV    12 Ottobre, 2013
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Il passato ritorna. Sempre

Uno scherzo. Si, sembra proprio uno scherzo di pessimo gusto quello che il misterioso signor Nessuno fa ai suoi vecchi compagni di classe. La vita di questi ultimi viene scombussolata dall'arrivo di una lettera attraverso la quale Nessuno li invita al suo funerale. Tutti cercano di capire di chi si possa trattare, quale ragazzino timido e schivo si possa celare dietro a questa lunga lettera. In poche righe Nessuno rigurgita tutto il proprio nervosismo e quella sensazione di inadeguatezza che ha caratterizzato la sua vita. Gli ex compagni, ormai diventati adulti, ricevono l'invito e decidono di recarsi presso una residenza segreta nella campagna pugliese. Qui troveranno a loro disposizione maggiordomi e camerieri pronti ad esaudire ogni loro desiderio. Prima del fatidico giorno, saranno invitati a banchetti nei quali potranno sfogarsi con commenti pungenti per colmare con le parole quel vuoto di anni di lontananza. Parteciperanno anche a convegni che daranno loro degli indizi per scoprire l'identità del "padrone di casa" ormai scomparso. Questa esperienza servirà a tutti loro per riscoprire vecchie amicizie o amori lasciati sui banchi di scuola. Ciascuno di loro è diventato qualcuno : consulenti finanziari, casalinghe, giornalisti... chi sposato, chi single, chi , sebbene i quarant'anni siano stati superati, ancora in cerca della propria strada. Ciascuno di loro fa un esame di coscienza e cerca di capire in che modo il loro comportamento possa aver influito sulla formazione della personalità di Nessuno. Si domandano perché questa persona possa essere stata sconvolta dai loro comportamenti.
Ho apprezzato il contenuto di questo romanzo di Daniele Muzzarelli, giovane modenese agli esordi. Ha saputo creare una storia che porta a riflettere sul comportamento di ciascuno di noi: spesso diciamo o facciamo cose che per noi sembrano scontate e senza conseguenze, ma non pensiamo che spesso le nostre parole possano ferire l'animo dell'altra persona. La sensibilità del protagonista è stata lesa da pesanti ed inqualificabili comportamenti. A volte basterebbe solo seguire le buone norme dell'educazione per evitare di ferire chi ci sta di fronte. Il personaggio Nessuno era già "morto" sui banchi di scuola, quando i suoi compagni lo rifiutavano o lo deridevano. Nessuno ha dovuto combattere da solo la solitudine e l'indifferenza di ragazzini viziati e "ciechi".
Le lacrime di rabbia sono forti ed indimenticabili e le vite dei personaggi, così frenetiche ed apparentemente perfette, saranno sconvolte per sempre da questo ritorno al passato. Le loro coscienze saranno smosse per scavare a fondo e ritrovare quella felicità che pare distante anni luce.
Sebbene il contenuto sia buono, lo stile è ancora acerbo e la narrazione risulta talvolta poco accattivante, ma questo è dovuto certamente alla necessità di lavorare ancora per migliorare il proprio stile. Non dimentichiamoci infatti che l'autore esordisce proprio con questo romanzo.
Durante la lettura ho avuto come l'impressione di leggere la sceneggiatura di un film: la storia, se ben adattata, potrebbe tranquillamente essere arrangiata per una trasposizione cinematografica. In bocca al lupo all'autore!

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mt Opinione inserita da mt    10 Ottobre, 2013
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Occhio per occhio.......


E' storia di uno psicologo, Joseph O' Loughlin che occupa la cattedra di Psicologia comportamentale all'Università di Bath che, suo malgrado viene coinvolto in un'indagine di apparenti suicidi di donne e di uno psicopatico ex militare dei servizi segreti esperto in torture psicologiche.
I capitoli si alternano tra lo psicologo e l'assassino.....la cui identità sarà intuibile quasi da subito.
Joseph viene chiamato per un intervento urgente: una donna al telefono, nuda sotto la pioggia e con la scritta PUTTANA sull'addome si sta buttando da un ponte; nonostante l'intervento lo psicologo non riesce a fermarla ma prima di lasciarsi cadere la donna gli sussurra delle parole “ Lei non può capire”.
La figlia della donna suicida di reca da lui per convincerlo che la madre non si sarebbe mai suicidata e, di scoprire cosa l' abbia indotta a compiere il gesto.
Caso archiviato fino a che non viene trovata un' altra donna, morta impiccata ad un albero per un polso anche lei col cellulare in mano.
Il nostro amico Joseph accetterà di aiutare nelle indagini l'ispettore di polizia Veronica Cray
Per quale ragione il manipolatore, imprevedibile e sconvolgente piega la mente di queste donne al proprio volere, cosa gli hanno fatto e perché le reputa delle puttane?
Thriller psicologico, due menti a confronto, lo psicologo e lo psicopatico: il bene e il male e, qui mi fermo per non svelare altro sperando di indurvi alla lettura!
Libro scorrevole e veramente ben scritto, inquietante, coinvolgente, un pò cinematografico e che, nonostante le dimensioni, appassiona il lettore dalla prima all'ultima riga.
Buona lettura!

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Melandri Opinione inserita da Melandri    10 Ottobre, 2013
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100 PAGINE IN PIU'

Pietro ha diciotto anni e dondola tra il desiderio di liberare i propri sentimenti e il bisogno di proteggersi dai suoi stessi pensieri. Suo padre se n’è andato e sua madre ha una nuova relazione con un uomo che lui detesta. Durante una gita in montagna con la nuova coppia, Pietro decide di tornare indietro da solo, convinto di dover attendere solo qualche ora all’auto, ascoltando un po’ di musica dal suo Ipod e alienandosi da sé stesso come è ormai bravissimo a fare ma, alla macchina, Pietro non arriverà.

L’escamotage letterario dello smarrirsi, è metafora in questo racconto delle tante perdite subite da Pietro, del padre innanzitutto ma anche della serenità e dei punti fermi necessari ad ogni adolescente per maturare.

L’incontro con una realtà che differisce completamente dalla sua gli rinnova lo spirito degli affetti ma allo stesso momento lo fa piombare dentro di sé come mai gli era accaduto. E’ un universo nuovo quello in cui si troverà coinvolto, estremo e terribile ma anche più vero di tutto ciò che nella sua giovane vita si è trovato a scegliere di affrontare.

Lo stile di questa novella scrittrice è fresco ed elementare. Alcuni punti scrupolosamente dettagliati stonano di fronte ad ondate di rapidità. Il finale è inatteso e suggestivo e la trama ha davvero una buona traccia. E’ un racconto interessante e nuovo ma tutto questo è adombrato da un uso della coniugazione verbale che impedisce una lettura fluente. Un imperfetto seguito da un passato prossimo, pur rimanendo nella sfera dell’arte della scrittura che lascia ampio respiro alle scelte di ogni autore, immancabilmente blocca lo scorrere delle parole. Allo stesso tempo, in un romanzo breve, l’inserimento di personaggi interessanti e sopra le righe che non vengono approfonditi a sufficienza per scarsità di pagine, mi ha dato la sensazione di essermi persa qualcosa…

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erlebnis Opinione inserita da erlebnis    09 Ottobre, 2013
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Toccante nei contenuti, confuso nello stile.

Simona è una ventenne molisana che si trasferisce a Rimini per lavoro. I suoi pensieri, i suoi sentimenti e la fragilità con cui affronta delusioni e avversità riempiono le pagine di un libro che ha la sua idea più originale nella divisione in capitoli recanti il titolo di una canzone. In effetti, la musica è l'altra grande protagonista del romanzo, che ho trovato intenso, toccante e sincero ma che, credo, si basi troppo sulle esperienze personali dell'autrice. Per carità, non c'è assolutamente nulla di male, anzi... però bisogna padroneggiare uno stile maturo e tecnicamente ineccepibile quando si scrive di se stessi, perché stare in bilico tra un romanzo introspettivo e il semplice "diario segreto" è molto difficile. Insomma, c'è un po' di confusione stilistica perché bisognava, a mio parere, "smorzare" l'esigenza di "sfogarsi" con il necessario distacco intellettuale per creare maggiore equilibrio. Comunque, penso che l'autrice ci riuscirà meglio nel prossimo romanzo, perché, doveroso dirlo, è il suo romanzo d'esordio. Magari, nel prossimo questi eccessi di ingenuità stilistica saranno limati.

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Romanzi
 
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silvia t Opinione inserita da silvia t    09 Ottobre, 2013
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Palazzo Sogliano

C'è una sola parola che sintetizza al meglio questo romanzo: vuoto; vuoto di contenuti, di stile, di caratterizzazione, di atmosfera.
Avvicinandosi a questo libro è necessario un grande sforzo per ed effettuare la sospensione dell'incredulità, ma in molte occasioni non è sufficiente, nonostante tutto si ha l'impressione di essere in un mondo di cartapesta.
La trama è banale, ma non è questo che rende povero il lavoro, poiché la storia narrata non è così fondamentale, ma lo sono altri parametri.
Analizzando le varie componenti che formano il testo ci troviamo a dover far i conti con gli innumerevoli personaggi che compongono la famiglia Sogliano e nessuno di essi è caratterizzato in modo convincente, non la protagonista che appare di una superficialità quasi irritante, lascia che gli eventi si avvicendano senza interagire, come una spettatrice passiva; la sua personalità non è descritta e non si evince dalle azioni, non un moto di passione, pur essendo descritta come una donna forte e volitiva; anche il di lei marito defunto ci appare come un corpo senza anima, anche nei racconti in cui è vivo, un uomo buono, ma senza carattere, pur essendo descritto come la prova in terra della virilità e della perfezione; così potremo continuare per ogni singolo personaggio, corallaro o ciabattino, milanese o napoletano, adulto o bambino, americano o cinese.
La sensazione è quella che la Modignani abbia distribuito delle parti a degli attori che non sono riusciti ad interpretarle, che non siano in alcun modo riusciti a trasmettere le sensazioni che li caratterizzavano, ognuno di essi è bidimensionale, non ha sfaccettature è tagliato di netto senza alcun passaggio dolce tra il bianco e il nero.
Altra enorme mancanza è la totale assenza di atmosfera, ogni evento viene narrato sempre con lo stesso tono, in una sorta di distorsione temporale che rende le vicende avvolte da una patina ovattante e rallentante.
Giungiamo poi alla nota più stonata: lo stile; monocorde, privo di ritmo e di dinamicità, quasi da cronaca rosa più che da romanzo. Il lessico è povero, i periodi semplici, le subordinate quasi inesistenti, l'aggettivazione tanto ricca quanto inutile, le descrizioni limitate ai personaggi e non agli ambienti o alla psicologia; ma la cosa che appare più disastrosa sono i dialoghi del tutto improbabili e inverosimili.
La sensazione che si ha leggendo è quella di star ascoltando un romanzo radiofonico di Pedro Camacho* tradotto in italiano.
Eppure è il libro più venduto in Italia ed è difficile non porsi delle domande.
Il lettore cerca in questo libro l'identificazione, il lieto fine, la perfezione di una famiglia che pur avendo qualche piccolo peccattuccio da farsi perdonare è comunque sempre dalla parte del bene o in ogni caso tende ad esso e prima o poi lo raggiungerà.
Il lettore è coccolato e rassicurato, fin dalle prime pagine sa che tutto finirà ne migliore dei modi e così evade dalla realtà per rifugiarsi in una fittizia, il che, se il tutto fosse scritto in un modo più convincente potrebbe anche essere tollerato.

Romanzo che può benissimo lasciare il passo a molti altri che seppur d'intrattenimento appaiono meglio strutturati e più articolati.

* Vedi “La zia Julia e lo scribacchino” di Llosa

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Autori italiani
 
Produzione letteraria 
 
5.0
silvia t Opinione inserita da silvia t    09 Ottobre, 2013
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PASSEGGIANDO IN LIBRERIA

Un Uomo entra in una libreria circondato da scaffali pieni di libri, il suo occhio si sofferma su delle copertine colorate, accattivanti, lucide o opache, ma che emanano un fascino senza fine; attratto da uno in particolare decide di aprirlo e di leggere l'incipit. Il libro che ha tra le mani è di un autore contemporaneo italiano, le frasi sono brevi, la punteggiatura fatta quasi solo di punti, il ritmo serrato e l'aggettivazione frequente.
L'uomo, come colto da un'illuminazione, o forse perché gironzolando tra gli scaffali aveva scorto il reparto dedicato ai classici, si chiede come si possa essere giunti all'attuale forma narrativa, come dal Manzoni, paradigma del romanzo classico, siamo giunti a ciò che oggi gli autori creano.
La sua mente, allora, corre verso quell'autore di cui conosce tutto, perché lo ha studiato a scuola, la perfezione della lingua italiana, la bellezza narrativa e la contemporanea profondità socio-politica; ne “I promessi Sposi” non si legge solo una storia, si respira la Storia.
Cosa accadde dopo? Cosa avveniva in Italia subito dopo l'Unità d'Italia (17.03.1861)?
Dopo anni di destra al governo inizia a spirare la voglia di aumentare i diritti delle persone più umili, di rendere dignità ai poveri, ai contadini, ai più deboli. Fu in questo clima che Depretis salì al potere e diede corpo a quei valori e a quei propositi a cui tanto credeva, pur con molte contraddizioni tipiche di quel tempo e del nostro paese.
Così fu allargato il suffragio elettorale, introdotta l'istruzione elementare obbligatoria e gratuita e iniziò l'abolizione della tassa sul macinato.
L'Uomo si ferma a riflettere sui ricordi lontani e si stupisce di come diritti come questi possano apparire all'oggi così scontati, ma quanto devono aver combattuto e quanto devono averci creduto gli uomini di allora; il sogno di un futuro migliore, nel tentativo di edulcorare il presente fatto di fatica, di sudore, di lavoro, ma soprattutto di fame.
Riflettendo sulla situazione dei più umili, degli ultimi in contrapposizione con i grandi cambiamenti che andavano profilandosi carichi di promesse risulta evidente come in Italia cominciasse una crisi del pensiero filosofico dando vita al positivismo, che già nel nome portava con sé la sensazione di ottimismo, ma che in realtà fa riferimento a ciò che è certo e provato.
Le nozioni, apprese in giovane età, si auto-alimentano nell'Uomo che ricorda come in quegli anni l'immagine delle persone, le loro facoltà intellettuali e morali, in quanto determinate da condizioni fisiche, biologiche ed economico-sociali, potessero essere studiate con gli stessi metodi deterministici delle scienze della natura; Darwin era morto da poco e la sua teoria evoluzionista aveva acceso un dibattito molto vivace. Il fulcro filosofico di questo periodo, però fu Nietzche, che influenzerà il secolo successivo. In questo clima fatto di voglia di cambiamento, voglia di essere contagiati dall'estero, un esempio ne è il tentativo di colonizzare l'Etiopia poi la Libia, voglia di quel futuro che in Francia già si respirava e si manifestava con il Naturalismo, prende vita il Verismo.
L'Uomo non può non riflettere su tutto questo, pensare a come sia la difficoltà di vivere spinta dalla speranza a generare meravigliose sorprese e come le menti migliori possano dare il meglio di sé in tali situazioni.
In una sorta di mondo onirico avvolto dai nebulosi ricordi emerge una figura per molti quasi paurosa, da tenere lontana, perché difficile, poco immediata al giorno d'oggi: Verga.
Giovanni Verga è forse colui che più di chiunque altro è riuscito a dare vita a quel movimento che nacque spontaneo. Come spesso accade nell'arte in generale e in letteratura in particolare lo spirito popolare e scientifico si fondono in un'unica forma generando qualcosa che sintetizza tutta la cultura di un'epoca, non tralasciando nessuna sfaccettatura.
Allora ecco che la realtà è raccontata dalla parte dei più umili, di coloro che non vengono ricordati nei libri di storia, ma la storia l'hanno fatta, sudando e lavorando tutti i giorni, costruendo un'Italia che non c'era, rimanendo ancorati ai loro valori spinti, però, da una marea montate che li porterà nel domani, quando ancora non saranno pronti, quando ancora penseranno che il domani non arriverà. La realtà è raccontata, seppur scomoda, seppur brutta, in modo quasi giornalistico, come fatti di cronica, senza esprimere giudizi, senza dar opinioni, ma lasciando che il lettore tragga le proprie conclusioni e si faccia una sua idea.
L'Uomo abbandona quel libretto e torna indietro verso i classici, cerca Mastro Don Gesualdo e si dirige alla cassa certo di trascorrere una serata in compagnia di una bella lettura!

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Romanzi
 
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    07 Ottobre, 2013
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Slainte Mhath

Molto spesso quando scelgo un libro da recensire tra quelli messi a disposizione dalla Redazione, mi lascio colpire dal titolo ed anche questa volta sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla mia scelta.
Di solito non prediligo i romanzi rosa, ma questo mi è davvero piaciuto molto.
Lo stile è semplice e colloquiale ed inoltre il libro è stato suddiviso in piccoli capitoli che incrementano nel lettore la voglia di sapere prima come va a finire la storia.

Passiamo alla trama del libro.

Chiara è una donna sposata con una figlia adolescente ed un bel negozio di arredamenti.
Tutto ha inizio con un’e-mail di un misterioso adulatore che si firma Slainte Mhath.
Dopo le e-mail inizierà anche ad inviarle qualche regalo e dei messaggi sempre più piccanti che faranno battere forte il cuore alla protagonista.
Chiara si sentirà più bella e più apprezzata, curerà di più il suo vestiario ed anche se sa che comportandosi in questo modo in un certo senso sta tradendo il marito questa situazione la farà eccitare parecchio.
Con il tempo deciderà di chiedere consiglio alla sua migliore amica Francesca, la quale di uomini ne ha avuti tanti, ma nessuno di così gentile e premuroso nei suoi confronti.
Chiara si troverà in difficoltà tra un marito che nell’ultimo periodo non la considera più ed uno spasimante pieno di raffinatezza e buon gusto.
Il marito di lei piano piano però noterà dei cambiamenti nella sua donna e per paura di perderla cercherà di correre ai ripari dimostrandosi un uomo migliore.
Chiara rimarrà con suo marito o scapperà con il misterioso Slainte Mhath?
E soprattutto questo Slainte Mhath è proprio chi pensa lei?

Per scoprirlo non vi resta che leggere questo breve romanzo!

Buona lettura!

“Sono più di vent’anni ormai”
“Ormai. Vedi sta tutto in quella parola che sottintende tante cose, tra cui abitudine e noia”

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Romanzi storici
 
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paola melegari Opinione inserita da paola melegari    05 Ottobre, 2013
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CECILIA O CATERINA?

Leonardo abbassò lo sguardo,turbato da quella donna attraente e coraggiosa, che sembrava avere la forza per leggere nella sua mente.
Leonardo da Vinci e caterina Sforza, seduti l'uno di fronte all'altra.
Mentre Caterina pensa al dipinto ammirato pochi giorni prima nella chiesa di San Francesco, La Vergine delle Rocce, complimentandosi con il maestro per aver colto l’essenza della sorella, Bianca Maria.
Nel frattempo il maestro con movimenti veloci e sicuri, ritrae la nobildonna .
Leonardo avvicinando i due ritratti, fa notare quanto i volti delle due sorelle siano somiglianti.

Lo sguardo differisce, l’uno più fiero e diretto, di una donna consapevole di se stessa. Caterina.

L’altro più timido e pudico, pronto a sfuggire lo sguardo altrui. Bianca Maria.

La capacità del maestro di carpire l’anima delle modelle, non sfugge a Caterina attenta osservatrice e mente vivace.

La tigre, che alberga in Caterina Sforza, domina il romanzo storico, che ho appena finito di leggere, donna combattente al punto che la storia la vede più volte indossare l’armatura al fianco dei suoi uomini.
Sposatasi tre volte ebbe otto figli.
Sicuramente, aveva ereditato i suoi geni, Giovanni dalle bande nere, valoroso condottiero, suo ultimo figlio, nato in terze nozze da un Medici.

Una donna che sicuramente portava il fardello di un vissuto complesso, ad iniziare dallo scioccante omicidio del padre che amava fortemente, assassinio probabilmente dovuto ad un complotto.
Tale morte, di Galeazzo Maria Sforza , porterà infatti Ludovico Sforza, detto il Moro, alla guida del ducato di Milano, lasciando l'erede Gian Galeazzo Sforza delegittimato. .
La salute cagionevole e i vizi del giovane rampollo, faranno si che il Moro governi il Ducato praticamente indisturbato.

Le donne della famiglia Sforza sono le vere protagoniste di questo romanzo la loro forza, l’orgoglio dato loro dalla dinastia, dall’educazione , le menti vivaci e curiose, attente e determinate. Sono menti rinascimentali, nelle quali si intuisce la necessita’, la sete e la fame di conoscenza e di desiderio di affermazione, le donne dopo secoli di silenzio e di sottomissione vogliono e sono finalmente protagoniste
e artefici della storia.

La dama con l’ermellino bellissimo dipinto di Leonardo ha ispirato il titolo di questo libro.
E’opinione diffusa che questo quadro rappresenti Cecilia Gallerani, amante di Ludovico il Moro.
Dietro alle opere di Leonardo ci sono sempre simbologie, che onestamente non sono in grado di decifrare.
L’interpretazione meno seguita secondo la quale l’opera sarebbe una memoria alla congiura contro G. M. Sforza, padre di Caterina S. che sarebbe rappresentata , nel quadro suddetto come la dama con le perle nere al collo ,in segno di lutto, e l’ermellino ricondurrebbe allo stemma araldico di Giovanni A. Lampugnano, mandatario ed esecutore dell’assassinio di G.M. Sforza .

E’ davvero affascinante scoprire i retroscena della vita di Leonardo da Vinci, sempre proteso a nuove opere d’arte, ad invenzioni, a stupire con il suo acume ed ingegno.

Bello questo romanzo, che ha riempito alcune mie lacune storiche, e come sempre la lettura ci stimola a cercare e a conoscere cose nuove. Una lettura scorrevole piacevole ed interessante, che ho particolarmente apprezzato dato che recentemente avevo letto I cigni di Leonardo , nel quale si descriveva la storia di Beatrice D’Este, moglie di Ludovico il Moro.
Insomma vedere la storia da due angolazioni diverse.


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I cigni di Leonardo
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Racconti
 
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    02 Ottobre, 2013
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Irene, Aldo, il nonnino

Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole, mentre il mondo sta girando senza fretta...
Irene guarda il mare  e il mare gioca con la sabbia, mentre Irene fa l'amore coi delfini...
Leggo Erri De Luca e non posso che canticchiare  Francesco de Gregori, c'e' affinita' nella musica, i suoni si chiamano, mischio le parole, ci stanno bene.

Irene ha quattordici anni, non parla e non sente sulla terra ferma, le altre donne l' hanno isolata.
Vive di mare su una piccola isola, Irene e i suoi delfini, Irene ed il ventre gonfio e  teso, Irene e una creatura che cresce. Irene che regala un figlio alle onde, Irene che dona una storia a un uomo.

Il volume conta tre racconti, tre aneddoti di vita e fantasia raccolti  per strada da un autore che incrocia vite, ascolta momenti, crea contorni o dettagli, arrichisce e abbellisce coi connotati che piu' si impastano alla carta. Tre storie dall'agricoltura di piccole esistenze, direttamente sulla nostra tavola gia' condite e pronte per vellutare il palato.
Un'isola greca e il suo profumo di vento e sale, creature di terra e creature di acqua.
Un uomo di nome Aldo, Aldo De Luca, papa', una bomba che distrugge una casa e volumi da raccogliere, gli unici oggetti che non temono sciacallaggio.
Un nonnino denutrito, le lacrime scaldano il viso gelato dal vento di un inverno napoletano, una mandorla si scioglie in bocca.

Libro breve, la prosa poetica e' sovrana  e ci regala momenti intensi, di dolcezza e di vita, di amarezza e di morte, a meta' strada tra favola e realta' con accenni autobiografici talvolta, con sottile polemica a punzecchiare tra le righe talaltra.
Non amo i racconti ma l'autore mi piace molto, STORIA DI IRENE non e' tra i miei romanzi preferiti di De Luca ma  e' sempre e comunque un piacere passare un po' di tempo in sua compagnia, tra ovatta e sangue, solitudine e fantasia.

...ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa, non e' cosi' che se ne andra'...

Buona lettura.

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Romanzi
 
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    01 Ottobre, 2013
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Acquanera di Valentina D’Urbano

“Acquanera” di Valentina D’Urbano è un romanzo sulla solitudine, sull’emarginazione, sull’amore e sulla negazione dell’amore.
Il tema affrontato è tra i più complessi e certamente sarà difficile trovare unanime consenso tra i lettori.
La storie di Elsa, Onda, Fortuna e Luce si intrecciano e si muovono all’ombra del soprannaturale: ognuna di queste donne ha un rapporto personale e distinto con il mondo dei morti con cui si trova a interagire.
Se l’uomo si rifugia talora nella fede religiosa, talora invece in uno spinto ateismo raziocinante, è certamente dovuto al fatto che egli non ha mai saputo dare una risposta convincente al mistero della vita e della morte.
Nella letteratura classica non sono pochi i personaggi che abbiamo visto scendere agli Inferi e parlare con i morti: un esempio è Ulisse che rivede la madre Anticlea, un altro Enea che incontra il padre Anchise; per non parlare di Dante e del suo viaggio nella Commedia, o di Amleto, il principe di Danimarca dell’opera di Shakespeare, che vede il fantasma del padre. Questa esigenza di contatto con i morti, è spiegata proprio dalla necessità dell’uomo di credere ad una vita oltre la vita, al fine di rendere meno dura l’idea stessa della morte.
Nel nostro mondo contemporaneo, tuttavia, coloro i quali rendono note doti soprannaturali, vengono quasi sempre emarginati, perché considerati insani.
E ciò che capita a Onda che vive ai margini della società, in solitudine, in una baracca nel bosco. Sia lei che sua figlia saranno volutamente escluse da una convivenza civile dal resto della comunità di Roccachiara, un piccolo paese di poche anime.
Luce, pur non essendo dotata del dono di medium, ha tuttavia una frequentazione quasi quotidiana dei morti, poiché aiuta il padre nel suo lavoro di becchino.
La morte dunque è uno dei protagonisti di questo romanzo, una morte presente nei vivi, una morte immaginata, vissuta, a volte desiderata.
L’acqua è un elemento fondamentale nel racconto: quanto più essa è chiara tanto più diventa minacciosa, come se la limpidezza potesse identificarsi con la verità.
Dunque la storia di queste donne, schivate e temute, schernite e tuttavia richieste nel momento del bisogno, diventa il simbolo dell’emarginazione in tutti i suoi diversi aspetti: si può essere emarginati socialmente, politicamente, culturalmente ed essere emarginati per il colore della pelle. Le reazioni e le conseguenze sono sempre simili. E allora in un mondo progredito, come quello in cui viviamo, che considera spesso superstizione credere a certe visioni o a certe frequentazioni, ci si deve chiedere se sia indice di reale progresso archiviare certi atteggiamenti o attitudini come frutto dell’ignoranza.
Anche i più scettici, i più evoluti culturalmente avrebbero l’obbligo di affrontare questi problemi, diffondendo l’istruzione, l’unico mezzo idoneo di difesa per ogni individuo. Cionondimeno colmare l’ignoranza non deve voler dire sradicare con arroganza credenze che non si è in grado di sostituire con alcunché di convincente.

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Romanzi storici
 
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Maso Opinione inserita da Maso    01 Ottobre, 2013
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La storia senza oblio

Il fatto che il signor Manfredi abiti a cinque minuti di strada da casa mia non si è mai rivelato un incentivo sufficiente per approfondire il nutrito corpus di opere da lui scritte. Dopo aver letto, anni fa, “L’ultima legione” con moderata soddisfazione avevo chiuso il capitolo con la sensazione di aver compiuto un piccolo atto doveroso nei confronti di uno scrittore celebre e generalmente apprezzato a livello internazionale.
Mi sono sempre un po’ smarrito tra trilogie, romanzi storici, saggi e racconti senza farmi un’idea definitiva e ordinata delle caratteristiche generali dell’opera dell’autore, senza indagarne punti deboli e punti di forza, senza coinvolgermi a sufficienza per essere spinto ad approfondire il vastissimo repertorio letterario che in poco meno di trent’anni ha visto la pubblicazione di decine di romanzi.
“Il mio nome è Nessuno” è un’opera suddivisa in due volumi che si prefigge di raccontare la storia di Odysseo, il celebre eroe omerico le cui gesta sono scolpite da più di duemilacinquecento anni nell’eredità culturale più ancestrale del mondo occidentale, e in seguito di tutta l’umanità. Ciò che salta immediatamente all’occhio leggendo questa tipologia di opera letteraria, nonostante le mie basi per un confronto siano tutt’altro che solide, è sicuramente l’attenzione necessaria, a livello filologico, iconografico, storico e linguistico, da porre durante tutto il percorso di ricerca e di stesura del romanzo. Tentare una rivisitazione, un sunto o un racconto ispirato ad una così altisonante pietra miliare della cultura mondiale è sempre un’impresa che merita un piccolo plauso qualora si intendano l’impegno e la competenza profusi nello studio accurato dei testi originali. E da questo punto di vista, indipendentemente dal livello di gradimento del romanzo, sento di potermi fidare della professionalità accademica accertata dello scrittore.
Per il resto la storia è sempre quella. L’Odissea con tutti i crismi. Fedele ma non pignola, accurata ma non così nitida da evocare l’ora di greco al liceo, epica ma con un occhio puntato alla modernità sintattico/narrativa. Un racconto fluente che ci porta in mezzo alla guerra di Troia, nel primo volume, e in mezzo alle tumultuose vicende di Odysseo e del suo ritorno a Itaca, nel secondo. In questo grande secondo capitolo, come nel primo, c’è tutto ciò che vogliamo sapere, tutto quello nella memoria di chiunque abbia sentito parlare dell’Odissea, i mangiatori di loto, Circe, Eolo, la discesa nell’Ade, l’isola di Calypso, le sirene ingannatrici, Scilla e Cariddi, le tempeste fragorose, l’isola felice di re Alcinoo e dei discendenti di Poseidone. Ma prima di tutto questo, prima degli attributi canonici di questo pezzo imprescindibile di epica greca, c’è il sentimento umano più reale, nostalgico e commovente, quello legato agli affetti, al proprio piccolo mondo disperso in un oceano di avversità che ci spaventano. E se anche si è favolosi, invincibili regnanti, guerrieri impavidi rivestiti di bronzo, il cimiero al vento e la lancia tesa alla brezza dell’Egeo, si è sempre piccoli uomini al cospetto di un Fato inesorabile. La piccolezza del volere singolo traspare dalle pagine di questo romanzo come quelle del testo originale, ci appare con evidenza e tenta di spiegarci anche come la forza, la tenacia fisica e mentale riescano a vincere qualsiasi tipo di ostacolo. Poco importa che queste avversità siano create da Poseidone, il dio supremo dei mari, invidioso di un uomo dalle infinite qualità, che porta un nome, Odysseo, che ispira l’odio altrui. Importa l’insegnamento cruciale del “non arrendersi” in ogni più cruda circostanza atta a metterci alla prova. E’ questo che un grande viaggio, forse IL grande viaggio, mira a trasmettere. E lo fa, in questo romanzo piacevole privo di inutili anacronismi, con il grande fascino che solo le ombre di un passato ancora più leggendario possono avere. Un trascorso mitologico che gli stessi protagonisti, successivi alla generazione dei grandi Argonauti, sentono gravare come una incedente eredità sulle proprie spalle, nel tentativo ultimo di emulare la nobiltà e il coraggio dei padri che costruirono il loro mondo a fianco degli dei. E anche questa velata malinconia che racconta la fine degli eroi supremi e invincibili come Eracle e Achille, questa amarezza che vede finire nella cenere quelli che furono gli astri splendenti di imprese senza oblio, partecipa all’architettura pregevole che regge la rievocazione di Manfredi. Tutto contribuisce a rendere questo volume e quello precedente dei romanzi godibili, in cui la terminologia garbata e “in stile” si mescola con grazia agli spezzoni tratti dai testi omerici, paletti storici che come occhi benevoli fanno spaziare lo sguardo sul nostro mondo e sul nostro modo di raccontare una vicenda che rimarrà nelle nostre memorie.
Il valore potenziale dell’opera in questione, indipendentemente dalla qualità, dalla godibilità e dall’accuratezza, è particolarmente importante. Il merito di queste trasposizioni è infatti cruciale a livello divulgativo, nel suo recondito tentativo di portare ad un pubblico meno accademico, meno sofisticato, la bellezza senza fine di una storia che altrimenti rimarrebbe inesplorata a causa della complessità del testo greco e delle sue traduzioni. E’ uno di quei romanzi che fa leggere, e, nonostante tutto, in tempi come questi non c’è libro che abbia più valore di quello che instilla nel lettore, o in chi lo diventerà, la voglia di imparare, conoscere, appassionarsi e infine ringraziare chi è stato tanto benevolo da indirizzarci sulla giusta via per la nostra Itaca del sapere.

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Romanzi
 
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AlessandraV Opinione inserita da AlessandraV    29 Settembre, 2013
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La svolta

Spesso nella vita capitano momenti nei quali ci si sente profondamente insoddisfatti, di tutti e di tutto. Lucio, il protagonista di questo romanzo, lo sa molto bene. Una mattina esce di casa, come al solito, diretto nella solita città, percorrendo la solita noiosissima strada. Ma questa volta qualcosa va storto: un ostacolo, piccolo ed indifeso, si trova su quel percorso fatto mille volte. Una tartaruga. Il futuro di Lucio sembra legato a questa piccola testuggine. Dopo questo incontro Lucio non sarà più lo stesso. La sua vita cambierà in un attimo; il destino si rovescerà così come una folata di vento rovescia una foglia. Lucio cercherà di mettersi in contatto con Antonella, la moglie, per la quale l'amore sembra essersi pian piano affievolito, ma il cellulare sembra impazzito e non c'è modo di prendere contatti con la solita vita. Asia, una ragazza giovane ed energica, incrocerà il cammino di Lucio e lo aiuterà in qualche modo a ritrovare la strada, a fare chiarezza dentro di sé.
L'autore di questo romanzo, Pier Bruno Cosso, ha saputo raccontarci, attraverso uno stile semplice ed essenziale, ciò che può accadere a tutti noi, in un momento difficile della nostra vita.
La vicenda è interamente ambientata in Sardegna, terra madre dell'autore, e questo sta a sottolineare il forte legame che lo lega a questa bellissima regione.
Lucio lavora per una multinazionale farmaceutica, così come lo scrittore Cosso, e questo ci può far pensare che il protagonista del romanzo rappresenti una sorta di alter ego dell'autore.
La sensazione di smarrimento provata dal nostro protagonista è comune a molti di noi: è facile, infatti, nella frenesia quotidiana, ritrovarsi disorientati, smarriti, con una sensazione di panico e paura che ci attanaglia la gola. Così come Lucio, ci si sente soli nel proprio silenzio interiore. Ma la situazione può ribaltarsi in un attimo.In un secondo si possono perdere tutte le nostre certezze.Una svolta provvidenziale può aiutarci a trovare nuove opportunità, nuove prospettive; può aiutarci a vedere le cose in modo differente, da un punto di vista nuovo. Non serve avere nostalgia del passato o piangersi addosso per vecchi rimpianti o rancori. Sicuramente riflettere su ciò che è stato, può essere la giusta terapia per dimenticare gli errori, per iniziare a respirare di nuovo, per crearsi un nuovo inizio, per ricominciare tutto con rinnovato entusiasmo affrontando la vita con maggiore consapevolezza, per continuare a battersi per un pizzico di felicità. Prima che sia troppo tardi.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    29 Settembre, 2013
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Le scelte di Marina

Dopo avere esordito con “Acciaio” nel 2010, Silvia Avallone è alla sua seconda prova con il romanzo di recente pubblicazione “Marina Bellezza”.

Anche questo è un romanzo dedicato ai giovani, evidenziando l'intento dell'autrice di fotografare la generazione dei ventenni e trentenni di oggi.
Marina è la giovane protagonista del racconto, fragile e forte, determinata e insicura, figlia di una situazione familiare complessa, attratta come una falena dallo sfavillante mondo dello spettacolo.
Marina sembra essere il paradigma di tutte le contraddizioni; sembra anelare ad un affetto profondo e saldo, sembra essere mossa talora da sentimenti sinceri, sembra voler credere nell'amore e nell'amicizia, ma quando giunge il momento della scelta e dell'affidabilità, crollano le certezze e prevale la fuga dagli impegni e dalle responsabilità.

In antitesi alla figura della protagonista, l'autrice propone due giovani capaci di scegliere la propria strada con dedizione ed impegno, forse due sognatori, attaccati alla propria terra natale, tanto da progettare un ritorno ad antichi mestieri, ripopolando territori abbandonati a favore degli assembramenti urbani.

Le figure che popolano il romanzo sono ben delineate nei loro ruoli e vivaci sotto il profilo psicologico, donando all'autrice una discreta dote nella costruzione del personaggio.
Sull'elaborazione del contenuto proposto, l'autrice scivola su temi già sviscerati in letteratura nell'ultimo decennio, rappresentando l'idea del mitico e vagheggiato ambito televisivo, mondo che calamita l'attenzione delle ragazzine come un “El Dorado” cui bramare per ottenere fama, denaro e successo. Sicuramente si tratta di una realtà sociale che si è consolidata negli ultimi tempi, creando falsi miti e sconvolgendo i valori e la morale, ma la narrazione pecca di originalità e di spunti genuini che riescano ad evadere da rappresentazioni ovvie.

Silvia Avallone è una penna ancora giovane, cui concediamo la possibilità di crescere sotto il profilo contenutistico e stilistico, affinando le sue doti e limando certe incompletezze e nebulosità, lavorando su un registro linguistico che possa associare modernità a bellezza e forza espressiva.

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Letteratura rosa
 
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    26 Settembre, 2013
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Davey, Davey, Davey

- Il titolo -
Quello d’origine era una sintesi efficace: “Letters from Skye”. L’italica versione, “Novemila giorni e una sola notte”, è tutt’altra cosa: devono essere state le dure leggi del marketing a forgiare questo risultato discutibile. Comunque sia, non pare che le modifiche abbiano causato danni: il romanzo ha già ricevuto un'ottims accoglienza.

- La storia -
Romantica, senza dubbio, ma non per questo banale o sdolcinata. Tutti i colori si declinano in varie tonalità e innumerevoli sfumature: questo rosa antico è elegante, sobrio ma non troppo.
L’autrice ha confezionato con cura e passione una bella storia d’amore, d’altri tempi e di luoghi lontani, resa coinvolgente proprio grazie ai giochi di tempo e di spazio: lo zucchero c’è, ma si stempera con generose spruzzate di ironia e di suspense. Due guerre, due continenti e due generazioni costruiscono intreccio stimolante, ben accompagnato dalla raffinatezza della scelta lessicale e dalle ambientazioni incisive, che stimolano l’immaginazione e la curiosità.

- Le guerre -
La prima e la seconda guerra mondiale s’intrecciano con garbo: narrate da punti di vista insoliti, contribuiscono a mettere in luce la complessità dei personaggi, che pur essendo davvero poco “attuali” riservano emozioni e sorprese fino alle ultime pagine. “Una lettera non è mai soltanto una lettera”: la parola scritta dispiega il suo fascino perenne di veicolo amoroso, insostituibile nel colmare le lacune del destino e gli spazi troppo estesi.

- L’amore a distanza -
Le storie d’amore sbocciate grazie alle nuove tecnologie, che tanti sospetti avevano suscitato tra psicologi e tuttologi vari agli albori di Internet, discendono da relazioni epistolari come questa: non sono mai state una novità.
Certo, ora lo scambio tende ad assumere forme e tempi diversi, ma rimane sempre la possibilità, per chi fosse seriamente interessato, di scoperchiare l’anima a distanza utilizzando la parola scritta, di andare “diritto al nocciolo”, scavalcando apparenze e convenzioni sociali. La creazione letteraria non può perdere una materia prima ricca come questa: oggi come allora, grandi amori e splendide amicizie e vecchi legami spezzati vivono grazie alla parola scritta, digitale o tradizionale che sia.

- Il finale -
Eccoci! Un finale lieto ma non scontato, degno di un buon romanzo.

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non soltanto storie d'amore.
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Racconti
 
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    26 Settembre, 2013
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On the road

Il libro "le ballate dispari" è in parte una raccolta di racconti brevi, in parte un diario in cui l’autore racconta di sé, dei suoi viaggi, della gente che incontra.
Parte dei racconti sono capitoli di un racconto più lungo mescolati in ordine sparso, cosa singolare che non disturba la lettura, anzi … Ritrovare i personaggi in una fase precedente della loro avventura è come ritrovare vecchi amici.
L’unico appunto è sul primo racconto che secondo me è diverso dagli altri, eterogeneo e io non l’avrei messo per primo, anzi non l’avrei messo proprio. Quindi consiglio il lettore di saltarlo e di leggerlo in seguito.
I racconti di Massimo sono leggeri, piacevoli, freschi. Si ha l’impressione di stare al bar, davanti a una birra gelata al punto giusto, ascoltando le bravate di un avventore seduto un po’ più in là, facendo finta di niente. A volte il racconto si fa un po’ più serio, va più in profondità.
Lo stile è semplice, efficace, i racconti sono di facile lettura, mai noiosi. Anche quando il discorso si fa serio lo è velocemente, di sfuggita. Mai si cade nella banalità, nella retorica, nei luoghi comuni e questo è sicuramente un grosso pregio di Massimo. Ne viene fuori l’immagine di un uomo unico (lui) anche se i protagonisti dei racconti sono tanti: un uomo sempre pronto a partire, ad andare, che ha rapporti fuggevoli con tutto e tutti perché niente dura. Gli incontri con le donne, anche quelli più sentimentali, sono incontri di viaggio, provvisori, con la data di scadenza. Il protagonista scivola sulla superficie delle cose a volte graffiandola. E’ un Oblomov in viaggio, uno a cui le cose succedono e che a volte fa la sua parte di male per indolenza più che per cattiveria, perché prevedere le complicazioni o fare qualcosa perché non accadano richiede uno sforzo di volontà. Apparentemente è sempre pronto ad andare per conoscere nuove realtà, in realtà è sempre in fuga soprattutto da se stesso oltre che da una certa mentalità occidentale che lo verrebbe stanziale in una villetta con lavoro fisso e famigliola a carico.
Ogni tanto chiede a se stesso cosa va cercando. Altrettante volte giustifica i suoi eccessi perché l’alcol e questi eccessi sono solo per le persone migliori (il cuore della gente che beve è un cuore pulito …).
Come la birra questi racconti lasciano un retrogusto amaro.
Resta al lettore il dispiacere per questa vita sprecata.Ti ci vuole un po’più di coraggio, Massimo! Le persone dal cuore pulito guardano dentro le cose: buttare soldi in una casa o in droga è solo una questione di forma soprattutto per un viaggiatore come te che ha visto come vive l'altra gente, quella che non ha il biglietto di ritorno.


Altro appunto: il libro parla troppo di droghe e in modo poco corretto dal punto di vista medico. Sembra che il protagonista possa smettere di assumerle senza nessun problema, in ogni momento (anche se poi non lo fa a lungo) e sembra che siano una gran bella esperienza. Sono sicuro che così non è e non mi sembra corretto dare info errate sull'argomento a lettori giovani.

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Canzoni di Vasco Rossi
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Fantasy
 
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Angelica Elisa Moranelli Opinione inserita da Angelica Elisa Moranelli    24 Settembre, 2013
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Romanzo di formazione in un Universo fantasy

Zak Elliot e i Draghi di Mezzamorte è il secondo volume delle Cronache di Aldimondo, saga fantasy per ragazzi di Roberto Recchimurzo dal sapore classico, ma con quel pizzico di modernità che la rende perfetta per i nostri tempi.

La scrittura è fluida, semplice, immediata, adattissima ad un pubblico di lettori adolescenti e pre-adolescenti: nonostante l’ambientazione da fantasy classico, il linguaggio è attuale, scevro da inutili decorazioni, con un umorismo tranquillo e vivace che pervade ogni pagina.

La storia riprende il classico plot a metà strada fra l’avventura e il romanzo di formazione: è la storia di Zack Elliot orfano dalla nascita, che, grazie ad un libraio bislacco, si è ritrovato a vivere un’incredibile avventura in un mondo fantastico, Aldimondo, dove ha dovuto affrontare creature di tutti i tipi e prove di tutti i generi, ragni giganti compresi. Il secondo volume riprende la storia lì dov’era rimasta: Zak ha sconfitto il suo perfido gemello Lord Velvet, ha ritrovato la sua famiglia e si è fatto nuovi amici, ma la guerra non è stata ancora vinta. Così ritroviamo Zak, all’inizio del libro, in viaggio assieme all’amico Vince Von Bleer, nano guerriero di Bassobosco e in procinto di vivere una nuova avventura: una preziosissima reliquia è stata rubata e la terra ha cominciato a tremare, la ladra Lara Orkul, scampata alla morte, ha fatto ritorno dalle terre sconosciute con l’intento di seminare il Caos e, per farlo, è tornata con creature leggendarie: i draghi.

Roberto Recchimurzo mescola abilmente gli stilemi del romanzo di “formazione” con il romanzo fantasy e d’avventura, senza rendere pesante la velata morale dietro il racconto: un ragazzo normalissimo diventa un eroe e si ritrova a dover affrontare prove che lo porteranno, irrimediabilmente, a crescere e ad affrontare il mondo adulto.

Zak realizza il sogno di tutti gli adolescenti: scoprire di appartenere ad un mondo diverso (ci si sente spesso “fuori posto” da adolescenti) e diventare un eroe (ci si sente spesso anche “impacciati”), ma per essere un eroe Zak dovrà agire ogni giorno come tale. Dovrà guadagnarsi l’affetto e la stima degli amici, dovrà recuperare i legami con la sua famiglia e aiutarla e dovrà, soprattutto, affrontare i suoi nemici, non nemici qualsiasi, ma nemici con i quali Zak ha sempre qualche rapporto: nel primo romanzo ha affrontato il suo gemello malvagio (il suo doppio, una specie di lotta contro la parte cattiva di sé, altro elemento da romanzo di formazione), nella seconda parte dovrà affrontare la figlia della donna che suo padre ha rifiutato per sposare sua madre. Ancora un sottile legame che dal passato arriva fino al presente, all’inizio confuso, poi sempre più chiaro.

Ci si affeziona immediatamente a Zak, così come agli altri personaggi, tutti descritti con pochi tratti ma così bene da risultare chiarissimi: il vecchio libraio e mago Vladimir Zellus, la bella e misteriosa Alexandra Zoe, il piumato Granbecco.

Roberto Recchimurzo ha saputo creare, grazie anche ad uno stile sempre coerente con il toni del racconto, un universo fantastico pieno di soprese, il che rende questo romanzo godibilissimo per i ragazzi ma anche per quegli adulti che non hanno rinunciato alla fantasia e all’avventura.

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La letteratura per ragazzi in generale
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Romanzi storici
 
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Zine Opinione inserita da Zine    24 Settembre, 2013
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Troppa carne al fuoco

“L’isola dei monaci senza nome” narra le vicende del giovane Cristiano d’Hercole, figlio di una donna cristiana e di un pirata musulmano, che passa per essere custode di un segreto in grado di mettere in crisi la cristianità. Il giovane ignaro sarà edotto dal padre Sinan solo al momento della morte di quest’ultimo, durante un’incursione volta a rapirlo. Egli abbandona il nome cristiano, torna alla vecchia religione e si imbarca alla ricerca del segreto paterno, animato più da vendetta che altro, legato volente o nolente a grandi nomi storici e alle tensioni fra Occidente e Oriente.
Chi sarà il primo ad arrivare al grande segreto, al Rex Deus? Riuscirà il giovane Sinan ad avere la sua vendetta e l’amore della bella Isabel de Vega, della quale è invaghito?
Purtroppo, quando un genere invade il mercato, decidere di scrivere un romanzo che appartenga a quella famiglia diventa rischioso. In primo luogo, avviene un’inflazione dei temi portanti che già di suo può condurre a noia il lettore assiduo. In secondo luogo, la prevedibile comparazione con altri romanzi dello stesso genere chiede un livello qualitativo medio-alto per poter soddisfare gli appassionati.
Simoni non raggiunge questo risultato. La sua proprietà di linguaggio non basta a mascherare la scarsa profondità dei personaggi e la pretestuosità della trama, che diventa un coacervo di rimandi ai temi più inflazionati del mistero storico: i Templari, il Sator, le sette segrete, i catari…
Tutto ruota attorno a questo “segreto”. Veniamo catapultati nelle sue spire fin dal principio, senza introduzione, senza possibilità di trovare più aree di interesse nella nostra lettura. Tutto e tutti si muovono in funzione del segreto che distruggerà dalle fondamenta la religione cristiana. La cosa riesce a farsi un tantino snervante già dopo cinquanta pagine, perché i continui rimandi con frasi a effetto lasciano comunque il lettore all’oscuro in un continuo stuzzicare senza offrirsi, come una carota che continui a oscillare davanti al nostro naso: tentiamo di morderla finché non cominciamo a perdere interesse.
La prosa di Simoni è stilisticamente molto buona, chiara e precisa. E’ la sua capacità narrativa che presenta delle pecche. I suoi personaggi sono molto bidimensionali. Ci vengono presentati sotto una certa ottica, mossi da determinate intenzioni e guidati da sentimenti ben precisi, e tali rimangono per tutta la durata del romanzo. Non ci sono parentesi che possano creare un’affezione verso coloro di cui si seguono le avventure e manca totalmente una crescita psicologica che conferisca loro maggiore spessore. Il giovane Cristiano/Sinan passa in poche pagine da insicuro figlio adottivo del Signore di Piombino a spietato corsaro vendicativo, uso a ogni arma, alla navigazione e all’arte dell’intrigo come se non avesse fatto altro in tutta la sua vita.
Inoltre l’erudizione storica dell’autore si manifesta nel modo peggiore, vale a dire con una sequela ininterrotta di termini specifici inerenti l’arte della navigazione, l’abbigliamento, le armi e le istituzioni religiose e di governo che possono risultare ostiche al lettore medio e non danno nulla di più alla storia in sé, conferendole anzi una certa aria da saggio storico non particolarmente piacevole. Non vi sono descrizioni chilometriche, questo no, ma il tono complessivo dà l’idea di rivolgersi a un pubblico con un elevato livello di istruzione umanistica, contrariamente al tema e alla promozione della casa editrice, pensata invece per la massa.
Un romanzo d’avventura non particolarmente riuscito.

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Solo a chi è profondamente appassionato di storia della pirateria
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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    23 Settembre, 2013
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God save the Queen!

“Talvolta non conosciamo fino in fondo la nostra natura. Non sappiamo bene chi siamo finchè non sopravviene una nuova circostanza a rivelarcelo.”

Ebbene il nostro eroe, che ci accompagnerà per tutta la durata della lettura, avrà molte occasioni per capire la sua natura e tante occasioni per rigettarla.
Ma alla fine avrà imparato qualcosa? Ha trovato almeno una circostanza che glielo abbia svelato? O ne ha trovate tante fino a farlo fossilizzare nella sua natura di uomo perennemente legato al suo stato di uomo normale?



Questa è la storia di Thomas Foley.

La città di Bruxelles viene spesso focalizzata con l’immagine dell’Atomium, quella grande struttura futuristica d’acciaio che sovrasta la periferia della capitale belga e il Belgio ricorda il 1958 come l’anno della prima fiera internazionale del secondo dopoguerra, esattamente l’”Exposition Universelle et Internationale de Bruxelles 1958”. Gli stati europei si ritrovano tutti assieme appassionatamente con tanta voglia di rinascita, di fare e creare. Dopo tanti anni di combattimenti l’America e l’Unione Sovietica sono fianco a fianco ma con riserva, infatti erano più le spie che mettevano il naso negli affari degli avversari che i visitatori della fiera.
L’invito è arrivato anche a sua maestà la Regina d’Inghilterra e il compito di espletare molte funzioni per l’allestimento è toccato alla società COI (central office of information) di Baker street, dove lavora il nostro versatile protagonista Thomas Foley, un giovane uomo sposato, padre di una piccola bambina, legato alla mamma vedova da tempo, insomma un ragazzo tranquillo che accetta di assolvere l’incarico di supervisore del pub Britannia che sarà un po’ il simbolo ricreativo del padiglione rappresentativo dell’Inghilterra.

Thomas aderisce al progetto dell’Expo 58 e si trasferisce da solo a Bruxelles, a questo punto Coe pone tutte le condizioni essenziali che spingeranno a far cambiare il suo uomo. Thomas, che veniva etichettato come Gandhi dai suoi colleghi per il suo silenzio, Gary Cooper dalle sue segretarie, Dirk Bogarde per la somiglianza degli occhi, finirà nel corso di quei mesi a trovarsi spesso davanti a un bivio, davanti a scelte che in realtà esalteranno i suoi punti deboli, legate alle sue effettive inclinazioni di “uomo per bene”, il classico tipo affidabile e senza pretese. Insomma alla fine emerge che Thomas, uomo tranquillo come ci aveva fatto credere, non lo era proprio.

Tutto ha avuto un prezzo e Thomas paga lo scotto di quegli anni per tutta la vita, ormai ultraottantenne ricorda quegli anni quasi ovattati e fatui e scoprirà altre realtà che finora gli erano ignote quando ormai era troppo tardi.

Ma Thomas si sa, non ci arriva subito a capire, arriva sempre dopo.

Era già tanto che il nostro Thomas riuscisse a focalizzare di essere al centro di un vero e proprio intrigo di spionaggio, fino a quando non ci scappa il morto.
Solo una cosa era certa, la sua debolezza verso l’hostess Annike, che gli fa assaporare momenti di indimenticabile fugace felicità.
Ma tutto è etereo e incredibilmente onirico, l’Expo 58 è un convivio di stati che s’incontrano ma è anche una beffa, un surrogato di fandonie che mira a mettere in mostra il b-side di una fetta di mondo che tutela la propria nazionalità e non accetta condivisioni.
L’euro è ancora un’utopia, il Britannia un finto pub , tutto è falso, gli ambienti appositamente creati in una terra straniera mantengono le distanze e tutelano coi denti la propria identità.
Anche i dialoghi continui di tanti uomini così diversi e di altrettante donne che proiettano l’immagine della donna europea del futuro, mescolano sentimenti e idee tra realtà e finzione.
Difficile capire dove stava la verità e dove la finzione, ma erano tutte spie al soldo dei vari paesi o qualcosa si poteva salvare?
Thomas diviene un uomo sempre più confuso, debole e frustrato, pensa sempre alla moglie Sylvie e all’idea che il loro sia un matrimonio ormai incrinato, arriverà alla soglia degli ottant’anni e ancora si chiederà se ha sbagliato qualcosa e dove ha bruciato le sue tappe

Come sempre Coe è molto piacevole da leggere e sicuramente interessante per la sua creatività a ideare personaggi che fanno emergere il bisogno di ricercare la felicità e l’identità. I fan di Coe che hanno amato “La banda dei brocchi”, “La casa del sonno” e “La famiglia Winshaw” magari storceranno il naso per la lentezza e per la scarso slancio tipico del “primo” Coe.”

Personalmente l’ho trovato un po’ poco travolgente all’inizio, però dopo la prima parte riesce a coinvolgere e a divertire in perfetto humor british, appare davvero brillante l’idea di far rivivere l’Expo del 1958 così vivido di personaggi strani e stereotipati e infarcire profonde riflessioni sociali sui rapporti tra gli europei, non tralasciando la vena romantica, il tutto viene raccontato con uno stile impeccabile e poi quel finale a sorpresa che ti spiazza e ti lascia un sottile senso di nostalgia.


"Era reale, immaginata o ricordata? Talvolta, di questi tempi, poteva essere difficile capire la differenza."

Intanto a me questa lettura ha fatto venire voglia di andare a Londra, bere una pinta di birra e mangiare fish & chips aspettando il te delle cinque.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    21 Settembre, 2013
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Un mistero sepolto nei secoli...

Questa lettura mi ha affascinato e ho concluso questo libro in 4 giorni, nonostante la sua mole.
Un libro avvincente da cui non ho potuto staccarmi finchè non sono giunta alla conclusione.
La vicenda si snoda tra passato e presente, con descrizioni del territorio esaustive e particolareggiate; personaggi ben definiti e una realtà inquietante che affonda le sue radici nella polvere del tempo.
Verità nascoste, segreti vergognosi, innominabili... colpe di cui la chiesa si è macchiata e che non dovranno mai vedere la luce.
Perugia, 1540. Un'epoca di conflitti, in cui pare che il papa volesse impadronirsi di quel territorio.
Servendosi di un esercito numeroso, feroce pronto ad ogni evenienza, perché quelli erano tempi in cui il papa teneva molto di più al potere temporale che a quello spirituale.
Ma ci sono 14 cavalieri che si oppongono a questo potere e lottano perché la città di Perugia non venga conquistata dalle truppe papali.
Che fare? Un frate offre loro l'immortalità in cambio della loro resa; dovranno solo allontanarsi dalla città e saranno salvi, in più avranno l'immunità dalla morte e dalle malattie.
Ma uno di loro ha tradito i compagni e mentre lui gode della protezione divina...gli altri rimarranno vittime di un patto diabolico, cui dopo secoli dovranno rendere conto...
Cinquecento anni dopo lo storico Prof. Mciley si reca a Perugia per indagare su uno strano dipinto, restaurarlo all'interno della Cappella Paolina e da lì iniziano guai per lui e la sua famiglia.
Tre dei suoi colleghi restauratori verranno uccisi brutalmente e la figlia Elizabeth entrerà in contatto con Lars, un ragazzo misterioso... che pare solo lei riesca a vedere.
Mentre Perugia viene travolta dal terrore, cela nelle sue strade, nei suoi vicoli, perfino nel tuono sinistro dei suoi temporali... segreti innominabili che non vogliono assolutamente vedere la luce.
Il mistero, la maledizione del dipinto che pare evocato da un girone dell'inferno travolge tutti coloro che osano accostarsi ad esso.
Alla fine, per quanto molti misteri saranno svelati, una domanda, lecita del lettore rimane sospesa nell'aria: chi è veramente Elizabeth? Perché riesce a mettersi in contatto con angeli e demoni?
Da dove viene e quale sarà il suo destino?
Il dipinto maledetto: "Una serie di immagini, ritratte da lontano e da vicino, particolari di un affresco che doveva essere enorme e che presentava forme inquietanti. C'erano angeli con spade sguainate, diavoli con le zampe caprine, frati con il volto coperto, squarci e lampi che cadevano dal cielo, gente che veniva sgozzata, sangue, cavalieri.."
Misteri, verità arcane che non vedranno mai la luce.
Consiglio questo libro agli amanti del genere thriller.
A me è piaciuto molto, lo preferisco sinceramente anche a Dan Brown.
Saluti.
Ginseng666

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Thriller storici.
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Narrativa per ragazzi
 
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Elisabetta.N Opinione inserita da Elisabetta.N    20 Settembre, 2013
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Il rifugio

Ho appena terminato questo fantastico romanzo con la lettura dei ringraziamenti: Harlan Coben ringrazia per aver letto il suo romanzo.. NO, IO devo ringraziare lo scrittore per essersi dedicato allo YA, aver creato "Shelter" e il suo incredibile protagonista Mickey Bolitar!

Ho veramente adorato questo romanzo dove non si resta sospesi su pagine e pagine di introduzione, ma si entra subito nel vivo della storia: Mickey Bolitar è nuovo in città, ma non fatica a trovare subito una fidanzata, Ashley, e un paio di amici, Spoon e Ema.
Tutto normale se non fosse che dopo poche settimane Ashley scompare senza lasciare traccia e una strana vecchietta gli dice che suo padre, morto da poco, è ancora vivo.
Pagina dopo pagina il mistero si infittisce e l'adrenalina scorre veloce leggendo questo libro da cui non riuscivo a staccare gli occhi.

Lo stile semplice, ma accattivante mi ha rapito, inoltre battute simpatiche e situazioni divertenti mi hanno fatto sorridere in parecchie pagine.

Il protagonista è un tipo un po' particolare, è solitario ma non disdegna farsi degli amici non proprio convenzionali e nel complesso l'ho trovato molto maturo per la sua età.. Considerando il suo passato in giro per il mondo e la sua situazione famigliare non mi stupisce più di quel tanto, ma questa maturità l'ho riscontrata anche negli altri personaggi..
Effettivamente sembrano avere tutti, chi più e chi meno, una situazione particolare alle spalle anche se poi non molto viene rivelato, chissà forse nei prossimi libri sapremo di più..
Devo dire che il mio personaggio preferito, a parte Mickey, è Spoon, che si è ritrovato questo buffo soprannome perché nel primo incontro con il protagonista ha esordito con "Vuoi il mio cucchiaio? Non l'ho praticamente usato".

Un libro veramente entusiasmante fino all'ultima pagina!

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Romanzi
 
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silvia t Opinione inserita da silvia t    16 Settembre, 2013
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L'amore graffia il mondo

Un treno corre, veloce e inafferrabile, dall'inizio del secolo fino agli anni del boom economico e con esso su quelle rotaie corre l'Italia martoriata dalla guerra, bombardata e inginocchiata alla stupidità degli uomini. Ferma su quel treno Signorina vive, ama, sogna e intorno immagini sfocate di aerei, bombe, macerie.
Riccarelli sceglie uno stile monocorde per raccontare un melodramma, quasi a stemperare l'esagerazione degli eventi narrati, che si fanno paradigma delle avversità e delle difficoltà che la protagonista affronta giorno dopo giorno, ma che divengono l'alibi per non inseguire i propri sogni, destinati a rimanere tali.
Signorina non è caratterizzata in modo univoco, non se ne comprende il pensiero, è una donna che fugge, ma che trova nella fuga una trappola dietro l'altra, che la portano a cadere sempre più in basso, in un pozzo sempre più profondo da cui sarà difficile risalire; attraverso le azioni, più che i pensieri impariamo a conoscerla, ma mai fino in fondo; netta è la contrapposizione con la sorella; anch'essa paga un prezzo altissimo per le sue scelte e i sui sbagli, insegue qualcosa trasfigurato dalla speranza e dall'illusione, ma qualcosa in cui crede e che la fa vibrare.
Ada è forse il personaggio migliore di tutto il romanzo, descritta con poche pennellate, con pochi dialoghi, ma che incarna una potenza incredibile, che è il primum movens di tutta la vicenda, senza la quale si sgonfierebbe come un palloncino; Ada è l'antitesi di Signorina ed incarna il coraggio egoistico delle idee, la determinazione di combattere contro tutto e contro tutti per realizzare il proprio sogno.
Realizzare il proprio sogno: questo è il peccato originale di Signorina, abbandonarlo in nome di qualcosa di sfumato, solo immaginato; la vita le aveva donato un talento, cucire facendo miracoli con la stoffa, ma non lo persegue, lo abbandona come fa, la notte dei bombardamenti, con l'Armida, la fedele oca, compagna di mille pomeriggi, che da sola vola via, lei che non sapeva volare, verso l'ignoto a cercare, forse un rifugio, spero la salvezza, da quell'inferno che distrugge tutto il suo mondo; la fa volare via e con lei la sua infanzia, i suoi sogni, la sua vita, che prende quella piega secca che non sparirà mai più proprio in quel momento.
E' la figura di quest'oca che mi ha commosso fino alle lacrime, che ritorna alla memoria nei momenti più neri a consigliare a indirizzare, quel rifugio che si cerca quando tutto crolla, quella sicurezza che solo gli affetti più semplici e disinteressati sanno regalare, è in questa figura, così bella, così poetica, evanescente come un sogno, impalpabile come un ricordo che si nasconde la maestria e la vena poetica dell'autore e per la quale si perdona l'intreccio fatto di eccessivi nodi, il lessico a tratti povero e il ritmo del tutto assente, perché in fondo l'Armida è Signorina che spicca il volo e sparisce nel cielo illuminato a giorno a vivere i suoi sogni, a vivere la sua vita.


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Romanzi storici
 
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    13 Settembre, 2013
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Rome: The Emperor’s Spy

Non avevo mai letto nulla di questa scrittrice scozzese e grazie alla Redazione di QLibri ho avuto l’opportunità di leggere e recensire questo romanzo.
Si tratta del primo di una saga storica pubblicata dalla casa editrice Tre60.

Per chi predilige i libri che trattano di fatti storici intrisi di complotti e segreti nell’epoca in cui visse Nerone non si può far sfuggire questa saga ancora poco conosciuta in Italia.
Attraverso le parole scritte dall’autrice si può rivivere i fatti accaduti all’Impero Romano.
Vicende piene di: paure, corruzione ed inganni.

La storia è ambientata nel 63 D.C. in una notte senza luna un vascello segue la rotta verso la terra gallica ed è proveniente dalla Britannia.
Da questa imbarcazione scende Pantera, lui è una spia ed è reduce da una lunga missione che gli è costata la vita dei suoi cari e molte delle sue forze.
Appena tocca terra Nerone gli chiederà dei favori e sarà proprio il suo mentore Seneca ad informarlo.
L’Impero e la città sono in pericolo, un grande incendio minaccia di distruggere tutto e solo Pantera può riuscire a bloccare chi complotta contro l’imperatore.

Che altro dire?
Per chi ama il genere di sicuro non può lasciarsi sfuggire anche gli altri libri che completano questa avvincente saga.

Buona lettura!

“[…] Nerone passava tra la gente come una falce nel grano lasciando una scia di spighe cadute dietro di sé.”

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Yoshi Opinione inserita da Yoshi    08 Settembre, 2013
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Non un vero romanzo horror

Sarah e David sono una coppia giovane, sposata e con qualche roblema matrimoniale.
In realtà i due sono allo stremo e per cercare di salvare la situazione si affidano alle cure della Dottoressa Erica Kelly.
I due, abitando a Seattle nel caos totale, riescono a raggiungere lo studio con gran facilità ma senza farci troppo caso, il dubbio inizia ad insinuarsi nelle loro menti.
Nessuno alla reception, nessuno nello studio, tranne una.
La loro "amata" dottoressa Kelly che si accinge a mangiare la spalla dei coniugi Wilson.
Fra stupore, lotta e conati di vomito, Sarah e David riescono a tornare in macchina e a tornare verso casa senza prima andare nel panico per il loro omicidio.
In macchina si accorgono che un'epidemia si sta diffondendo e che il loro non è stato omicidio ma legittima difesa.
La città e il mondo soccombono alla piaga degli zombie.
Così inizia la loro avventura fra varie peripezie e varie difficolta, lotte e uccisioni nella speranza di raggiungere zone sicure dove trovare i loro amati famigliari.
Tutto questo fortificherà o dividerà definitivamente la coppia?
Lascio a voi la sorpresa.

Questo libro è il primo di una trilogia catalogabile fra i romanzi rosa con la partecipazione di Zombie.
Ebbene si, non c'è nulla di realmente pauroso o horror in questo libro, se non qualche scena che ai più deboli può dare fastidio, ma se siete appassionati accaniti di zombie come me, sarà come bere un bicchiere di acqua.
Scritto bene, con linguaggio semplice e non ricercato, vi trovere a viaggiare fra le pagine alla velocità della luce (io l'ho letto in 24 ore fra pause varie).
Non dovete aspettarvi suspance e attimi di terrore perchè quello che troverete in questo libro non sarà altro che la narrazione da parte di Sarah, della sua relazione che, oltre ad affrontare le varie difficoltà di coppia come: "lui ha lasciato la tavoletta alzata" oppure " "gioca sempre ai videogame e non aiuta in casa", "devo sempre fare tutto io" ecc ecc., dovrà avere a che fare anche con esseri putridi in cerca di sangue fresco.
Il punto di vista di Sarah è molto divertente e a volte mi sono ritrovata a sorridere delle varie batture.
E' comunque un po surreale (al di là degli zombie) perchè questi due sembrano veterani del "spacchiamo la testa al nostro vicino di casa che vuole mangiarci senza che la nostra mente abbia squilibri vari".
Ma se partite già consapevoli che è un romanzo rosa/horror allora sapete anche che non dovete aspettarvi il VERO romanzo horror pullulante di zombie assassini e affamati.
Detto questo, il libro si finisce anche velocemente e nell'attesa, sappiate che ne avrete altri 2 davanti, cosa puramente commerciale visto che, secondo me, diluire un libro di questo genere in 3 è una mossa assolutamente inutile e dolorosa.
Come scrittura la paragonerei a quella della insella e quindi relativamente superficiale, pocodettagliata e scorrevole.
Ve lo consiglio se cercate qualcosa di leggero.
Ve lo Sconsiglio se volete qualcosa di veramente nauseante e pauroso!!!

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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    06 Settembre, 2013
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Le petit saint

Vivi, lascia vivere e assapora ogni piccola, insignificante cosa.

Vladimir ha dodici anni, il piu' indipendente, il bambino grande.
Alice dovrebbe averne nove, una bella signorina che cucina e si prende cura dei fratelli.
I gemelli invece sei, inseparabili ometti dai capelli rossi, ribelli, combattivi.
Louis anni quattro, e lui e' un mondo da scoprire pagina dopo pagina. Osserva ogni cosa e si sazia di essa, ogni immagine e' nutrimento, una goccia di pioggia che scivola su un vetro non e' forse uno spettacolo meraviglioso ? L'angioletto.
Èmilie e' la piccina, un anno circa , una culla di ferro e la fragilita' della vita.
E poi Gabrielle, che esce di casa ogni mattina alle tre per comprare frutta e verdura dai grossisti e smerciarla sui marciapiedi di Parigi, pane e formaggio per i suoi piccoli. 
Nessun calendario nella stanza di questa famiglia, dove le stagioni scorrono al susseguirsi dei colori degli ortaggi sulla carretta di Gabrielle.

Simenon, ritrattista elitario senza portafoglio, propone un romanzo i cui personaggi sono così concreti nella semplicita' delle parole da cui sgorgano da lasciare imbambolati di stupore.
Se nei suoi libri non Maigret ci ha abituati ad una vena profonda di malinconia e deviazione negativa, questa e' la prima volta in cui il protagonista e' un concentrato di serenita', al punto tale da avere un effetto terapeutico sul lettore.
Vita natural durante commovente, la dignita' e la forza di una madre avvolgono in un tiepido e tenace involucro amniotico, mentre l'angioletto ripete "non lo so" , quel non lo so in cui si concentra il segreto dell'onniscenza.
Un libro bellissimo, che fa stare bene, che invita a sorridere. Che porta in sè e dispensa umilmente mezzelune di labbra voltate all'insù, disegnate con un mozzicone di lapis su un pezzo di carta del pane.

Ottima Adelphi che pubblica una novita' editoriale in economica, non si puo' non leggerlo.
Io consiglio di comprarlo, una volta finito e' difficile restituirlo. Buona lettura.

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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    31 Agosto, 2013
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CAPUT MUNDI

Roma. E’ quasi Natale ormai e la Capitale inizia a tingersi di rosso, verde, oro, argento e di luci che trasmettono quella pace e quella gioia che fa tornare tutti un po’ bambini. L’atmosfera è quindi perfetta per rilassarsi e pensare ai regali e ai pranzi luculliani che si prospettano di lì a breve… ma… eh già, sembra tutto troppo perfetto vero?

Difatti il periodo prenatalizio si tinge di rosso, di quel rosso intenso però che comporta l’intervento non di Babbo Natale, ma della polizia e nella fattispecie dell’ispettore Sangermano: un pazzo omicida si aggira per le strade dell’Urbe decapitando vecchietti qualsiasi, innocui nonnini vittime di una follia che li ha presi di mira come farebbe un cecchino con una preda.

Ma saranno poi così innocenti questi dolci vecchietti pensionati???

E’ proprio quello che dovrà scoprire il nostro ispettore in questo giallo vecchio stile, davvero ben scritto, coinvolgente e anche divertente con i dialoghi in romanesco che fanno tornare in mente le giornate passate in quel della città eterna, di cui vengono descritti angoli che pare proprio di vederli in cartolina.

Un giallo consigliatissimo, con la speranza che sia solo il primo di una serie longeva come la bellezza della città in cui è ambientato!

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