Le recensioni della redazione QLibri

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Gialli, Thriller, Horror
 
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LittleDorrit Opinione inserita da LittleDorrit    18 Dicembre, 2013
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Rivelazioni

Isabel Allende si ripropone ai lettori nella veste insolita di scrittrice di thriller.
Portando in scena questo rinnovamento però, è riuscita ugualmente a non perdere il suo talento narrante e il suo punto di vista delicato rispetto ai personaggi femminili e alle dinamiche famigliari.
La trama del romanzo ruota intorno a due donne: una madre e una figlia adolescente.
Due personalità molto diverse a confronto.
Amanda è una ragazza fuori dall'ordinario; attratta dai risvolti oscuri dell'animo umano e con una passione smodata per l'investigazione e i killer seriali.
Sempre defilata dai ragazzi della sua età, vive un rapporto di affetto e complicità profondo con il nonno materno Blake Jackson, che condivide con lei la passione per Ripper.
Indiana, è una giovane donna; divorziata da anni da Bob Martin, padre di Amanda e ispettore capo della omicidi di San Francisco, si guadagna da vivere facendo la massaggiatrice in una clinica olistica ed è molto richiesta e apprezzata dai suoi clienti.
Ha buon cuore, un ricco amante, un caro amico sempre disponibile ed una bellezza che difficilmente passa inosservata.
Sullo sfondo di queste due vite si muove Ripper,
un gioco di ruolo on line ambientato nella Londra di Jack lo squartatore.
Solo sei utenti vi partecipano.
Sei amici virtuali molto diversi e distanti tra loro che vestono i panni di personaggi alternativi.
Quando a San Francisco iniziano a susseguirsi strani omicidi che all'apparenza non sembrano collegati fra loro, Amanda, attratta dai meccanismi perversi messi a punto nei delitti, decide, di comune accordo con gli altri utenti, di cambiare lo scenario di gioco e di spostare l'ambientazione nella metropoli per poter indagare da vicino questi crimini.
Ma i delitti sembrano avere un collegamento.
Un killer seriale si muove nell'ombra e Indiana, misteriosamente, scompare.
Le due cose sembrano essere collegate.
Amanda è l'unica a capirci qualcosa.
Ma il tempo scorre e bisogna agire in fretta.

Con un incipit impattante, il lettore si trova subito nel vivo del thriller. Gli avvenimenti verranno svelati lentamente, cambiando prospettiva da un personaggio a l'altro che, pagina dopo pagina, rivelerà qualcosa in più di sé. Si crea così una vera e propria empatia tra lettore e personaggi. Essi non sono semplicemente descritti ma scavati nel profondo, messi in evidenza attraverso i loro lati più deboli e umani restando, per questo, indelebili.
La trama non è originalissima ma ben orchestrata.
La penna della Allende, impeccabile, scorre morbida, fluida e puntella, con piccoli rimandi al realismo magico, tutto il romanzo fino ad arrivare a sdrammatizzare gli eventi più cruenti deviando l'attenzione sulla psicologia e sull'indagine. Per poter definire il romanzo un thriller a tutto tondo, a mio avviso, avrebbe dovuto essere leggermente più equilibrato; c'è troppa introspezione e poco brivido, ma tutto questo non
è veramente importante perché il risultato finale è comunque molto buono e la storia risulta godibile e appassionante.
Una carrellata di personaggi con le loro "storie di confine", accompagnano la vicenda di fondo senza annoiare o indebolire l'effetto finale. Se il risultato delle sperimentazioni di genere è questo, non ci resta che aspettare...di sicuro la Allende ci sorprenderà ancora.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Zine Opinione inserita da Zine    18 Dicembre, 2013
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Sia fatta la Sua volontà

La scrittura di Francesco Amato è più nera della copertina scelta dall’editore. Più torbida, fonda, brulicante di Male. E’ relativamente facile narrare l’orrore. Molto meno lo è renderlo plausibile, lasciare che vi si immerga la vita di tutti i giorni. Durante la nostra esistenza incontriamo ripetutamente situazioni e persone che vivono al limite di questo mondo di tenebra. Spesso superano addirittura il confine, eppure non ci soffermiamo, lasciamo che l’esperienza scivoli via senza toccare davvero i nostri sensi se non nel subconscio, dove crediamo di essere in grado di nascondere la polvere sotto al tappeto.
Eppure, se ci fermiamo a pensare, quanti episodi di quotidiana malvagità ci sfilano davanti agli occhi? Il pregio della narrazione letteraria è quello di costringerci a soffermarci anche su ciò che non desideriamo vedere, sui volti nascosti e sui pensieri reconditi che portano al caos, alla follia, alla morte. Amato ci getta in una pozza di sangue e pazzia e ci lascia immersi fino al collo per tutta la durata di “Compartimento 11” (Tullio Pironti Editore).
Con una encomiabile maestria, l’autore tratta argomenti difficili che presuppongono una riflessione preparatoria di elevata profondità. Il piccolo Daniele vive in un paese campano ancora impregnato dei riti e dei precetti del cattolicesimo, in una famiglia in cui la devozione profonda della madre si scontra con la possessione diabolica della nonna, una folle che cita a memoria passi biblici e che è stata protagonista di un impressionante esorcismo.
La morte della madre e un’esperienza umiliante gli faranno valicare il confine della follia e lo renderanno certo di essere destinato a compiere dei rituali di sangue per mondare (e mondarsi) dal peccato.
Non è dato sapere se le visioni del bambino, le voci che sente e la trasfigurazione degli eventi quotidiani dipendano da un reale contatto con piani “altri” oppure se si tratta di un manifestarsi della tara ereditata geneticamente dalla nonna impazzita. Fatto sta che il piccolo crea attorno a sé un mondo parallelo che lo allontana sempre più dalla realtà e che lo spinge ad addentrarsi in una tenebra fitta, continuamente nutrita dalle azioni orribili perpetrate dagli adulti che lo circondano (il lubrico Padre Boris, la madre gettatasi sulle rotaie, la folle legata al letto dal proprio marito perché non faccia del male a se stessa e agli altri).
Il valore del sangue quale veicolo del ciclo vita/morte e la sacralità del rito del sacrificio si radicano in Daniele in un’estasi religiosa, diversa dal godimento meramente sessuale del macellaio che lo introduce al piacere dell’uccidere ma ugualmente esaltata e pericolosa. Il momento del trapasso della vittima diventa omaggio a Dio e portale verso stati di trascendenza che possano dare un senso a un vivere già condannato, corrotto.
La narrazione si sposta avanti e indietro nel tempo, in un fluire sconnesso di ricordi. Ciononostante, la prosa pulita di Amato non cede alla confusione. L’intreccio è perfettamente impostato, senza momenti di incertezza o incongruenza.
Per tutto il romanzo rimane senza risposta certa l’identità dei compagni di ventura di Daniele, quella Compagnia Dannata – la Banda degli Angeli – che lui costituisce in orfanotrofio accanto a Isabel, Emma e Altro, altrimenti detto Il Copista. Un gruppo dedito a sacre missioni di sangue, ognuno dotato di una personalità ben definita e di un ruolo preciso. Persone reali? Fantasmi di una mente malata? Oppure molteplici facce di un’anima in pezzi?
Sarà il commissario Elio Tortora a dover dare una risposta a questi quesiti, più un attonito spettatore di un dramma troppo grande che un vero antagonista, sullo sfondo di una tratta ferroviaria che è diventata ormai parte delle vicende sanguinose del protagonista.
Un romanzo viscerale, che chiede di essere letto senza interruzioni. Una lettura sofferta, intelligente e spietata.

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Romanzi
 
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    16 Dicembre, 2013
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Nikutai no gakko

Alla scuola della carne si impara il valore del denaro, ma anche quello che il denaro non puo' comprare.
Si impara a conoscere il prezzo della solitudine, il prezzo della gelosia, il prezzo della perdita.
Alla scuola della carne prima o poi credo si diplomi chiunque.

Ambientato nel dopo guerra, il romanzo si orienta su un'occidentalizzazione che ha gia' compiuto quasi un giro completo del quadrante, sebbene resista un legame che ancora stringe l'ultimo lembo genetico della tradizione classica. 
Tre amiche quarantenni e divorziate, tre donne di potere, ricche ed affascinanti, provenienti dalle radici ormai a brandelli di un'aristocrazia soppiantata dalla modernizzazione. 
Taeko guida un atelier di alta moda e dopo la dolorosa fine del suo matrimonio vive autonomamente, assetata di indipendenza affettiva ella non cerca legami, solo relazioni passeggere, talvolta comprate col denaro. Eppure permane quell'esigenza di affetto che difficilmente ci e' concesso oscurare...

Se vanesia avrei giurato di riconoscere un testo di Mishima anche in formato anonimo, confesso che stavolta avrei fallito tragicamente. Concettualmente le somme quadrano, tra le righe si avverte il suo disprezzo per l'America, l'irritazione verso le donne che si sono assueffatte alle mode europee avvalendosi di un'emancipazione ottenuta di riflesso - tramite l'occupazione americana- ed il contrasto tipicamente giapponese tra pudore ed estroversa sessualita'. 
Nella forma invece tutto non torna, il linguaggio utilizza espressioni troppo attuali ( ci sara' davvero scritto così o sara' la traduzione ?), mancano le metafore, si elemosina l'eleganza abituale.
Sebbene nelle opere piu' acerbe la scrittura sia meno ricca e raffinata , il testo e' sempre ed inesorabilmente intriso di atmosfere cosi' incantevoli da scippare fiato alla gola. Non  qui, no.
Il primo flop tra Yukio e me, mi basta ed avanza, ora mi spiego perche' non fosse mai stato tradotto prima.

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Romanzi autobiografici
 
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    15 Dicembre, 2013
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Una luce di speranza nelle traversie della vita...

Una storia significativa che offre moltissimi spunti di riflessione sui casi della nostra esistenza, che possono comunque colpire ciascuno di noi.
La storia di Lisa, una ragazza attiva che si occupa di volontariato, generosa, disponibile nei confronti del prossimo; una mattina si alza e si accorge di non avere più la sua integrità fisica, di essersi ammalata, di essere diventata alla stregua di coloro che sono bisognosi di cure e che fino a qualche settimana prima aiutava. Un ricovero doloroso e il contatto con la dura realtà dei maltrattamenti all'interno dell'ospedale, delle incomprensioni dei medici.. a volte presenti, purtroppo in alcune realtà medicali...
Altri due ricoveri e infine la matassa misteriosa della sua malattia si dipana e Lisa si avvia verso la guarigione.
Alla fine del suo doloroso cammino, una specie di calvario disseminato di ostacoli, Lisa riscoprirà il valore della fede e incontrerà l'amore nella figura di un ragazzo conosciuto nei corridoi dell'ospedale...
L'ultima parte del libro è dedicata all'idillio dei due giovani...
Uno stile fresco, semplice ed essenziale ci accompagna per tutta la durata del libro; per il suo significato, per il messaggio sublimale che contiene mi sento comunque di consigliarlo sia ai giovani che agli adulti.
Saluti.
Ginseng666

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Romanzi
 
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    14 Dicembre, 2013
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SIAMO TUTTI PRECARI

“Eh già, ci sono anch’io. Il deus ex machina. Il giovane disoccupato, precario nel corpo e nello spirito. Il tacchino-madre.
L’unico, vero e inimitabile proprietario del cumulo di pietre che hai appena visitato.”

Ho estratto qualche riga dalle ultime pagine per introdurre questo romanzo dalle caratteristiche poco romanzesche, che narra lo scontro tragicomico tra le due fazioni interiori di un italiano di giovane età, una delle tante vittime dell’attuale, serissima, crisi economica. La lotta interiore, come capita spesso, si infila nei panni letterari di due personaggi antagonisti: speranza contro rassegnazione, voglia di reagire contro voglia di morire, Brando contro Aceto. Il cane Charlie anima con la sua vitalità canina la convivenza all’interno di un’unica mente, un muro di neuroni in bilico tra l’essere e il nulla.

L’invasione progressiva del nulla nella quotidianità è rappresentata con efficacia. La mancanza di occupazione può portare prima alla morte civile e in seguito, non di rado, alla morte fisica, a quei suicidi in giovane età difficili da capire, forse perché la spiegazione è fin troppo semplice: non si è davvero giovani quando non si hanno prospettive davanti, l’età anagrafica conta poco o niente se si ha l’impressione di non avere uno spazio in cui muoversi, se qualsiasi sforzo sembra inutile.

Il nulla, però, forse è troppo poco per un romanzo. La testimonianza è ben scritta e il ritmo è ben costruito, ma l’ironia non decolla, spesso non funziona.

Interessante la postfazione del professor Renzo Carli, sulle cause e la natura della sfiducia nel futuro così diffusa tra le nuove generazioni. Forse può suonare assurdo domandarsi per quale motivo questa generazione di giovani tacchini “choosy”, “sfigati” e “bamboccioni” non abbia fiducia nelle proprie possibilità. Ma la domanda è doverosa, soprattutto quando la risposta sembra fin troppo ovvia.

Leggiamo questo libro, comunque. Forse siamo davvero tutti precari.

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Consigliato a chi ha letto...
narrativa sociale.
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Gialli, Thriller, Horror
 
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    14 Dicembre, 2013
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Cercando Roldan

Non conoscendo Moltalban mi aspettavo un Camilleri spagnolo, una lettura facile, piacevole, poco impegnativa. Invece, niente di tutto questo.

"Mi lascerete vedere Gerusalemme?Potrò uscire dalle fogne?"
"Ubbidisco agli ordini ma capisco il suo desiderio. Gerusalemme è una città spirituale, aerea levitante ...il contrario delle fogne. Ha mai letto Saul Bellow?"
"Non ricordo se l'ho letto, ma di certo ho bruciato qualcuno dei suoi libri. Herzog, credo di ricordare."
"Per antisemitismo?"
"Odio i libri ... soprattutto quelli che ho letto..."
"Bellow ha scritto un bel libro:Gerusalemme andata e ritorno, di cui conosco interi brani a memoria: Gerusalemme...il pensiero è nell'aria, l'aria pura nutre in Gerusalemme:lo dicono persino i saggi. L'universo interpreta se stesso davanti ai suoi occhi nella franchezza della valle, formata da un groviglio di rocce che finisce in acqua morta. Ovunque muori e ti disintegri, qui muori e ti mescoli"
"Sono molto individualista, non mi piace mescolarmi nemmeno da morto"
"Si tratta solo di una bella metafora".

Spero di aver dato l'idea del tipo di scrittura, piena di citazioni e di ammiccamenti colti, ironica, con metafore culinarie, sesso ma non troppo e volgarità ben dosate con il contagocce. Il linguaggio è così preponderante che resta difficile seguire la storia che non scivola via come in un libro di Camilleri (nonostante l'ampio uso del dialetto) ma bisogna stare concentrati e rileggere certe parti perchè la comprensione della trama è faticosa (almeno per me lo è stata). Questo è il principale neo del libro, perchè il tipo di linguaggio ha sicuramente i suoi estimatori. Credo che quella fascia di lettori che hanno apprezzato l'eleganza del riccio potrebbero trovare piacevole questo modo di scrivere un po'artificioso e intellettuale che ammicca al lettore colto così come fanno i personaggi l'uno con l'altro nei dialoghi spesso improbabili. Così Pepe persuade l'antagonista a sputare il rospo non a suon di pugni, non con qualche fine ricatto ma a suon di dialettica e di metafore.
In questo romanzo Pepe Carvalho e l'insoddisfatto Biscuiter vanno alla caccia di Roldan, personaggio politico poco limpido. Nel corso della ricerca, che ci dà l'occasione di osservare il mondo politico spagnolo, molto simile al nostro in tutto, pure nei vizi e nelle abilità amatorie dei protagonisti, verranno trovati molti Roldan, fino ad arrivare all' ultimo Roldan che fa concludere l'autore dicendo nella post fazione del libro:prima o poi potrà apparire, vivo o morto, un Roldan che verrà considerato ufficialmente quello autentico. Non sarà vero. Roldan rimane per sempre nè vivo nè morto.
Al lettore lascio scoprire il perchè: la conclusione del romanzo è sicuramente la parte più bella della storia.

L'idea veramente notevole di Montalban,è quella di costruire i suoi romanzi mescolando alla fantasia una buona dose di fatti e personaggi della vita politica spagnola. Nel suo paese questo fatto dà al romanzo un enorme valore aggiunto anche se l'intento dell'autore non credo sia morale ma intellettuale. Penso che questa operazione renda la lettura appetibile per tutta la gente che legge i giornali, almeno al suo paese.
Non so come faccia a scrivere i suoi libri senza finire in galera, ma l'idea mi pare veramente interessante e credo che potrebbe solleticare qualche scrittore nostrano (la nostra storia politica è piena di gialli e di indagini su cui fantasticare).

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Consigliato a chi ha letto...
agli scrittori di gialli, a chi ama letture un po' colte, a chi segue la vita politica spagnola.
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Romanzi storici
 
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    12 Dicembre, 2013
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Il sole dell'avvenire

Finalmente splende il sole sul romanzo storico italiano.
E' “Il sole dell'avvenire” di Valerio Evangelisti, pubblicato da pochi giorni da Mondadori.

Un romanzo storico puro, ben strutturato e dal contenuto documentato, lontano dai filoni storici recenti che debbono fare l'occhiolino al genere noir per catturare l'attenzione del pubblico.

Ci sono libri che richiedono al lettore una fase iniziale di riscaldamento prima di entrare in sintonia con il narrato; Evangelisti ha la capacità di far camminare il suo pubblico nel passato dopo poche pagine.
Si apre il sipario sulle terre romagnole, in un arco temporale di un ventennio a partire dal 1880 agli sgoccioli di inizio secolo.
Anni che vedono fronteggiarsi fazioni di pensiero e politiche avverse, internazionalisti, anarchici, repubblicani, monarchici, socialisti e rivoluzionari; anni di fervore, di rivolte, di arresti, di carcere, di repressione, di ideali, di passioni, di sogni
Da tanta bagarre socio-politica, dipinta dall'autore con una minuziosità fornita da fonti dell'epoca, fanno capolino loro, i veri protagonisti, uomini e donne, braccianti, mezzadri, operai, mondine, tessitrici, stallieri.
Un piccolo grande esercito colto con una maestria narrativa efficace e pervasiva; la penna di Evangelisti cesella dei personaggi indimenticabili, di un'umanità profonda, non stereotipati ma maledettamente genuini, pronti a rimboccarsi le maniche ogni giorno per sfamare se stessi ed i propri cari.
L'autore riesce a tenere le redini di un romanzo dalle tematiche variegate e animato da tanti personaggi, di fantasia e storici, elaborando un lavoro che non perde mai di fluidità anche quando si addentra nelle tematiche politiche del tempo. Evangelisti plasma un romanzo storico dagli equilibri perfetti, mescolando protagonisti della nostra storia come Andrea Costa, Turati, Cipriani, De Pretis, Crispi e tanti altri, a comuni famiglie di contadini e braccianti, che lottano contro le angherie dei padroni oppure contro la mancanza di lavoro stabile oppure contro la malaria e la pellagra.

La narrazione di Evangelisti apre una finestra sul passato e focalizza l'attenzione sulla forza e sulla caparbietà degli italiani di allora, delineando con sensibilità, sofferenze e drammi.
Anni di lotte politiche e di lotte per la sopravvivenza, di soprusi e nefandezze.
Una lettura appassionante e coinvolgente, ricca di dialoghi snelli e realistici, esaustiva sotto il profilo storico ed incisiva sul piano emotivo.
Spessore e commozione abilmente orchestrati dallo scrittore emiliano.

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Avventura
 
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    10 Dicembre, 2013
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Necronomicon

Siamo a Riva del Garda e proprio grazie ad un manoscritto abbandonato questa storia ha preso forma e vita propria.
In questi luoghi c’è una famosa strada, che venne costruita grazie all’aiuto di Giacomo Cis, il quale morì in circostanze molto strane ed ancora ignote.
La storia è ambientata ai giorni nostri, Edoardo sta passando un bruttissimo momento della sua vita e ha deciso di fare una breve pausa in questo luogo d’incanto. Qui incontrerà Maya, la quale fa la receptionist nel hotel in cui alloggia in questo periodo.
Le loro storie si incroceranno, diventeranno amici ed anche qualcosa di più.
Anche Maya non ha avuto vita facile, suo padre è sparito in circostanze molto strane e si è da poco lasciata con il suo ragazzo.
Edoardo ha deciso di stare in questi luoghi per dimenticare la sua Silvia, ma tutto le ricorda lei.
Nel frattempo vuole anche iniziare a scrivere un libro, ma le sue ricerche saranno difficili e molte persone vorranno mettergli i bastoni tra le ruote perché sta venendo a conoscenza di cose molto strane.
Senza saperlo sta facendo ricerche su un argomento più grande di lui, su un gruppo massonico molto potente.
Maya che lo ha preso molto in simpatia gli farà conoscere la madre la quale manda avanti un negozietto di libri antichi che parlano proprio di questa strada del Ponale e del suo ideatore.

Il libro è diviso in brevi capitoli e fin dall’inizio con il suo stile e la dialettica incalzante lo scrittore è riuscito a stuzzicare la mia voglia di continuare e di terminare questa lettura nel più breve tempo possibile.
La storia è ricca di suspense e colpi di scena ed inoltre ha anche una piccola punta di romanzo rosa con l’incontro che avranno Edoardo e Maya.
Mi piace molto anche la copertina che ci da un bellissimo scorcio sul lago, che ci farà intendere fin da subito che si tratta anche di una storia misteriosa perché in basso al centro vediamo un cadavere con a lato una pistola e sullo sfondo, anche se ad un primo esame non ne avevo fatto molto caso, si possono vedere degli strani simboli.

Che altro dire?
Lo consiglio a pieni voti perché si tratta di una storia molto interessante e che non fa annoiare il lettore.
Il mistero aleggia fino alla fine come una lieve nebbiolina e solo con un’attenta lettura il lettore verrà a conoscenza di un mondo sconosciuto.

Buona lettura!

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Romanzi
 
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Ginseng666 Opinione inserita da Ginseng666    09 Dicembre, 2013
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Una tragica resa dei conti...

Una storia appassionante, rivestita di sentimenti, passioni, anomalie comportamentali.
La vicenda inizia con la fuga di una ragazza, Vera, da Budapest: ella ha ucciso il padre per proteggere la sorellina minore dalle sue molestie...
In Italia Vera diventerà la prostituta e con lei si agganceranno altri personaggi in una carrellata di tipologie umane variegate...che all'inizio sembrano non aver alcun legame; in realtà l'autore ce le presenta con rapide pennelalte come un artista che dipinga quadri, usando molteplici colori e ci cala lentamente nel loro mondo, descrivendole in modo magistrale...
E' come infilarsi, spettatori involontari in un libro assistendo a un dramma che si dipana lentamente
nella vita di questi protagonisti..legati da fili sottilissimi, invisibili, impalpabili che li conduce verso un destino inesorabile, una tragica resa dei conti che sfiora il dramma solo per un minuscolo diversivo...
Qualcuno comunque dovrà pagare pegno, con delle conseguenze fisiche personali perchè il dramma non esploda interamente...
La vendetta dei giovani, il disturbo adolescenziale, di una figlia che si sente tradita dalle bugie dei genitori?
Oppure un intricato destino che vuole infine rimettere le cose a posto sciogliendo i nodi delle inevitabili bugie?
L'onta del tradimento andrebbe lavata con il sangue? E' più forte l'amicizia o l'amore?
E se l'amore non è compreso, tradito, violato lo si può imprigionare nell'onda nostalgica dei ricordi?
Storia irresistibile, avvincente, che lascia comunque degli interrogativi esistenziali...
Mi chiedo cosa avrei fatto io...al posto della protagonista o della figlia di lei....
Consiglio vivamente questa lettura, a me il libro è piaciuto molto.
Saluti.
Ginseng666

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Fantasy
 
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2.5
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Donatello92 Opinione inserita da Donatello92    08 Dicembre, 2013
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La vera bugia è proprio il libro !

Le opere affidate a Multiplayer.it edizioni sono, generalmente, sinonimo di garanzia in termini di godibilità in quanto, seppur non si annoverino fra le sue file dei veri e proprio capolavori, esse trattano ambienti e tematiche già conosciute alla maggior parte dei lettori e che quindi, in un modo o nell'altro, suscitano la curiosità generalmente. I romanzi prodotti dalla celebre casa editrice sono infatti quasi sempre reboot o racconti ispirati a saghe cinematografiche, ai videogames e\o a temi rinomati della fantascienza, finendo in un modo o nell'altro nella parte giusta della biblioteca degli acquirenti.
Tuttavia, evolvendosi, anche Multiplayer.it ha deciso di ingaggiare scrittori di un certo calibro e di promuovere romanzi che esulino dall'ambiente videoulico, affrontando un percorso astruso e non sempre riuscitissimo. Alcuni romanzi spiccano e sorprendono, altri, come questo, deludono le aspettative, e cercherò di spiegarne le motivazioni in maniera imparziale, senza commentare la trama o i risvolti religiosi che caratterizzano l'opera, nè l'autore stesso, divenuto ormai famoso per questi rifacimenti in chiave fantastica di personaggi, eventi o romanzi storici di ampio consenso.
Attribuire un voto medio allo stile di scrittura è stata una scelta ardua poichè due grandi ripetizioni affliggono il romanzo: la produzione e lo stile dell'autore. Da un lato infatti pecca, almeno per questa prima edizione, la trasposizione italiana, sperando che non sia lo stesso per la versione originale: parole mancanti di sillabe o scritte in corsivo soltanto per metà, vocali sostituite, frasi articolate male, verbi mancanti ed altre disattenzioni che solitamente non si vedono in nessun libro o si notano una volta ogni tanto e che qui sono presenti con frequenza fastidiosa. Dall'altro lato ci si mette lo stile dell'autore che, all'inizio, lascia a bocca aperta per alcune trovate divertenti e riuscitissime, poi sfocia in una pedanza che rovina tutto: i trattini al termine di una frase per indicare che essa è stata interrotta da un evento, che diventano così frequenti da non stupire più dopo neanche un terzo del racconto, pensieri scritti in corsivo praticamente ad ogni paragrafo, e che a volte sono sostituiti da impressioni o altri tipi di frase che, se fossero stati scritti senza il corsivo per seguire la normale scorrevolezza di lettura, non avrebbero destato alcun sospetto, artifici retorici ripetuti ogni due pagine ed un'altra serie di simpatiche soluzioni che diventano presto spicevoli distrazioni letterarie all'interno della trama dell'opera o, più semplicemente, la rendono estremamente prevedibile. Quando vedrete un trattino o una parola in corsivo, oltre a storcere il naso, saprete già che un soldato sta raggiungendo il gruppo sul suo cavallo o che qualcun'altra di queste "scene di routine" sta per accadere.
Questi particolari non ledono del tutto l'esperienza della lettura in quanto alcuni capitolo sono ben caratterizzati, i personaggi non mancano di carisma e alcune trovate sono molto divertenti. Non ritroviamo quella banalità di fondo che caratterizza molti altri romanzi, l'idea è carina, il tutto è ben caratterizzato e gli eventi non appaiono scontati in ogni tratto del libro.
Tuttavia, e questo è il punto focale del mio giudizio negativo, il libro stesso è una menzogna per molti motivi: in copertina leggiamo che la storia è una "fusione fra il Trono di Spade ed il Vangelo secondo Luca", tuttavia di fantasy non c'è praticamente niente e le citazioni sparse qua e là all'inizio dei capitoli per introdurre gli argomenti che essi tratteranno (trovata riuscita e ben sfruttata) vengono tratte dal Vangelo di Matteo e, volendo citare la sfilza di personaggi religiosi che dovrebbero reinterpretare la storia come la conosciamo, seppur ciò accada e, come già detto, sia una trovata simpatica, non sono altro che nomi celebri presi dalla storia della nascita di Gesù e messi lì con ogni ruolo, talvolta fedeli alla figura a cui si ispirano, talvolta tirati in ballo come se bastasse l'importanza del loro nome a coinvolgerli in questo "fantasy-religioso" che in realtà non esiste.
E ancora: il retro del libro comunica che, "nonostante il tempo delle tempeste e delle creature magiche sia terminato", i protagonisti si troveranno ad avere a che fare con "morti che tornano in vita, magia e forze dell'occulto". La realtà è che a due terzi del libro ci si chiede ancora dove siano tutti questi elementi presentati quasi come perno delle vicende.
Infine: il titolo è "la bugia di Natale". In realtà, come già anticipato, si tratta solo di una serie di personaggi presi e travisati in una vicenda nuova che ruotano intorno ai concetti base della "vera storia religiosa", se così vogliamo definirla, ma che non hanno niente a che fare con essa e che, in ogni caso, non hanno nulla da dimostrare nè una verità da esporre.
Il voto per il contenuto del libro è scarso semplicemente perchè un contenuto vero e proprio non c'è, non esiste una morale, i personaggi vanno avanti unicamente per non perire e sono pochi i passaggi in cui il lettore viene messo al cospetto di tematiche importanti, mentre per il resto ci sono "banalità" messe lì tanto per spingere avanti la lettura. Scusate lo spoiler ma devo proprio fare quest'esempio: i ladri si salvano la vita riflettendo sul fatto che probabilmente, pur senza rendersene conto al momento, hanno fatto giustiziare tre sacerdoti innocenti, ma poi si fiondano in questo viaggio di religione e salvezza, da miscredenti, perchè la morte dei bambini suscita la loro ira. Tutto ciò ha una sua logica, ma rende il romanzo privo di spina dorsale, con criminali e fuggitivi rappresentati da personaggi storici che un secondo prima trucidano qualche soldato, il secondo dopo disegnano a terra cerchi nella sabbia con la spada, afflitti e desolati. Il protagonista poi, è una specie di Robin Hood mal riuscito che sacrifica gli innocenti per salvarsi e portarsi dietro dei criminali, poi fa finta di avere una coscienza, poi ruba per togliere le ricchezze al potere ma non da nulla ad i poveri, e l'attimo si bea della sua nomea di criminale e continua a delinquere in cerca di un oggetto, spesso strafregandosene e tirando avanti per il puro gusto di commettere un crimine.
La recensione è lunga proprio per questo: non è un cattivo romanzo, ma non è neanche la perla che uno si aspetta di trovare dopo l'annuncio di un romanzo che, già fregiandosi del nome di un autore divenuto celebre per questi franchise del reboot storico, è stato addirittura scritturato per un'opera cinematografica.
I personaggi potevano essere caratterizzati meglio così come l'ambiente e le vicende, magari rivelando qualcosa di sconvolgente che reinterpretasse veramente la storia della nascita di Gesù in chiave fantastica, facendoci sentire nel Natale (che tral'altro non ha proprio nulla a che fare con Erode e tutto il resto, se non per il festeggiamento della nascita del Messia) e calandoci in un'atmosfera che, aihme, qui manca.
Qui mancano un pò tutto le atmosfere. E, nonostante il romanzo sia scritto comunque bene e abbia un'idea simpatica di fondo che spinge il lettore a proseguire, appare scialbo nel complesso dell'opera, senza uno scopo vero e proprio.
Questo libro vuole smentire una bugia, ma in fin dei conti la racconta.
Chi voglia trovare qualcosa di nuovo o sia incuriosito da uno script che, ripeto, in via generale non è brutto, può scorrevolmente farsi un'idea del libro ed acquistarlo. Ho dovuto rileggerlo per convincermi che abbia del potenziale e magari a me non piace, ma a qualcuno potrebbe regalare momenti di ilarità e suspance. A voi il responso.

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calzina Opinione inserita da calzina    08 Dicembre, 2013
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il segno di quelle dieci estati italiane

Siamo nel 2077 e ci troviamo a Lelchitsy, un piccolo paese nel sud della Bielorussia. Siamo stati accolti in casa da Lyudmila, un’anziana ormai novantenne dallo sguardo fiero, intelligente e fermo che con un gesto ci fa segno di sederci accanto a lei; “è arrivato il momento” ci dice “sono pronta a raccontarvi la mia storia”.
Lyudmila nasce nel in questo piccolo paesino situato a pochi chilometri da Chernobyl, nel 1986, l’anno in cui ci fu anche il disastro alla centrale nucleare che tutti tristemente ricordiamo. La famiglia in cui nasce è umile; mamma e papà lavorano per pochi spiccioli che finiscono comunque più nell’alcool che nel cibo. E pensare che di cibo ne servirebbe per sfamare 10 figlioli (o forse 11). Non un sorriso, non una carezza, ciò che fa compagnia a queste creature è la fame, la miseria e lo sporco. Nemmeno la terra sorride a questa famiglia, sprecato è il sudore spremuto per coltivarla, essa ricambia sempre e solo con aridità. Ed è anche arida l'espressione dipinta sul viso della mamma di Lyudmila il 4 Giugno del 1994 quando lascia la sua bambina in aeroporto. Lyudmila andrà in Italia, a respirare un po' di “aria buona”, lontana da quell'aria di casa carica di invisibili tossine mortali.
Ogni estate, per dieci estati, Lyudimila tornerà in Italia per questa “vacanza terapeutica”. Ad accoglierla troverà i “suoi italiani”, Lucio ed Angela e le figlie Paola e Raffaella. Sono volti gentili i loro, volti fatti di tanti sorrisi e di tante lacrime di commozione, cose che Lyudmila nella sua vita non ha mai visto. Strani questi italiani, così trasparenti nelle loro emozioni, così espansivi.
Questo romanzo mi ha intimamente segnata: mio fratello (nonché vicino di casa) e la sua famiglia hanno accolto per due estati due bambine provenienti dalla Bielorussia, due bimbe che hanno avuto l'opportunità di fare una vacanza terapeutica allontanandosi da Chernobyl. Gli occhi, le paure e la goia di Lyudmila sono gli stessi che ho visto nelle nostre bambine. La gioia nel vedere e giocare con l'acqua del mare, l'amore per il gelato, lo stupore e l'incredulità di poter indossare delle scarpe nuove tutte piene di brillantini. Quei sorrisi dapprima abbozzati poi pian piano trasformati in risa fragorose....mille e mille immagini ho impresse nel mio cuore. Dopo la loro partenza (non senza commozione) mi sono interrogata mille volte sull'opportunità che questa“vacanza” da loro; è positiva o negativa sulla loro crescita personale? Non potrebbe invece avere il gusto amaro della consapevolezza di come potrebbe essere stata la loro vita se fossero nate in un altro luogo?
In parte posso dire che questo libro aiuti a superare questi dubbi. Lyudmila attraverso l'esperienza delle sue estati passate in Italia ha si un giovamento nella salute, ma nasce soprattutto in lei la speranza di sapere che la sua vita potrebbe non essere quella toccata in sorte alla madre, del sapere che non esiste solo la fame, lo sporco, l'alcool, le botte e la miseria.
La seconda parte di questo romanzo è infatti dedicata alla vita di Lyudimila, ai suoi sbagli ed errori e soprattutto alle sue riflessioni. Proprio come una persona anziana possa analizzare coscientemente la propria vita a ritroso, Lyudimila ripercorre tutta la sua sofferenza con occhio maturo e consapevole.
La vita vissuta nel buio della sofferenza vede però la presenza di una costante lucina di speranza, ed è la speranza che i “suoi italiani” le hanno donato fin da quelle dieci estati.
Ed è qui che voglio soffermarmi poiché è questo il fulcro di questo romanzo . I semi dell'amore piantati con quel gesto di solidarietà dell'accoglienza sono germogliati e sono cresciuti dentro Lyudmilla arricchendola interiormente.
La costante riflessività interiore di questo breve ma intenso romanzo lo fa divenire un piccolo tesoro. Offre al lettore una visione ampia del significato delle esperienze della vita e del dolore cui essa ci spesso essa ci sottopone.
Un ultimo pensiero va alla scrittrice di questo romanzo che essendo tratto da una storia vera non posso fare a meno di immaginare come una persona che abbia avuto direttamente o indirettamente la possibilità di ospitare un “bambino di Chernobyl”. Dico questo perchè è inevitabile immaginare come possa essere la vita di questi bambini dopo le loro esperienze in Italia, quale ricordo conserveranno di queste vacanze, quale futuro possa attenderli e soprattutto che uomini o che donne diventeranno.
Vi consiglio di leggere questo romanzo senza però abusarne. Penso vada letto lentamente tanta è la commozione e tanti i messaggi che indirettamente si possono cogliere.

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Racconti
 
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    07 Dicembre, 2013
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Gnocche alla sorrentina

L'inizio lasciava ben sperare. Un inno d'amore alla terra d'adozione a mo' di prologo, mare, sole e Vesuvio celebrati con parole quasi poetiche. Ma quello che segue è molto vicino alla scempiaggine e su diciotto racconti se ne salva uno solo, “Scirocco”, che almeno suscita un po' di emozione.
A chi intraprende una lettura del genere - le avventure di un veterinario - interessa poco se lo stesso ama circondarsi di collaboratrici “belle e intelligenti”, una bionda l'altra bruna, occhi verdi ed occhi grigi, “respingenti” anteriori di tutto rispetto e “morbide masse nascoste sotto i camici”.
L'attacco storiografico che apre ogni racconto rende noiose storie già di per sé insulse, ma in ogni caso il dotto', come lo chiama la sua variegata clientela, sembra più interessato a raccontare le grazie del gentil sesso che gli incerti del suo mestiere e per tutta la narrazione occorre sciropparsi i suoi virili languori, tra cuccioli di leopardo che le colleghe cullano al seno (e che suscitano, manco a dirlo, la sua invidia) e pazienti a quattro zampe coccolati con arrapanti voci roche e annesse erre mosce.
Gli animali fanno solo da cornice, i loro malanni sono un'incombenza che si sbriga in poche righe per dare spazio a fatti e personaggi che nelle intenzioni dell'autore dovrebbero suscitare ilarità e stupore.
Nel primo racconto, tanto per non farsi mancare niente, c'è un'assistente rossa di capelli (amica con benefit), e poi la soubrette famosa affascinata dal dottorino, la gattara, il vecchietto, vari camorristi.
Manca un genuino trasporto, e tutto trapela fuorché amore per gli animali.
Definire “volpe di fuoco” un volpino ferito che fugge avvolto dalle fiamme dopo un incidente in ambulatorio non è divertente, né farsi beffe di una gattara addolorata per la morte del suo vecchio gatto (steso con un pugno rocambolesco da una delle avvenenti dottoresse).
E non brilla certo per arguzia la storia della cocaina donata da un cliente camorrista in segno di gratitudine. Troppo pauroso per sniffarla, il dotto' decide di regalarla ad un amico che ne fa uso abituale e che non finisce di ringraziarlo per l'altissima qualità della merce: “...abbiamo fatto un party per otto persone e stiamo ancora sulle stelle...”.
I racconti sono tutti inventati tranne uno, ma visti i risultati l'autore avrebbe fatto bene a lavorare meno di fantasia raccontando gioie e dolori autentici di un mestiere fuori dall'ordinario.
All'inizio del libro viene citato un certo James Herriott, veterinario dello Yorkshire che anni fa scrisse un'opera autobiografica con garbo, deliziosa ironia, amore per il proprio mestiere, rispetto per gli animali. Un libro da leggere... quello di Herriot ovviamente.

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Romanzi
 
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    06 Dicembre, 2013
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Sìagora per la gioventù

Siamo nell’anno 2040 nel Lazio del Nord, precisamente a Sìagora, in un tempo non molto lontano questo luogo veniva chiamato Civitavecchia.
Tutto è cambiato: la civiltà cerca di incentivare l’ecologia, cerca di non fare gli errori delle generazioni passate e proprio per questo ora le energie alternative vengono molto più sfruttate proprio perché il petrolio si è esaurito.
Le auto non esistono più e la gente si sposta solamente con i mezzi pubblici oppure con la bicicletta.
La televisione non va più di moda, si preferisce ascoltare la radio oppure seguire le notizie via web o leggere la normale carta stampata.
Vengono creati molti posti di lavoro, i politici non promettono solamente, ma portano a termine i loro progetti ed inoltre le università vengono finanziate e si crede molto di più nello studio con maggiori stage e tirocini per i giovani. Possiamo dire che si tratta di una società del tutto diversa da quella in cui viviamo ora, un sogno.

C’è in atto una “guerra” contro le coltivazioni OGM, ma non solo qui a Sìagora in tutta Italia ci sono delle comunità di ragazzi e ragazze che si battono contro le coltivazioni geneticamente modificate.
Questi gruppi di lavoro passavano il loro tempo imparando le cose basilari sulle coltivazioni della terra, su come gestire i soldi e cucinare con quello che avevano ed inoltre si divertivano tra di loro molto spesso con flirt molto spinti. In queste comunità era difficile non diventare cornuti!

Che cosa voglio dire di questo libro?
La storia molto spesso è scritta con uno stile molto curato e contiene delle belle descrizioni della città. L’autore ha usato un linguaggio molto curato alcune volte, mentre altre è caduto un po’ troppo nel volgare.
Lo scrittore ha deciso di descrivere accuratamente ogni suo protagonista, con maggior accuratezza le donne di cui ci svelava fin troppo!
Molto belli i pensieri fatti su questo nuovo tipo di società, ma mi sarei soffermata molto meno su alcune situazioni o descrizioni piccanti e talvolta “volgarotte” che secondo il mio gusto hanno fatto perdere bellezza al libro.

È interessante quindi ve lo voglio consigliare, ma non mi ha pienamente entusiasmata!

Buona lettura!

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Storia e biografie
 
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maria68 Opinione inserita da maria68    06 Dicembre, 2013
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al di là della storia umana

"...ho avuto molti volti e, nei pochi decenni in cui sono stato al mondo, ho vissuto più di una vita. Il mondo non mi dimenticherà".  
Ed è proprio così!!!  
La parola Napoleone significa "leone del deserto". Un nome che ha portato fortuna al ragazzino, córso dalla carnagione scura e con lo sguardo penetrante, ma che "non aveva paura di nessuno".  
Conosciamo di lui: pregi e difetti del suo carattere, il talento innato nel pianificare delle strategie militari di successo, l'intuito psicologico costantemente presente che lo aiuterà a demoralizzare, destabilizzare e sorprendere il nemico o a infondere fiducia tra i suoi soldati, il volere a tutti i costi un codice civile, ecc... fanno di lui, ancora oggi una figura carismatica.  
Antonella Di Martino con questo libro ha rischiato molto, visto l'argomento trattato, che mal si concilia con i gusti del lettore comune. Se l'intento era di far amare la figura di Napoleone, l'operazione è riuscita in pieno. Il linguaggio semplice ha valorizzato più che mai la biografia. Lei non si è limitata a riportare nero su bianco date e avvenimenti, che hanno determinato l'ascesa di Napoleone, da studente militare all'incoronazione di Imperatore, e la sua decadenza. La sua genialità stà nell'aver strutturato il libro come una raccolta di testimonianze, da coloro che lo hanno conosciuto. Innumerevoli sono le confessioni di uomini e donne che si susseguono tra le pagine. Le loro deposizioni, a prescindere che siano di condanna o di approvazione del suo operato, sono tutte concordi nell'apprezzare la sua determinazione. I diversi punti di osservazione hanno consentito di aprire un varco, permettendo l'accessibilità  a qualsiasi lettore, indistintamente sia esso un amante o no della storia.  
Napoleone che "in vita aveva perso il mondo. Da morto l'ha conquistato" soprattutto nel cuore di mio nipote, che di anni ne ha 13, affascinato da sempre di questo grande personaggio e quale regalo più gradito se non questo libro...
É una biografia che senz'altro promuovo a pieni voti, invitando l'autrice a perseguire su questa strada.

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Dai 13 anni in poi ...
Per imparare ad amare la storia, materia ostica per molti
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    06 Dicembre, 2013
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QUESTO MI SALVA

L’autrice usa la sua arte per attirarci in una tranquilla scampagnata nell’oscurità della memoria; tra giardini e cimiteri ridenti, tra fiori, alberi e bruchi entriamo insieme a lei nelle stanze in cui si è consumata una grande tragedia familiare.

Sono tre le generazioni di vittime, carnefici e sopravvissuti che incontreremo in questa breve vacanza. Attraverso la morte e la malvagità scopriremo che la forza di vivere deriva da piccole, semplici cose, che però vanno coltivate.
“L’essere stati abbracciati, coccolati. Il fatto di possedere tanti buoni ricordi di giornate belle. Essere stati nutriti bene, accolti con gioia quando si dicevano le prime parole venute in mente, sentirsi figli di qualcuno, aver dormito raggomitolati in un futon caldo, aver vissuto in questo mondo con la convinzione di essere accettati.”

“Spiriti”, “magia”, “possessione”, “fantasmi” sono parole che impregnano la storia dei protagonisti. Indicano qualcosa che esiste, qualcosa di terribile, qualcosa che però appartiene soltanto alle persone: la parte oscura di noi è troppo complicata per essere spiegata con parole quotidiane.
“Penso che siano parole che esistono per comodità, perché rendono più facile spiegare certi fenomeni.”

“Le persone sono molto più torpide di come pensi tu.”
La crudeltà è esplorata con garbo, insieme alle sue conseguenze. Il ritmo lento tende con eleganza la corda delle suspense, seminando indizi vaghi, svelando con grazia le dimensioni di quella tragedia, quel trauma che costituisce il fulcro della storia. Le descrizioni delle cose e degli ambienti suggeriscono e poi definiscono i personaggi con forza sconcertante. Poche pagine bastano per narrare la tragedia e la resurrezione di una famiglia, sciogliendo in poche mosse i nodi stratificati nel tempo da generazioni di errori e orrori.

La semplicità costituisce la forza di questo breve grande romanzo: una perla, dai colori caldi e sfumati. Non avevo mai letto nulla di Banana Yoshimoto; questo primo assaggio mi ha conquistata.

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di orrore e di salvezza, di vita e di morte, di malvagità ed eroismo della vita quotidiana.
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    05 Dicembre, 2013
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Fegato e cuore

Con “Fegato e cuore” Alessandro Marchi è già alla sua seconda pubblicazione narrativa.

Questa giovane penna bolognese propone una storia in cui le note dolci e quelle amare si mescolano dando vita ad flusso narrativo accattivante ed emozionale.
Fegato e cuore, due organi delicati, due pezzi di carne, due simboli.
Un cuore che pulsa ed uno che non pulsa più; una vita, due vite.

E' una storia questa che vuole parlare di gioventù, dalla vita spicciola ai sogni, dalle speranze infrante al confronto con la realtà sociale ed economica di oggi, passando attraverso temi importanti come quello dei trapianti, della dipendenza alcolica, della deriva della famiglia comunemente intesa per approdare ad altre forme allargate di famiglia.
Una storia in cui la voce dell'autore rimarca l'importanza degli affetti, del calore sia esso di un familiare, di un amico o di un conoscente.

Tanti gli spunti da cogliere tra le pagine del romanzo, per riflettere sul valore della vita, attraverso le immagini che scorrono; la vita di chi ha deciso di abbandonare le proprie radici alla ricerca di benessere economico e sociale, la vita di chi ha combattuto con la cattiva sorte, la vita che termina per qualcuno e si riaccende altrove, la vita scandita da impegni lavorativi talora non appaganti.

Questo autore ha la capacità non solo di raccontare una storia, ma di far entrare il lettore tra le pieghe più intime, facendone percepire appieno il flusso emotivo.
Leggere “Fegato e cuore” significa entrare nella vita dei suoi protagonisti, applaudendone il coraggio, non approvandone talune scelte, rimanendo in bilico tra una lacrima ed un sorriso.

La scrittura utilizza un linguaggio moderno e diretto, talvolta senza veli e censure, ma pronto a dare sostanza al narrato e privo di retoriche e falsi compatimenti, pronto a smorzare le negatività rappresentate con un filo sottile di ironia dosata ed intelligente.

Una lettura davvero godibile per contenuti, costrutto e fluidità espressiva; un ottimo segnale dal mondo degli autori di nuova generazione.

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Romanzi
 
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    05 Dicembre, 2013
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Splendore di Margaret Mazzantini

“E davvero accadde. E fu contro natura. E davvero vorrei sapere cos’è la natura”.
È tutto in questo interrogativo il dramma esistenziale e umano di Guido e Costantino, due giovani coetanei, appartenenti a due ceti sociali diversi, che condividono l’infanzia e l’adolescenza e frequentano lo stesso liceo. Tra loro nasce un’attrazione che si trasformerà in amore col passare del tempo. Entrambi vivranno questo sentimento con un senso di colpa che li farà sentire ai margini della società di cui fanno parte. Ed è qui il vero dramma: sono Guido e Costantino stessi a considerarsi trasgressori di quel codice che condiziona i loro principi morali. L’omosessualità è vissuta come peccato e pertanto va tenuta nascosta. Da qui l’esigenza di crearsi un’esistenza di facciata, rispettabile e stimata, per consumare nell’ombra un rapporto clandestino sentito come oltraggio al mondo circostante.
Il vero quesito, dunque, non sembra vertere su cosa considerare secondo natura o contro natura, quanto piuttosto su come fare accettare la propria diversità quando per primi si sente l’esigenza di nasconderla e negarla. C’è chi dell’omosessualità rivendica la dignità, chi la soffoca e la respinge: il dramma del rapporto con la società può essere anche vissuto solo interiormente, al di là dell’aggressività e della violenza esterna.
Nel suo racconto in prima persona Guido descrive l’evoluzione del suo sentimento per Costantino e tra le righe lascia trasparire il suo senso di colpa, in ogni istante, fino al punto da far intendere che in questo rapporto è la trasgressione che alimenta il sesso e non l’amore.
La problematicità dei due personaggi sembra simbolicamente accentuata dalla sterilità di Guido e dalla paternità infelice di Costantino. La loro vita dunque non sembra destinata a perpetuarsi nel tempo, quasi una tacita condanna.
Gli anni dell’adolescenza e della giovinezza dei due ragazzi trascorrono a Roma, sono gli anni dello studio e della cultura classica, delle gite scolastiche in Grecia, mentre la Londra spregiudicata e multietnica accoglie Guido adulto e avviato alla carriera universitaria: l’incontro con Izumi darà un po’ di sollievo alla sua perenne inquietudine.
La violenza del mondo esterno esplode durante il viaggio in Italia, quando colti di notte durante un amplesso in un luogo appartato sul mare tra la Calabria e la Puglia, i due amanti vengono ferocemente aggrediti. Qui sembra si vogliano sottolineare i pregiudizi di una terra ancorata a vecchi principi. In realtà gli unici momenti felici della vita di questi personaggi sono quelli trascorsi in seno alle famiglie tradizionalmente costituite. Lo “splendore”, dunque, intravisto a tratti da Guido e Costantino, che coincide sempre con una visione rasserenante o di un campo di grano dorato o di un panorama, non è altro che un breve bagliore che sfuma repentino come un sogno.
Non siamo qui di fronte a un romanzo che descrive la problematica del rapporto diverso - società, dal punto di vista della sola società, siamo qui di fronte a una problematica ben più ampia che è quella che riguarda la sfera intima del diverso stesso: quest’opera sembrerebbe ipotizzare che c’è ancora molto cammino da percorrere perché sia il diverso stesso ad accettare con dignità e senza vergogna la sua condizione. Lo stesso concetto di diversità sia esso applicato alla sfera sessuale, come a quella sociale, etnica o fisica, dovrebbe essere coraggiosamente abolito anche se il raggiungimento di tale fine richieda a volte un percorso duro e doloroso e non sempre vincente. Mi piace ricordare a questo proposito una bella frase tratta da “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee: "[...] Avere coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda."
La conclusione del romanzo riserva un piccolo colpo di scena, che comunque non cambia molto l’impianto complessivo dell’opera. Le ultime pagine sono certamente le migliori, con poche figure retoriche di cui la Mazzantini fa un uso, a mio parere, eccessivo, nella prima parte del racconto. Il tempo è scandito dagli avvenimenti storici e politici a cui si fa riferimento senza l’ausilio di date, cosa che se certamente evita un noioso susseguirsi di numeri, d’altro lato però richiede un’applicazione suppletiva da parte del lettore per individuare il periodo esatto in cui si svolge l’azione.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    04 Dicembre, 2013
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VIRTUS VINCIT OMNIA

Siamo nella Venezia dell’epoca rinascimentale, un periodo prospero per l’arte, che vede alcuni dei più grandi artisti vivere e dipingere all’ombra delle città più ricche d’Europa.

Zorzo Cigna, meglio conosciuto come Giorgione, vive passando il suo tempo tra tele, oppio, affreschi, hashish e il suo amore, ancora non del tutto dichiarato, per Cecilia, giovane donna proprietaria di un bordello, tra i più conosciuti della città.

La sua è una vita altalenante in tutto e per tutto, almeno fino a quando non iniziano a verificarsi orribili crimini che vedono coinvolti poveri innocenti, brutalmente assassinati da una banda di balordi; vittima di uno dei tanti incendi che illuminano a giorno le notti veneziane è Fra Placidio, amico di Zorzo, il quale non crede che si sia trattato di un’improvvisa disgrazia, anzi…

Inizia così la sua ricerca, tra calle e canali, d’indizi, tracce, segni, che possano condurlo alla ricerca della verità: tra fumi dovuti a incendi e nebbie dovute all’abuso da parte del pittore di sostanze stupefacenti, il nostro protagonista riuscirà a scoprire la verità e a salvare Venezia da un grande pericolo.

Scritto in maniera molto curata, con particolare attenzione a ogni piccolo dettaglio legato all’epoca in cui il giallo storico è ambientato, questo libro a volte rischia di perdersi tra le nebbie che avvolgono la città; non nego di aver fatto fatica a volte a seguire il filo della trama, spesso mi sembrava di aver perso dei pezzi, di non capire se fossi io a non capire o il libro a non farsi capire; ho trovato molto più avvincente il finale rispetto alla parte centrale del libro, che un po’ si perde, nonostante le premesse siano delle migliori.

Non so se consigliarvelo… nel caso foste interessati, vi metto a disposizione quest’opera!

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Gialli, Thriller, Horror
 
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Yoshi Opinione inserita da Yoshi    04 Dicembre, 2013
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zombiezombiezombie

Eccoci qui con un altro libro zombie fra le mani.
Chissà perchè questo genere mi attira paurosamente a se come il miele con le api.
Questo libro, primo di una trilogia, ha una storia molto semplice e se si vuole abbastanza scontata.
L'epidemia che scoppia, la gente intontita che non sa se credere alla tv o a ciò che vede, gente comune che si improvvisa cecchino esperto, armi che spuntano dal nulla e via dicendo.
Voi chiederete: e allora perchè continui a leggere queste storie?
La risposta è semplice: l'adrenalina che si prova quando si scende in battaglia è impagabile, gente che si ammazza, correre il più veloce possibile perchè braccati da umani affamati, ricerca del cibo, sopravvivenza, pazzia che dilaga e via dicendo.
Solitamente questi libri vanno tutti in crescendo.
Scoppia il virus, tutti impazziscono e ognuno diventa animale che cerca di sopravvivere fra altri animali.
L'istinto primitivo che esce fuori.

Ho letto molti libri sugli zombie e moltissimi dei quali vengono scritti dal punto di vista di militari o medici o chimici che studiano il virus.
Speravo di trovare qualcosa di diverso e così non è stato.
Il libro esordisce con intercettazioni fra alte cariche che in sostanza si dicono "cosa diavolo sta succedendo?" "non lo so il governo non vuole che la notizia venga fuori" "mandiamo i militari che spaccano il mondo e salvano la terra!" "no, non diciamo ancora nulla a nessuno che magari nessuno se ne accorge che la gente resuscita nonostante 25 pallottole in 25 parti diverse del corpo" "Oddio ho paura!" blablabla..
Questo non è diverso.
Le uniche varianti sul tema sono:
1) la localizzazione, perchè il virus parte dall'Africa.
2) ci sono due tipologie di zombie, normali e feroci.

La scrittura, fortunatamente è scorrevole e, a parte i casi in cui ci sono le intercettazioni che trovo noiose e inutili, il romanzo scorre via velocemente.
Quoto quello che ha detto Donatello92 sulla giovane età di Z. A. Recht, che a 23 anni ha scritto un libro carino con seguito.
Spezzo una lancia in suo favore: ho letto una valanga di libri sul genere ed è possibile che sia abbastanza satura.
Inoltre Epidemia Zombie è stato scritto nel 2006 quindi, facendo qualche calcolo, se lo avessi letto all'epoca mi sarebbe piaciuto molto.
Purtroppo però l'ho letto in questi giorni e non ho trovato nulla di particolarmente entusiasmante dal punto di vista della trama.
Lo consiglio perchè nonostante tutto questo, che è parte del mio modesto giudizio, può piacere soprattutto a chi è alle prime armi o a chi non è mai sazio di libri zombie.
Lo sconsiglio a chi vuole qualcosa (ovviamente sul genere) di VERAMENTE pauroso e adrenalinico.

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Libri per ragazzi
 
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maria68 Opinione inserita da maria68    03 Dicembre, 2013
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il bene prevarrà sempre

Nell'oasi dei "cammelli rari" una tribù di bedduini convive pacificamente con una specie di cammelli, che hanno il dono di essere intelligenti e di comprendere la lingua umana. L'archeologo Sir Görge Adam dal carattere riservato, ha bisogno del loro aiuto per l'interpretazione di alcune mappe antiche che lo condurrebbero fino al "tempio del sole", dove si crede sia custodito il "libro dei misteri".  
Cammy e Arsùra saranno i prescelti per partecipare alla spedizione.  
Ben presto, Sir Adam svelerà le sue vere intenzioni, contagiato anche lui dalla bramosia di potere...  

Naturalmente, non potete pensare che vi sveli il finale!!! l'unica possibilità che avete, è leggere il libro.  

La storia raccontata dall'autrice, Chiara Taormina,  è talmente bella che non annoierà il piccolo lettore, cui unico obiettivo sarà giungere all'ultima pagina, per conoscerne il finale. Tutti i personaggi che animano il racconto sono stati ben delineati, pertanto non risulterà difficile affezionarsi a essi. Il piccolo lettore apprenderà che: le amicizie esistono anche tra razze/specie diverse, in ogni essere vivente i cambiamenti possono sempre avvenire, in ultimo ma non meno importante, tra il bene e il male prevarrà (quasi) sempre il bene.

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Lo consiglio a tutti i bambini e non, dai 9 ai 99 come consigliato dall'editore.


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Gialli, Thriller, Horror
 
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Sordelli Opinione inserita da Sordelli    03 Dicembre, 2013
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La resa dei conti

Sono arrivata, dopo due mesi, a finire questo libro!
Non è che non mi andasse di leggere, ma veramente trovare il tempo è stato pressoché impossibile (faccio questa breve introduzione per spiegare che l'averlo letto in due mesi non significa che sia noioso...il problema è stato mio, non del romanzo!)
Aprire quest'ultimo capitolo vi lascerà un attimo perplessi, innanzi tutto per la forma in cui è scritto: lasciamo il diario scritto da Kil per trovarci a vivere la situazione totalmente dall'esterno. Il lettore, in questo terzo capitolo, è come un terzo occhio che vigila su ciò che accade ai personaggi. Devo ammettere che questo cambio all'inizio mi ha infastidita, abituata com'ero a Kil che si rivolgeva direttamente al lettore; tuttavia questo cambiamento non ha influito sulla scorrevolezza del romanzo, che è risultato essere molto avvincente e ancora più ricco di suspence.
Ma i veri protagonisti, restano sempre loro....: i morti! Radioattivi o meno, sono i padroni indiscussi della trilogia e, ahimé, del mondo narrato.
Pur essendo molto scorrevole e piacevole, ho trovato che la scelta dell'autore di inserire parti ricche di terminologie militari e tecnologiche rallenti un po' il tutto: non essendo un'esperta in questi campi, spesso mi son trovata a dover rileggere intere intere pagine per cercare di capire chi avesse fatto cosa e con quali mezzi; tuttavia non penso che queste parti "tecniche" penalizzino il romanzo, bensì gli danno un tocco in più, una serietà che molti scrittori si sognano di riuscire ad ottenere all'interno dei propri scritti.
Quando ho aperto il libro, un paio di mesi fa, la prima domanda che mi son posta è stata: scopriremo l'identità di Kil?! Ma ovviamente non ve lo dirò, dovrete leggere questo romanzo per saperlo!
Comunque, devo ammettere che mi spaventava un po' questo terzo capitolo, soprattutto per il finale: invece...non delude affatto, non è per niente scontato e lascia alcune faccende (seppur minori) in sospeso.
Come avrete capito, consiglio assolutamente la lettura, ma è scontato: se avete letto i primi due, non potrete non desiderare di leggere l'ultimo!!

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Romanzi storici
 
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    01 Dicembre, 2013
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La banda degli onesti

“Non si po' annare a travagliare la terra come per annare a fari la guerra”.
Questo libro è la storia di un'ingiustizia perpetrata ai danni di un'intera famiglia e smaschera i meccanismi perversi dell'organizzazione mafiosa, privandola di quell'aura “d'onore” che ancora oggi si attribuisce alle sue origini.
Chi erano i Sacco?
Camilleri ce li presenta in tutta la loro generosità, pronti ad offrire a chiunque ne avesse bisogno “'na scanata di pani frisco, 'na forma di cacio, tanta frutta e un ciasco di vino”.
Onesti agricoltori ed abili imprenditori, a cominciare dal capostipite Luigi che a Raffadali, piccolo centro rurale dell'agrigentino, osa l'inosabile: denunciare il tentativo di estorsione della mafia locale, che pretende parte degli introiti del suo duro lavoro.
Non c'è più pace da quel momento, né per lui né per i suoi familiari:
“Luigi sta mannanno a buttane le regole dettate dalla mafia e da tutti osservate. Luigi è praticamente un morto che cammina”.
I suoi cinque figli maschi si vedono così costretti ad andare a coltivare le loro terre in assetto di guerra nel timore di agguati. Armati fino ai denti, cominciano a far paura ai criminali: “Coi Sacco capaci di tutto e accussì 'ncaniati, meno ci si fa sentiri e megghiu è”.
Le ritorsioni mafiose non si fanno comunque attendere, e qualsiasi tentativo di denuncia cade nel vuoto: “Avete le prove che sono stati loro?”.
Il peggio arriverà quando la mafia comincerà a servirsi di un'arma molto più potente del ferro e del fuoco: la legge. Sarà infatti la mente machiavellica di un avvocato, punto di riferimento dei rozzi mafiosi del posto, a sferrare i colpi più terribili.
Imbrogliare le carte, trasformare i persecutori in perseguitati e viceversa: ecco il capolavoro.
Ed il piano diabolico riesce in pieno, mentre mani fino ad allora macchiate solo di terra finiscono per sporcarsi di sangue.
Il regime fascista e i metodi discutibili del prefetto Mori (proprio colui che era stato mandato da Mussolini a sradicare la mafia) faranno il resto: i Sacco, socialisti da sempre, vanno presi vivi o morti.
Ed ecco nascere “la banda Sacco”, accusata, tra le altre cose, di avere ucciso due feroci capimafia (strano genere di briganti, che non risponde mai al fuoco delle forze dell'ordine).
Li seguiamo nei rifugi improvvisati, sempre pronti alla fuga, braccati da mafiosi e carabinieri, imputati di tutto l'imputabile anche senza prove. Si fa terra bruciata intorno a loro, arrestando persino l'anziana madre.
Diventano eroi per gli abitanti di Raffadali, ma hanno addosso quella solitudine che contraddistingue chi si ribella al giogo mafioso, e che spesso ne preannuncia la morte.
C'è differenza tra l'essere uccisi e vedersi sottratti quarant'anni di vita?
La triste verità è che la giustizia tardiva non è più giustizia ed ha sempre il sapore amaro della sconfitta.


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Romanzi storici
 
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peucezia Opinione inserita da peucezia    29 Novembre, 2013
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La guerra vista da una donna

Sidonie-Gabrielle Colette, meglio nota come Colette è stata una giornalista e una scrittrice assai popolare nella Francia del Novecento. Temperamentosa e sagace, la donna ci ha lasciato un interessante reportage sulla guerra nato quando, mentre suo marito era stato arruolato a seguito dell'entrata in guerra della Francia nel luglio 1914 a fianco all'Inghilterra contro l'Austria-ungheria, a Colette era stato affidato il ruolo di scrivere sul conflitto dal suo punto di vista per conto di alcuni quotidiani e riviste che la vedevano come corrispondente e collaboratrice. Il risultato è "Le ore lunghe", (perché segnate dall'attesa infinita per l'agognata pace), un libriccino vivace puro stile Colette che ci incanta per la narrazione elegante e mai noiosa e al tempo stesso per il punto di vista dell'autrice mai sciovinista o patriottica bensì pratica: si sofferma sul maritino che in licenza trova una moglie vestita da soldato, sulla fatica che si deve fare per preparare e quindi per approvvigionarsi per un pasto elegante, sui soldati all'ospedale da campo che pur brutalizzati nel corpo restano tuttavia giovani e ottimisti, sulla piccina che si lascia trasportare dal senso patriottico del suo paese pur avendo poco più di due anni, sulla scomparsa di alcuni prodotti di bellezza made in Germany agognati da donne e uomini.
Ironico e tenero, il racconto è un documento sulla guerra delle donne, degli anziani, dei feriti e pur occupandosi anche di argomenti seri o talvolta raccapriccianti riesce a toccare con levità l'attenzione dei lettori.
Belle le descrizioni che la scrittrice fa dell'Italia, tratteggiata con la leggiadria di una pittrice nella sua bellezza. L'autrice si sofferma sulla relazione forte che intercorre tra genitori e figli e soprattutto sul numero di bambini mentre in Francia le signore borghesi si risparmiavano le fatiche della maternità. Il suo occhio benevolo tende però sottilmente pur nell'ammirazione a considerare la nazione italiana ancora selvatica, pertanto bella e buona così come Jean Jacques Rousseau supponeva dei beaux sauvages.
Ottima la traduzione di Angelo Molica Franco che a fine testo ci regala un mini saggio per addetti ai lavori e non facendo venir voglia di leggere ancora la grande Colette o anche di tradurla...

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Colette-letteratura del Novecento-libri sulla prima guerra mondiale
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Romanzi storici
 
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    29 Novembre, 2013
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Vacillante costrutto storico

E' stato dato alle stampe da pochissime settimane il terzo romanzo dello spagnolo Falcones, dopo le precedenti prove de “La cattedrale del mare” e “La mano di Fatima”.

Falcones continua a percorrere la strada del romanzo storico o meglio a sfondo storico, proponendo una ricostruzione delle vicissitudini del popolo Gitano insediatosi in Andalusia nel XVIII secolo.
La scelta del tema intorno al quale porre le fondamenta per una narrazione romanzata è valida, poiché la storia antropologica e culturale dell'etnia gitana è poco conosciuta o almeno lo è in maniera talvolta superficiale.
Falcones partorisce un'idea buona, aprendo il sipario sulla città di Siviglia, ospitante uno degli insediamenti gitani più popolosi del regno spagnolo verso la metà del Settecento.
Come spesso accade gli ingredienti di per sé sono solamente una base di partenza, ma senza la mano di un cuoco esperto, il composto rischia di perdere consistenza.

La penna di Falcones usa e abusa il dialogo, a scapito di descrizioni e parti narrate, perdendosi in vortici lunghissimi e ripetitivi; questa caratteristica produce un effetto deleterio sulla costruzione di uno spaccato storico.
La vera assente di questo romanzo è proprio lei, la ricostruzione storica; dopo averci stuzzicato l'appetito con le prime pagine, catapultandoci in un tempo lontano, a calpestare il suolo spagnolo, tra contrabbandieri di tabacco, lotte tra payos ( sedentari) e gitani, vicoli bui e affollati, donne avvolte in lunghe gonne colorate, uomini pronti a sfidarsi con le lame di affilati coltelli per difendere l'onore, ecco che tutto si intiepidisce, sfumando in un dialogare continuo tra i protagonisti.

L'attenzione peculiare sulle donne, sulla loro condizione all'epoca, siano esse gitane o meno, è encomiabile e si percepisce quanto l'autore abbia voluto dare priorità all'argomento, riportando usanze familiari e sociali, non risparmiandoci scene abiette e crude, vessazioni e violenze; nell'excursus dell'intero romanzo, il tema femminile è sicuramente il più presente ed il più sentito, sul quale la penna dell'autore si esprime passionale ed incisiva.

Rimane un vero peccato che all'interno delle settecento pagine che compongono il grande corpo di questo romanzo, non abbia trovato spazio qualche dissertazione sulle persecuzioni contro il popolo gitano durante il regno di Ferdinando VI di Spagna, qualche nozione specifica sulle tradizioni ataviche di un'etnia dalle origini lontane, qualche approfondimento sull'utilizzo della musica e dei balli di origine gitana all'interno dei salotti e delle corti dell'epoca.

“La regina scalza” è un lavoro dalla mole abbondante, tuttavia non sempre la ricchezza delle pagine corrisponde a quella del contenuto; qualche sforbiciata avrebbe sicuramente contribuito ad una lettura più agile per il pubblico, concentrando il filo conduttore della storia e dando risalto ad alcune belle immagini delle città spagnole e dei loro quartieri, brulicanti di antichi mestieri, di vita, di miseria, di suoni e di colori.

Il romanzo storico è un genere complicato, dove tante sono le componenti e le variabili per una buona riuscita; l'ultimo lavoro di Ildefonso Falcones è apprezzabile ma ancora vacillante il costrutto storico e poco adatto lo stile di scrittura al genere trattato.

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Fantascienza
 
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Pupottina Opinione inserita da Pupottina    28 Novembre, 2013
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Vita di coppia agitata ... da zombie

Obiettivo raggiunto. Gli Acchiappazombie di Jesse Petersen ha raggiunto il suo scopo: divertire e appassionare il lettore, raccontandogli, con sarcasmo e humour, una storia post apocalittica.
È un romanzo per teenager, ma che può divertire anche gli adulti. È un romanzo senza troppe pretese, ma piacevolissimo e leggero. È una fiction rosa a base di cervelli marci per perfetti zombie addicted, per i quali non devono mancare delle belle scene splatter.
A colpire di più è lo stile giovane, incisivo e rapido della narrazione, che procede spedita per duecento pagine regalando vari colpi di scena.
Gli Acchiappazombie è il secondo di una trilogia che vede come protagonisti David e Sarah, marito e moglie in crisi prima dell’apocalisse, che ha decimato il genere umano, trasformandone la maggior parte in famelici e repellenti non-morti.
Il matrimonio di David e Sarah finalmente va a gonfie vele. Da quando il mondo è cambiato, anche loro si sono reinventati. Adesso hanno un’impresa in comune: sono gli Acchiappazombie. Eliminare zombie è diventato il loro lavoro. In giro ci sono un sacco di mostri e, per loro, questo significa molti clienti. Uno di loro, però, gli propone una missione strana: vuole gli zombie vivi, pronti per la sperimentazione. Il dottor Kevin Barnes è uno scienziato e la sua ricerca accende un universo di speranze in Sarah che non ha smesso di sognare un mondo di nuovo zombie free. In agguato, oltre agli zombie bionici, c’è la gelosia, condita con da un forte e accattivante humour nero.
Consigliato a chi è appassionato di zombie story dal ritmo incalzante.

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Fantascienza
 
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    28 Novembre, 2013
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Avvincente

L'incipit del libro colpisce per la scrittura sgraziata e per il ritmo affrettato e eccessivo della storia ma bastano poche pagine per restare avviluppati nell'intreccio e presi dal racconto. Nel mondo sono rimasti pochi uomini (eminidi) poichè un gruppo di scienziati ha trovato il modo di trasformare gli uomini in cannibili (tenebridi), che sono bestie feroci e terribili, molto intelligenti, e, a quanto si intuisce alla fine del libro, con un'anima e una coscienza.
Un gruppo di ragazzi riesce a scappare dalla metropoli dei tenebridi per andare alla ricerca della terra promessa ( promessa dal padre di uno dei ragazzi, scienziato e simil profeta) dove scorre latte e miele. Nel corso della ricerca approdano alla Missione diretta da un gruppo di anziani, un posto equivoco che solleva molte domande e dubbi. In più occasioni sarà messo alla prova coraggio, lealtà e generosità dei ragazzi. Sulla trama non dico altro per non rovinare a nessuno il piacere della lettura.
La conclusione del libro va molto bene perchè non lascia del tutto in sospeso la storia ma apre al terzo volume. Tutto sommato la lettura è molto piacevole e la storia diventa così importante che ci si scorda dello stile e di quello che ci sarebbe da ridire sul ritmo. Credo che questo tipo di libro vada bene così come è scritto, una favola avvincente, con personaggi stilizzati che ripropone valori come il coraggio, la lealtà, l'amicizia, la fedeltà, la generosità che ne fanno una lettura molto adatta a un pubblico adolescente e non solo.

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Hunger games. Consiglio di non leggere subito The pray che è il secondo romanzo della trilogia ma di andare in ordine. Comunque the prey potrebbe essere letto anche da solo.
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Fantasy
 
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Elisabetta.N Opinione inserita da Elisabetta.N    26 Novembre, 2013
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Notturni vs Daemones

Dal momento in cui ho posato gli occhi sulle prime parole di questo libro, non le ho più staccate finché non ho letto l'ultima.
Davvero avvincente!
Nonostante le poche pagine, la scrittrice è riuscita comunque a farmi entrare nel suo mondo dove troviamo Daemones (il "virus") e Notturno (la"cura").
Ho potuto conoscere Josè, il protagonista, un Notturno. E l'ho conosciuto davvero! Ho visto che nonostante una vita in cui è ben inserito, si sente un po' solo.. Ha amici e persone che gli vogliono bene, ma ha conosciuto il suo desiderio di avere una vita normale, una dove non muoiono 7 donne su 10 di parto..
E poi c'è Maria, una ragazza appena contagiata dai Daemones, ma che, non si sa per quale motivo, riesce a mantenere la sua umanità.. Un evoluzione dell'uomo contro il virus dei Daemones, la possibilità della salvezza..
E poi? Ah, sì, c'è anche un pizzico d'amore che non guasta mai in nessun romanzo, nato dapprima da curiosità e gratitudine, ma alimentato da un autentico affetto reciproco nonostante tutto..

Mi è piaciuto molto lo stile della scrittrice che inserisce, ogni tanto, parole tipiche spagnole.. Questo non rallenta la scorrevolezza del testo e da un tocco di originalità in più.

Tanti tantissimi eventi racchiusi in questo libricino.. e la speranza che la storia non finisca qui...

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Gialli, Thriller, Horror
 
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GLICINE Opinione inserita da GLICINE    25 Novembre, 2013
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PANDORA

Lo scrittore è alla prima pubblicazione, laureato in informatica con una specializzazione in intelligenze artificiali. Proprio questa sua competenza, gli ha permesso di scrivere questo thriller originale.
DINA (Distributed Intelligence Network Agent), è un nuovo software molto particolare, messo a punto dall’azienda che fa capo a Mark Helius. Tale software ha un’innovativa interfaccia che permette un utilizzo semplice ed intuitivo. Basta porre domande di qualsiasi genere, ed una voce femminile risponderà in modo esauriente e competente, al quesito rivoltole.
Durante la presentazione del progetto però qualcosa va storto, DINA commette degli errori tali, che sfuma per Helius, la possibilità di ottenere finanziamenti che permettano di proseguire il perfezionamento e la distribuzione di DINA. Inoltre Mark ha già grandi problemi finanziari e per la ditta, a questo punto, è prospettata la chiusura.
Per non parlare del fatto che viene ritrovato morto, il socio di Mark, Ludger Hamacher.
Helius viene incriminato della morte, inizia così una caccia all’uomo che porterà Mark a fuggire. Cercando il vero colpevole del decesso del socio ed amico, scoprirà una verità ancora più agghiacciante, il software DINA è stato modificato a tal punto che ha iniziato ad infettare la rete come un virus letale difficilmente identificabile….
E’ una lotta contro il tempo, una lotta contro un’intelligenza artificiale superiore che, non vuole “morire” ed è disposta ad uccidere pur di continuare a sopravvivere…..
DINA è stata dunque modificata in PANDORA temibilissima “macchina” della morte…
Mark Helius da uomo di successo facoltoso, con un tranquillo matrimonio, si ritroverà sull’orlo della bancarotta, con il matrimonio che cola a picco alla stessa velocità della sua credibilità, fama e conto in banca…. Ed inizierà una lotta contro il tempo con Lisa, giovane programmatrice, licenziata da poco.
Riuscirà a risolvere la situazione personale e MONDIALE?
Thriller interessante, all’avanguardia. Sondare le possibili “azioni” di un software avanzatissimo, a discapito dell’umanità intera è veramente raggelante.
“ Internet è ormai da tempo la colonna portante dell’intero sistema-umanità” ,non so se poter essere in grado di confutare questa frase tratta dal libro…. Diciamo pure che nei paesi sviluppati, forse la realtà è proprio questa..
L’autore è stato in grado di tenere alta la tensione costantemente, con una storia ben articolata, ricca, ma fluida nel proprio scorrere, i personaggi sono molti, ma tutti ben descritti e collocati. La storia se pur ai limiti della fantascienza risulta essere credibile.

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Ne consiglio la lettura agli amanti dell’informatica, ma anche a chi desidera una storia di tensione con un finale non scontato e non banale, senza descrizioni raccapriccianti di cadaveri e torture.
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Romanzi
 
Voto medio 
 
4.0
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4.0
Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    25 Novembre, 2013
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Perchè?

Un uomo che conosce le risposte a tutte le domande, tranne forse quella più importante, è al centro di questo giallo: una figura oscura, con gli occhi tristi, sola. Ed il fatto di conoscere tutta la verità, che potrebbe essere un dono, vista la sua storia personale, è per lui più un fardello che non una risorsa. Il giallo si apre con un interrogatorio con domande dirette, una sfida vera e propria, fatta di parole non dette e di domande non fatte, da cui già si comprende quanto quest'autore sa scrivere bene. Proseguendo nella lettura scopriamo cosa è successo prima di quell'interrogatorio, cosa porta a quel momento, cosa succede dopo, e cosa è successo molto molto tempo prima. Buona ed originale la struttura della storia, altalenante ed accalappiante. Si percepisce inoltre il dolore vero alla base di questa vita, perchè dagli occhi puoi capire quanto una persona ha sofferto nella vita. E la sofferenza rende docili e saggi.

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Autori italiani
 
Produzione letteraria 
 
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silvia t Opinione inserita da silvia t    25 Novembre, 2013
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Introduzione alla lettura di Matilde Serao

L'Uomo dopo aver letto “Mastro Don Gesualdo” non resiste alla tentazione di approfondire questo autore che come una epifania gli ha svelato un mondo dimenticato e sconosciuto, uno stile asciutto ma penetrante e così decide di leggere altre opere e rimane così incantato ed estasiato che al sentire della presenza di una grande fiera di libri vecchi e antichi in una grande fortezza della città vicina decide di andare a fare una capatina, giusto per non girare sempre tra le copertine patinate e i nuovi ebook in promozione, ma per respirare quell'odore strano di libri antichi o solo vecchi e incontrare improbabili librai che tra un milione di parole e l'altro riescono a tirare fuori dai loro banchi, in un ordine che a solo loro come una alchimia arcana riescono a comprendere, il libro desiderato ancora prima che il desiderio si palesi alla coscienza del lettore.
Sarà l'assidua attenzione che l'Uomo ripone sui libri di Verga, sarà che certi librai capiscono tutto dalla fisionomia, sarà il caso, fatto sta che un omino si stacca da un capannello di persone e prende posto al suo banco orfano da tanto, forse troppo tempo; osserva l'Uomo, gli si avvicina e comincia a dare un apparente ordine ai volumi, toccandoli con lievità e con attenzione; l'Uomo si scosta, in un movimento spontaneo e dà al libraio il la per iniziare a parlare, a tirare fuori libri da tutte le parti e a poco valgono i vani tentativi di fermarlo, ormai la fontana è aperta e i volumi zampillano non si da dove, pare impossibile che quel banchetto possa contenerne tanti; è tra questo lago di libri che ha aggiunto un nuovo ordine a quello già incomprensibile presente sul banco che compare un vecchio libro su cui è solo presente un nome: Matilde Serao.
Il libretto è di quelli vecchi, con la copertina in pelle, la costa rotta, ma le pagine seppur ingiallite e piene di fioriture sono leggibili, quasi preso da una illuminazione l'Uomo lo prende tra le mani e inizia a leggere: “ 1. Bisogna sventrare Napoli. Efficace la frase. Voi non lo conoscevate, Onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve sapere tutto.”
Il libraio si compiace di se stesso per aver accontentato il cliente e lo osserva nella lettura e ancora prima che l'Uomo possa togliere gli occhi dalle vecchie pagine l'omino si materializza davanti a lui coperto di altri libri almeno fino al naso che fa capolino da quella pila...tutti i libri che è riuscito a trovare nei banchi dei colleghi scritti da Matilde Serao sono sulle sue braccia pronti per essere acquistati e poi letti.
Fin dalle prime pagine tutta la potenza della Serao si sprigiona, quel suo modo così diretto e dissacrante di rivolgersi ai politici, di svelare ciò che deve essere nascosto.
Salutato il librario, che si dilunga in articolate descrizioni di opere d'arte di sconosciuti artisti locali ai quali ha la fortuna di fare da mentore e riempita la borsa, oltre che di libri, di depliant, cataloghi e programmi di incontri culturali in ogni dove, l'Uomo riprende la via per la stazione assaporando già il dondolio che lo porterà a casa. 
Sul quel treno decide di leggere uno degli innumerevoli racconti, gli cade l'occhio su uno in particolare “La fioraia”; lo inizia con quasi un sorriso generato dall'immagine allegra e spensierata che il titolo richiama, lo conclude con una stratta alla gola, un senso di ingiustizia, un magone allo stomaco che non riesce a decifrare, una sola cosa vuol fare, conoscere la vita di questa donna, colmare una lacuna per troppo tempo presente nella sua vita!
Invece di tornare a casa decide di andare in biblioteca, perché, sembrerà strano, ma il piccolo libraio non aveva inserito nella borsa nessuna biografia, nessun saggio critico, ma solo volumi originali sui quali non è presente alcun cenno biografico.
I lunghi corridoi gli si dipanano davanti fino al libro tanto cercato.
“Matilde Serao nasce a Patrasso nel 1856”, la memoria dell'Uomo corre ad una data che ha letto poc'anzi in calce a “Il ventre di Napoli” - 1884 -; questo vuol dire che questa donna, quando ha scritto quelle parole così piene di forza, così paurose nella loro veridicità, così pericolose nella loro sfrontatezza aveva ventotto anni, sette in meno di quanti ne abbia egli adesso; quanto poteva essere vera una donna alla fine dell'ottocento, quanto poteva essere forte, quanta femminilità esisteva in essa, anche se priva della grazia, della bellezza, dell'eleganza. 
Nel 1884 le donne non potevano votare, non erano avvezze ad esprimere le proprie opinioni; nel 1884 le donne dovevano pensare a maritarsi e a figliare; Matilde Serao si occupa di politica, scrive un reportage nel ventre di Napoli da far invidia ai maschi più virili, ai giornalisti più scafati; a tutti coloro che nascondono la testa sotto l'immondizia di cui, fin da allora, era coperta Napoli, Matilde prende il collo e tira fuori il capo e costringe a guardare.
“Respira fin da piccola l'aria del giornale, suo padre Francesco infatti, oltre ad essere un avvocato, è anche giornalista, ma la piccola Matilde non è una alunna modello, anzi, imparerà a scrivere ad otto anni,”- allora c'è speranza per tutti, pensa l'Uomo ricordando quando ancora piccolo consigliarono a sua madre di dargli l'insegnante di sostegno - “ma la passione per l'inchiesta, quegli odori respirati quando ancora il conscio e l'inconscio sono un tutt'uno le si erano così cuciti addosso da non essere più qualcosa di diverso da lei stessa, così a quindici anni si diploma, diviene maestra e poco dopo inizia a collaborare, nel tempo libero, con alcune redazioni. Per qualunque altra persona questo sarebbe stato sufficiente, non per Matilde, ella aveva un fuoco dentro, una missione, uno scopo: la scrittura doveva diventare la sua professione e il suo tempo essere assorbito in tutto e per tutto da essa. Va a Roma, collabora con giornali locali e scrive, scrive, scrive, pubblica “Fantasia”, che non trova i favori della critica. Scarfoglio scrive: poco stile, poca ricchezza nel lessico, troppi modi di dire, insomma una minestra fatta di avanzi.
Matilde quest'uomo così pieno di sé, così imperioso nel suo giudizio, finisce per sposarselo e per coronare quel suo desiderio, essere un tutt'uno con la sua passione, ci fonda un giornale: Il Corriere di Roma.
Non ebbe successo, troppa concorrenza, troppa vita sociale e altolocata, troppa la lontananza da casa. Come anni prima fuggì da Napoli alla ricerca di nuove strade, nel 1887 ritorna al suo mare, ai suoi vicoli, alle sue origini e dopo molte vicissitudini, col marito fonda “Il Mattino” e questo è l'apice della sua vita, la vetta da cui domina il suo passato, ma purtroppo anche il suo futuro, poiché dopo sarà discesa, saranno delusioni, sarà tradimento e avvilimento, la separazione dal marito, le calunnie sul suo conto, la povertà, vecchia amica ritrovata.
Solo dopo qualche anno un po' di felicità tornerà a far breccia nella sua vita, Giuseppe Natale altro giornalista la prenderà in moglie e riaccenderà quel fuoco mai spento, fonderanno insieme “Il Giorno” e Matilde scriverà scriverà, perché nient'altro le darà tanto piacere, niente potrà farla sentire completa, realizzata, morirà colta da un infarto sul tavolo intenta nella morte a fare ciò che per tutta la vita aveva guidato la sua mano: scrivere”
Una sirena distoglie l'Uomo dal libro, la biblioteca chiude, è ora di tornare a casa, più ricco, più emozionato di come era partito, con una nuova vita da vivere, nuovi scorci da vedere, nuove avventure da immaginare.

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Romanzi autobiografici
 
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    22 Novembre, 2013
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Molto è possibile

La cosa migliore del libro è sicuramente il bel carattere di Lisa che traspare dalle righe del suo diario: Lisa è una persona attiva, vitale, curiosa, entusiasta, impulsiva, attratta dalle novità e piena di voglia di vivere. Nonostante gli alti e bassi si capisce che ha un'ottima autostima e riesce a guardare avanti senza rimpiangere (quasi mai) quello che si è lasciata alle spalle. Credo che la sua fiducia e il suo modo di attraversare la vita senza guardarsi troppo intorno, di sferrare l'attacco senza fare troppi calcoli preventivi sui propri mezzi e possibilità di successo, possano dare uno stimolo positivo al lettore impantanato in qualche situazione cronica che non riesce a troncare. Lisa guarda avanti piena di fiducia ma con la saggezza del giardiniere che sa che tagliare i rami secchi, potare la pianta porterà alla fine, magari non subito, frutti e benessere.
Il libro è un ibrido tra un' autobiografia e un saggio in cui vengono affrontati vari temi partendo da un interesse o da un episodio della vita di Lisa. Sia le confidenze autobiografiche che i temi più generali (es tempo, salute e medicina/il cammino verso la salute/ pissicologia ecc...)sono trattati en passant, senza soffermarcisi troppo e senza entrare nei dettagli, per esempio del rapporto con un'amica o con un compagno. Così su ogni episodio della sua vita, Lisa ci dà un'idea chiara ma usando grandi pennellate. Il libro è diviso in capitoli brevi ognuno dei quali affronta un tema o un ricordo particolare, tra cui molti capitoli chiusi (gli ex). La scrittura risulta efficace e bella soprattutto nella prima parte, quella dei capitoli chiusi. I vari episodi si intersecano in modo interessante e la scrittura rende bene l'idea anche di quello che Lisa pensa (senza però appesantire il testo dicendolo troppo a chiare lettere). La prima parte è molto più autobiografica e narrativa, meno piena di opinioni e io l'ho trovata migliore della seconda. Dopo il libro cambia registro e anche gli episodi autobiografici sono meno interessanti. Il libro perde un po'. In questa parte Lisa prende molto più spesso lo spunto per dissertare su argomenti vari. Ma le opinioni, pur condivisibili, (io condivido più o meno tutto quello che ha detto), se non sono particolarmente originali e interessanti appesantiscono un testo. Un'opinione per risultare interessante dovrebbe essere sviluppata molto più in profondità o contenere un'intuizione geniale o magari tutte e due le cose.
Comunque, il carattere vitale e il pensare sempre positivo di Lisa credo che potrebbero colpire e essere apprezzati da diversi lettori.

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Consigliato a chi ha letto...
... a chi è depresso, si trova in un periodo di stasi e non riesce a prendere la decisione giusta per dare una svolta alla sua vita. Il libro trasmette una carica di ottimismo e di fiducia nel futuro e nei propri mezzi.
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Romanzi
 
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Pia Sgarbossa Opinione inserita da Pia Sgarbossa    22 Novembre, 2013
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QUATTRO PERSONAGGI IN CERCA DI ... PACE .

Genitori amati , mancati , voluti, desiderati, autoritari, odiati...
Sono quattro i protagonisti di questo racconto, che all'inizio si muove lento , per poi prendere un ritmo sempre più veloce, fino a quando un intreccio inaspettato ti sa coinvolgere appassionatamente.
Il rapporto affettivo con i genitori segna in modo definitivo l'evolversi della loro vita .
Un odio verso il padre che porta Rosa ad una inazione che sarà fatale e per la quale soffrirà tantissimo, fino a quando, grazie ad un grande gesto d'amore, riuscirà a trovare la via d'uscita verso una nuova libertà.
Alvise a cui è stato negato l'amore...vivrà un'intera vita senza essere in grado anche lui di offrirne; la realizzazione di un libro diventerà l'unico suo nuovo scopo di vita.
Arianna che sin da piccola ha vissuto una condizione di inadeguatezza, trova un suo modo di vivere parallelo a quello reale...è lei l'anatroccolo della situazione.
Andrea che al contrario di lei non sa immaginare; lui vive solo di una certezza, che gli viene data dalla sicurezza del suo ambiente "casa".
Intrigante diventa a mio avviso la narrazione quando comincio a scoprire le prime relazioni tra i vari personaggi...a tal punto da giungere a provare ad anticipare gli episodi...
Un finale che offre di tutto e di più: fallimenti, liberazioni, ... nuovi e inaspettati orizzonti sereni di vita.
Un libro che invita a riflettere sull'educazione affettiva dei ragazzi e che porta a comprendere la valenza educativa dei genitori e il segno indelebile che ogni ragazzo tiene in sé per sempre, a memoria di ciò che è stato loro offerto o al contrario negato.
Io , che oberata da tanti impegni di lavoro, mi sono accinta alla lettura di questo libro, ho provato la difficoltà di riprenderlo in diversi momenti.
E' per questo che ne consiglio una lettura continua e lineare , al fine di seguire da vicino e con attenzione i quattro personaggi nello svolgersi delle loro vicissitudini.
Buona e interessante lettura a tutti!
Pia

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Consigliato a chi ha letto...
A chi desidera comprendere possibili percorsi affettivi e rapporti tra genitori e figli.
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Economia e finanza
 
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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    21 Novembre, 2013
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L'ARTE DI VENDERE SENZA PAROLE

Quante volte appena entrati in un negozio, assaliti dalla commessa addestrata alla vendita che sorridendo ci aveva chiesto “Ciao, posso aiutarti? Cercavi qualcosa in particolare???” a cui aveva fatto seguito il nostro “No, grazie davo solo un’occhiata”, e il suo “Ah ok (deluso), se hai bisogno chiedi pure!", abbiamo abbandonato quasi scappando il possibile parco giochi del nostro tanto agognato stipendio appena giunto sul conto corrente??

In tempi di crisi più che mai, appena varcata la soglia di un negozio, qualunque esso sia, si viene subito individuati dalle commesse di turno, che abili come avvoltoi in cerca della loro preda, puntano il cliente al fine ultimo di farlo uscire spennato, con le tasche vuote e con la carta di credito fumante, felice o meno non è dato sapersi!

Questo libro aiuta le persone che lavorano col pubblico, (si spazia dai negozi di abbigliamento alle concessionarie d’auto), a trattare il cliente coi guanti, a farlo sentire a suo agio, dal primo all’ultimo momento, dall’acquisto all’uso dell’oggetto desiderato e comprato.

Vengono messi in evidenza i comportamenti sbagliati, le modalità per far si che il cliente ritorni e che consigli anche ai propri conoscenti il punto vendita dove ha fatto il suo meraviglioso acquisto; si evidenzia il modo di porsi nei confronti dei possibili acquirenti, come riuscire a porsi sulla sua stessa lunghezza d’onda, ben sapendo che ogni cliente è a sé, che ognuno è portato ad entrare in un determinato negozio per un preciso motivo; che ognuno ha il suo carattere e che sta proprio al bravo venditore capire come gestire ogni cliente, ciò spesso è si molto difficile, ma riuscirci è come fare un terno al lotto: ci si è acquistati, o meglio conquistati, un cliente e si sa… normalmente quando si è soddisfatti del proprio negozio di fiducia, si torna sempre e solo lì, non solo per la merce che è in vendita ma anche per le persone che si trovano dietro al bancone!

Un libro da leggere per migliorare i propri rapporti interpersonali: nella vita di tutti i giorni la comunicazione non verbale dice più di mille parole, fateci caso!

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Racconti
 
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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    21 Novembre, 2013
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I facilitatori

Tre racconti. Tre storie di tre vite di persone che si trovano di fronte ad una scelta. Sono forti, a mio parere, in queste pagine gli influssi della letteratura e della scrittura di Paulo Coelho, sia nello stile, sia nei contenuti. Questi tre personaggi si trovano di fronte ad incontri inaspettati con estranei che hanno la funzione di facilitatori, nel senso che mostano loro la via da percorrere per osservare il proprio mondo interiore. E' incredibile come in noi, qualcosa, in rari momenti, si svegli e ci metta di fronte a noi stessi in maniera imparziale ed oggettiva. I racconti quindi ci portano a riflettere quanto è importante guardarsi dentro, scoprirsi, conoscersi, perchè non bisogna avere paura di occhi che conoscono il dolore, nè di sentire scorrere il proprio sangue, che ha il colore della sincerità. Personalmente il racconto che ho amato di più è stato il secondo, un pò surreale, ma mi ha profondamente colpito. Buono lo stile di questi racconti, scorrevole. Buone le idee e le fotografie che i racconti immortalano nel nostro immaginario.

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Romanzi storici
 
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Nadiezda Opinione inserita da Nadiezda    18 Novembre, 2013
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L’Orto di Guerra

Questo romanzo che ho appena terminato che cosa mi ha lasciato?
Purtroppo niente, per esserne certa l’ho anche letto due volte, ma il risultato è sempre lo stesso, non mi è proprio piaciuto.
La storia narrata è opera della fantasia dell’autore, è ambientata in Valle Camonica e si sa che siamo negli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Le descrizioni sono povere e molte volte fanno perdere interesse al lettore, almeno nel mio caso è stato così.
Il libro è diviso in brevi capitoli, ma molto spesso danno quasi l’idea che ognuno di essi descriva una storia diversa da quello di prima, non danno continuità al romanzo perché non sono ben collegati e tutto ciò fa ingarbugliare ancor di più le idee al lettore.
Lo stile di scrittura è semplice e fortunatamente non ho trovato errori grammaticali.

Passiamo alla trama del libro.

Come dicevo prima la storia si svolge durante la Seconda Guerra Mondiale, più precisamente nel 1943 in Valle Camonica.
In questo periodo era nato l’Orto di Guerra detto anche Orto Fascista, una piccola area pubblica che veniva affidata e curata dalla popolazione del luogo.
In questo periodo l’occupazione tedesca aveva raggiunto anche questi luoghi e molti abitanti stufi di veder girare nel loro paese i “dannati tedeschi” avevano deciso di progettare un attentato verso di loro che però non andrà a finire come si era pensato.
Tutto ciò farà scatenare un bel pandemonio, nel quale entrerà a far parte anche un prete poco fedele ai sacramenti ed una donna bella, ma turlupinata da molte persone.

Che altro dire?
Ho notato molto spesso che l’autore per “allungare il brodo” ha inserito storie che non interessavano molto la trama principale, probabilmente, anzi quasi sicuramente, tutto ciò ha fatto perdere bellezza al libro.
Io sono molto appassionata di libri ambientati negli anni della Prima o della Seconda Guerra Mondiale, ma questa mi ha veramente deluso.
Mi dispiace per l’autore, ma vi auguro una buona lettura incentrata su altri romanzi di questo genere.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    18 Novembre, 2013
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OMBRE NELLA CITTA’

Un giovane scrittore vede finalmente arrivare il momento tanto atteso della pubblicazione del suo libro: David è con la moglie Dawn, sostenitrice del suo estro creativo, quando nel grande giorno in cui si decidono le sorti della pubblicazione del suo libro, si imbatte in uno sconosciuto… “Ricordati di me” sono le parole che gli giungono alle orecchie e al cuore, eh si perché da quel momento iniziano a tornargli alla memoria ricordi nascosti in fondo alla mente, pomeriggi d’infanzia passati sotto a un tavolo per non sentire i frequenti litigi dei genitori, giochi in compagnia di… chi?

Nello stesso momento John e Kristina sono sulle tracce di uno stalker: qualcuno sta seguendo da qualche giorno Catherine, amica e compagna di lettura di Kris. Che sia uno spasimante segreto? Un ex ancora innamorato di lei? Un semplice malintenzionato? I dubbi crescono quando i due vedono effettivamente che un individuo magro, con un cappotto lungo e nero segue Catherine in ogni suo passo per la città. Cosa vorrà da lei? Per quale motivo la segue quando va a fare la spesa e quando va a prendere a scuola le sue bambine?

Ombre? Fantasmi? Proiezioni della propria persona? Amici immaginari dimenticati? Chi sono queste persone che solo in pochi riescono a vedere? Cosa vogliono? Dove e come vivono?

520 pagine per raccontare non tanto un thriller, a mio parere, ma un racconto di fantascienza con un finale quasi noir; dopo trecento pagine in cui il lettore si aggira confuso per la città insieme ai protagonisti, confusi più di lui, per cercare di intuire il nocciolo della trama e il probabile finale che ancora non si delinea, dopo varie rivelazioni, veritiere e false, inserimenti di personaggi e di storie di cui non si capisce il collegamento con la storia principale (quale poi sarà mica l’ho ancora capito…) si arriva finalmente alle tanto agognate pagine finali (evviva, finalmente capirò qualcosa!!), in cui, ahimè, la confusione regna sovrana e il finale, seppur più thriller delle precedenti 400 pagine, non dà una spiegazione logica al mio voler sapere perché diavolo delle ombre, che non si capiscono cosa siano, vogliano far del male alle persone reali!!

Se a questa confusione aggiungete la scelta dello scrittore di narrare le avventure di John in prima persona, senza capire anche qui il perché di questa decisione (ma insomma sarà lui il vero protagonista di questo libro si o no???), arriverete alla saggia decisione di non acquistare questo libro! (Ma se proprio la vostra curiosità raggiungesse livelli stellari, ve lo invierò più che volentieri!)

Insomma: statene alla larga.

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Romanzi
 
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JUNE Opinione inserita da JUNE    16 Novembre, 2013
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inutilmente si cela il teatro vitalizio

A volte ho covato l'immaginario di interfacciarmi ,in occasioni quotidiane,con grandi scrittori o personaggi storici,di volerli al mio fianco in questo tempo attuale e da questo spassoso e surreale immaginario mi nasceva un sorriso interiore di profonda consolazione..chi di noi non l'ha mai,per un momento soltanto,desiderato?
Chiacchierare alla fermata di una metropolitana con Proust dell'inquinamento mentre indossa i suoi guanti canditi e reclama una tuta iperbarica per vivere in questo suo futuro e nostro presente carico di polveri crudeli..
Lui,così ossessionato dai germi....diverrebbe il capo dell'insostenibile pesantezza dei tempi moderni!

Tutto questo per dirvi che in queste burle irreali Kundera mi è sempre stato complice,strizzandomi l'occhiolino.
Anche in quest'ultima sua opera l'autore richiama,momentaneamente all'appello,il grande dittatore Stalin,il focolaio delle sue ferite interiori,per farlo diventare,nella sua immaginativa scenetta,una suocera paranoica da orinatoio facendoci sorridere poiché,in fondo,l'ironia e l'autoironia salvifica privandoci del nostro più tenace attaccamento a noi stessi,concedendoci il segreto recondito della nostra inesistente importanza.
Ebbene si,quel Ceco inconsunto,che ci ha lasciato uno dei libri più conosciuti di sempre,ci regala una “pièce cartacea” breve ma destabilizzante.

Il suo girone umanistico é percorso e si fa percorrere in sette capitoli che sembrano celare l'apertura di quesiti già intrinsechi di risposta,una risposta beffarda e sfuggente che non può non spingerci a valutare la nostra infinita inutilità e destrutturazione.
Sedimenta tra le pieghe un entourage di nichilismo in questo sortito menage composto da cinque personaggi che ruotano sul palcoscenico come marionette ben calibrate,entrando in scena a turno e portando a compimento la sensazione fuorviante di chi muove i loro circuiti.

lo smarrimento lo si percepisce dal concetto di apertura del racconto che inizia cercando il significato di una delle forze primordiali che crea autocoscienza dopo il cibo:l'eros,un eros che é stabile come potenza inconscia ma che si veste di canoni diversificati per sedurci a seconda delle epoche.
Ci spiazza con l'omologazione di ciò che é sempre stato fonte di ammalianti pulsioni,di rottura di pudore nel corso della storia,simbolo dell'amniotica nutrizione,di ciò che é scolpito su di noi come un segno distintivo:l'ombelico.

Le occasioni,tra le pagine,sono molte per buttare sul piatto concetti che annientino e provochino in questo sceneggiato che si muove tra tre ,massimo quattro,scenografie.

Ho letto questo racconto due volte perché un passaggio non era abbastanza generoso per rubare,farmi svelare,afferrare quello che l'autore,burlandosi di me, ha voluto farmi credere depistandomi e vi dirò che il suo fascino é che ancora non ne sono totalmente convinta perché inerme.

Probabilmente la distopia é solo un'utopia che non ha ricordi di se stessa o
forse semplicemente sto dicendo un mucchio di baggianate


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Racconti
 
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    12 Novembre, 2013
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SCONFITTE SOLITARIE, MIRACOLATE DAL RICORDO

Nei primi mesi della nostra vita percepiamo, amiamo ed esploriamo senza usare le parole. Impariamo presto a dare un nome alle nostre esperienze: le parole stesse sono indispensabili per costruire un mondo riconoscibile e a misura umana, che sia in grado di includere l’esistenza degli altri e dell’altro. Ma rimane, comunque, il ricordo implicito dei tempi in cui la parola non c’era. E insieme al ricordo rimangono, esili ma tenaci, spazi e dimensioni che la parola riesce soltanto a sfiorare.

Se non possiamo raccontare, o possiamo raccontare poco, la parola deve allargarsi a richiamare e ricamare, per girare intorno a ciò che non è stato ma poteva essere, a ciò che è stato ma non si può dire, a ciò che forse non è reale o forse lo è troppo per i nostri sguardi limitati.

Il racconto a volte è presente anche in quest’opera “in bilico tra follia e realtà”. La vita e la morte si fanno strada a poco a poco, sempre sotto un velo tenue: storie dai contorni molto forti, violenti; storie che non seguono la linea abusata del tempo. Altre volte la traccia temporale si annulla, lasciando spazio ad altri tipi di strutture, che stimolano memorie, sinestesie, echi di significato: residui solidi di ciò che solido non è.

Non si leggono d’un fiato, le parole di questo librino. Si gustano a poco a poco, come un liquore molto forte. Distillato per gli intenditori.

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"racconti e non racconti, tra evocazioni e sprazzi di vite impossibili".
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Gialli, Thriller, Horror
 
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Maso Opinione inserita da Maso    11 Novembre, 2013
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J.K., io t'aspetto!

Molto tempo fa sentii mio padre pronunciare una frase che è rimasta in un limbo mentale abbastanza fragile perché io potessi rimuginarci sopra per un lungo periodo. Niente di eccezionale in realtà. Disse: “Ormai ha già dimostrato tutto. Può fare quello che vuole.” Si riferiva a un cantante molto noto e molto amato, discorrendo sul suo strampalato nuovo singolo.
Ebbene, a distanza di anni questa frase mi torna alla mente, spolverata e illuminata da un’acquisita propensione, ahimé, per il moralismo. Se qualcuno che ha già dimostrato appieno le proprie capacità si può permettere qualche colpo di mano, qualche nuova uscita magari di qualità inferiore allo standard lungamente proposto con i propri trascorsi, qual è la discriminante che separa il vistruosismo dalla speculazione? Non pretendo, tramite cervellotiche elucubrazioni , di perseguire una risposta soddisfacente. Mi limito ad osservare i fatti e ne traggo le conclusioni più ovvie. E la più ovvia, naturalmente a proposito del romanzo “Il richiamo del cuculo”, è che, sfortunatamente Robert Galbraith non esiste. E assieme a lui non esistono tutte le possibili attenuanti che spieghino la pubblicazione di un libro mediocre. Se fosse esistito sarebbe magari stato un giovane scrittore esordiente, alle prime armi, con tante idee e poca pratica. Sarebbe potuto essere un avvocato di mezza età che, in preda all’omonima crisi, avesse buttato all’arie scartoffie e stress quotidiano per dedicarsi alla scrittura creativa. Ma non c’è nulla da fare, Robert Galbraith non esiste. Al suo posto vi è, dolorosamente, un’eminenza mascherata. Una dea della creatività, una sacerdotessa della prosa. J.K. Rowling mi procura un grande dolore, tanto quanto me lo procura la lettura di questo romanzo, accettabile se fosse stato scritto da uno degli ipotetici autori suddetti, terribilmente e irreparabilmente modesto se proveniente dalla penna della Rowling. Ma questa penna, cosa non poco rilevante, è d’oro zecchino, incrostata di pietre e in cerca di un’idonea compagnia.
Insinuare una speculazione editoriale è certamente rischioso, pretenzioso e di cattivo gusto, e non è certamente nei miei intenti. A parlare per me sono fatti inconfutabili. “Il richiamo del cuculo”, infatti, nei primi tre mesi dopo la pubblicazione ha venduto in tutto il Regno Unito l’imbarazzante somma di 1500 copie. Ma, sorpresona, dopo la grande rivelazione sulla paternità del libro, ecco che la mattina immediatamente dopo le copie vendute avevano raggiunto la quota 7,5 milioni. La notizia, che non necessita un commento, è, nel mio personalissimo caso, la forza più potente che agisce sull’ago della bilancia, portandolo nella parte più instabile e pericolosa del quadrante. Con grande tristezza.
Se con “Il seggio vacante” avevo piacevolmente ritrovato tutti i topos, sebbene abilmente rivisitati, di un’autrice che mi ha cresciuto (assieme a qualche altro milione di adolescenti in tutto il mondo), con questo ultimo lavoro trovo solo il piacere della lettura, derivante da un eloquio verbale sempre scorrevole e accurato, ma nulla di più. E non basta certo una musicalità, una godibilità visiva a fare di un romanzo, tanto più un romanzo giallo, un buon lavoro.
Cormoran Strike è un personaggio con un grandissimo potenziale rimasto totalmente non sfruttato, che diventa presto convenzionale. E, anche in questo caso, non basta una gamba mancante e una madre con un passato da groupie a rendere originale e tridimensionale un protagonista. Assieme a lui un girotondo di personalità che simulano nel loro insieme, con troppa nitidezza e troppo manierismo, il catalogo di volti e di comportamenti tipico del giallo britannico vecchio stile.
Neppure Lula Landry, la bella Nefertiti della moda, la top-model mozzafiato acclamata che viene trovata morta a molti metri sotto il balcone della propria abitazione, è riuscita a smuovere qualcosa nella mia considerazione. Le indagini che l’investigatore privato Cormoran Strike conduce, appoggiato dalla nuova segretaria Robin, sulla morte di Lula, deciso a scartare l’ipotesi troppo inverosimile di un suicidio, non sono altro che un viavai di facili interrogatori privi di mordente, in cui la suspance non è di casa.
Un piccolo piatto romanzo, questo della Rowling. Un giallo edulcorato e fumettistico. Un fallimento mascherato e non accettato, che ha avuto bisogno del nome del proprio autore per vendere, esattamente ciò che, a parer mio, non dovrebbe accadere se si segue un principio meritocratico che verte sulla qualità del lavoro piuttosto che sulla fama di chi lo ha scritto.
E, concludendo in amarezza, la situazione non sembra assolutamente sull’orlo di un cambiamento di rotta. La nostra amata scrittrice, senza ironia, non nasconde l’idea di in possibile seguito a questo romanzo, tanto per confermare la propria assoluta noncuranza nell’abbandonarsi ad una carriera che l’ha portata ad essere una delle donne più ricche del mondo e che dischiuderà per lei chissà quali altre porte.
A tutta la parte di lettori che, lecitamente, non ha amato visceralmente tutto ciò che è uscito dalla penna della Rowling sembrerà eccessivo un tale grado di amarezza. Ed è a loro che consiglio spassionatamente di non fermarsi di fronte all’opinione di un singolo lettore deluso, ma di buttarsi nella lettura di questo romanzo, che sicuramente risulterà piacevole, se non bello. A tutti quelli, invece, che sono rimasti scottati non rimane altro che aspettare e avere in buon senso di dare un’altra chance a chi se lo merita.
(Sia chiaro, J.K., in nome dei vecchi tempi.)

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Gialli, Thriller, Horror
 
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    11 Novembre, 2013
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ManiDURFocomio

Piramide di Cheope teutonica, Burj Khalifa germanico, i romanzi di Wulf Dorn hanno in comune un valore progressivo : la scalata verso il cielo di un elemento che sovrasta in altezza gli altri. 
Ogni suo nuovo lavoro eccelle, migliora rispetto al precedente, invoca tentatore il peccato originale del thriller, quella violazione irresistibile ed irredimibile che invita maliarda il lettore ad aprire le ultime pagine del benedetto libro, in un'arroganza prevaricatrice e smaniosa di sapere che diavolo succedera', insomma.
Io che sono una santa donna ho resistito, pero' che fatica.

Diciassette anni che bella eta', la scuola, le vacanze estive, le feste, i ragazzi.
Pazza.
Un ricovero in una clinica psichiatrica, farmaci, terapia.
Pazza.
Diciassette anni e doversi conficcare le unghie nei palmi, per distinguere la realta' dall'incubo, la verita' dall'allucinazione.
Pazza.
Un pupazzo di peluche nella culla del fratellino , le orecchie morbide e flaccide, quel sorriso di coniglio.
Gonfio, blu, piccolo e quei grandi occhi che urlano.
Il vero volto di Doro. Doro Doro Dorothea. 
Pazza o la gente mi crede pazza o i pazzi sono loro o sono solo cattiva...
Il mio cuore cattivo.
Sento mamma in cucina che canticchia TRUE COLORS di Cyndi Lauper, ma no stavo solo sognando. 
Mi sveglio, la radio suona TRUE COLORS . Ora non sto sognando, sono sveglia ?
il colore del volto, il vero volto di ognuno.
Quale e' il tuo  colore ?
Ssssssssst. Lo senti ? E' una risata diabolica. La risata di un coniglio di pezza.

Buona lettura.

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Romanzi
 
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    09 Novembre, 2013
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Prevalentemente Elena.

Terzo ed ultimo capitolo della trilogia L'AMICA GENIALE, Lila e Lenu' sono ormai adulte, donne mature immerse nella vita scelta, nella vita capitata.
Il clima pure si evolve, l'Italia e' ora segnata dalle tensioni delle lotte operaie e studentesche, i volantini propagandistici, le bastonate, i coltelli, gli omicidi, la miscela pericolosa del rosso e del nero.
La prima meta' del racconto non delude , il rapporto tra le amiche continua di pari passo e il divergere delle due vite, la loro lontananza non scioglie un legame sempre presente, anche se meno capillare di un tempo. Sia nel rione che fuori l'impronta della donna e' sempre farinosa, la supremazia maschile in famiglia di fatto soffoca la femminilita' , attutisce le potenzialita' . Mogli, madri che soccombono alla necessita' senza accettare compromessi o che ostentano una forza apparente proveniente da ricchezza e potere dei propri uomini, ma dietro cosa c'e'?
Per buona parte del libro il personaggio di Lila perde vigore, diviene meteora scaraventata in un buco nero dalla presenza di Elena che forza il palcoscenico e se ne impossessa.
Nulla di male, sono gusti. I miei gusti vertevano decisamente su Raffaella Cerullo, era lei il personaggio chiave del libro, quel magma vesuviano dal carisma esponenziale, quella femmina catalizzante, galvanizzante.
Persa l'attenzione su di lei, il romanzo stesso perde il fascino dei volumi precedenti, pare rallentare seppur il ritmo sia sostenuto in un'accozzaglia di fatti che scorrono veloci, nomi che ritornano, colpi di scena che in un paiolo ricolmo di gusti invitanti creano purtroppo un miscuglio insapore.
Insomma, se devo fare un bilancio, il bilancio e' che questo resta un buon libro, ma sotto tono rispetto ai precedenti, senza Lila, con meno Lila, la Ferrante puo' raccontarle cotte e crude, ma il manicaretto non e' scontato.

Buona lettura, non c'e' due senza tre.

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Gialli, Thriller, Horror
 
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cuspide84 Opinione inserita da cuspide84    04 Novembre, 2013
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A.A.A. CERCASI CASA INDIPENDENTE CON GIARDINO

Una casa. Una mano scheletrica in primo piano e un uomo di spalle che guarda una casa assai pensieroso.

E’ questa la copertina del libro di Mankell, il cui unico protagonista è il commissario Kurt Wallander e che come dice lo stesso autore nella postfazione, si colloca cronologicamente prima di “L’uomo inquieto”.

Wallander si trova a condividere la propria casa con la sua unica figlia, Linda, entrata anche lei a far parte della polizia: il loro è un rapporto di amore-odio, sopportazione-comprensione, affetto e… critiche costanti! Anche per questo si sta affacciando in lui l’idea di trovare una nuova abitazione, magari una bella casa grande e indipendente, non troppo lontana dalla città e con un bel giardino in cui poter far scorrazzare libero un cane!

Quando gli viene data la possibilità di acquistare una casa che pare rispondere a tutti questi requisiti, Wallander non se lo fa ripetere due volte e corre a ispezionare/prendere visione del suo possibile futuro nido di pace e tranquillità: la casa è stupenda, si un po’ vecchia e con qualche lavoro da fare qua e là, ma niente di inaffrontabile! Il giardino è perfetto, forse bisognerebbe solo risistemare i cespugli che hanno una strana posizione, rastrellare per bene il terreno, onde evitare di inciampare come ha appena fatto, e seminare un bel prato per il futuro amico a quattro a zampe, ma nel complesso l’affare inizia a delinearsi! Ma ecco che un pensiero s’insinua nella sua mente… non può essere… ma no dai… in cosa è inciampato????

Ed è proprio così che inizia a crollare miseramente il castello in aria eretto con così tanto disio dal commissario e cominciano, nella stessa mente ma un po’ più in là, a delinearsi i retroscena e le possibili vicende che portarono qualcuno a seppellire qualcun altro nel giardino che poteva diventare a tutti gli effetti la futura dimora degna del nostro protagonista!

A chi appartiene la mano della copertina? Coma mai è riaffiorata dal nulla proprio adesso? Sarà sola o qualche altra mano le faceva compagnia sottoterra?

Un libro che seppur breve si fa apprezzare per la sua trama e per le descrizioni relative al personaggio di Wallander; avevo letto un altro giallo di Mankell che non mi aveva convinto del tutto, né per lo stile, né per il commissario protagonista, ma leggendo questo libro mi è sembrato di aver di fronte tutt'altra persona…. E pensate che questa storia è stata scritta per essere regalata a chi acquistava un poliziesco!! Consigliatissimo agli amanti del giallo e dell’autore!

Grazie di cuore alla QRedazione per avermi concesso la possibilità di leggere (e riscoprire) un autore che altrimenti non avrei più preso in considerazione!

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Libri per ragazzi
 
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Pia Sgarbossa Opinione inserita da Pia Sgarbossa    03 Novembre, 2013
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SENTO CHE CI SEI...E LO SO CHE TI TROVERO'...

Se stai soffrendo o provi rabbia , senti la necessità di trovare una valvola di sfogo.
Duccio, un ragazzino di undici anni, ha buoni motivi per star male...sta vivendo la separazione dei genitori e per di più è un bambino adottato.
Ecco che un diario diventa lo strumento che gli permette di dare libertà ai suoi pensieri, alle sue inquietudini. Ho trovato carinissimo e originale l'utilizzo delle liste dei suoi pensieri, come una sorta di braimstorming, che tanto aiuta a tirar fuori tutto ciò che è dentro di noi, sia a livello consapevole, sia a livello inconscio...
In questo suo ricercare esistenziale, Duccio avverte un qualcosa che non sa spiegare...e una musica accompagna questo sentore...non c'è mezzo migliore della musica per creare legami sottili e invisibili...o comunque visibili ai pochi prescelti.
Nel contempo un'altra bambina che abita in un'altra zona dell'Italia, prova le stesse inquietudini, esattamente negli stessi suoi momenti.
Ho trovato molto educativa la capacità di Duccio di saper condividere i propri sentimenti al suo amico e di saper chiedere aiuto...apprezzabili i suoi tentativi di solidarietà nei confronti dell'amica del cuore di origine non italiana.
Bellissimo il finale, una vera inaspettata e piacevole sorpresa, che affonda le radici in un evento gravissimo del passato, accaduto al momento della nascita.
Certo in questo libro si parla del linguaggio del cuore, che non ha i confini della geografia fisica...qui primeggia la "geografia del cuore"...e mi piace pensare che esista davvero, perchè infonde speranza ... proprio tanta per me!
L'autrice si dimostra buona conoscitrice dell'animo umano...e filtra bene anche quello dei ragazzi...riuscendo a farli parlare ed esprimere le loro inquietudini anche utilizzando il loro stesso linguaggio.
La musica che avvicina due anime ...che sa riunire ciò che la lontananza separa...la musica che si fa terapia...
Consiglio questo libro soprattutto a chi vive con i ragazzi esperienze tristi esistenziali : può diventare una buona occasione per riuscire ad esternare ciò che addolora e non trova una strada d'uscita...
Buona lettura a tutti !
Pia

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Ai bambini a partire dagli otto anni; agli educatori.
Ai genitori che vogliono riflettere sulla capacità dei ragazzi di saper esternare i propri sentimenti e le proprie emozioni.
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Romanzi autobiografici
 
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LittleDorrit Opinione inserita da LittleDorrit    02 Novembre, 2013
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Ricordando....via xx settembre

Romanzo autobiografico che, sul filo trasparente della memoria, recupera episodi di vita vissuta dall'autrice e dalla sua famiglia partendo dal lontano 1958 quando lasciarono Agrigento per stabilirsi a Palermo.
Gli Agnello, famiglia piuttosto benestante, composta da Simonetta (l'autrice), Chiara (la sorella) e i due genitori, lasciano Mosè frazione di Agrigento, con un carico di malinconia ma ricolmi di aspettative per il futuro.
La Palermo che li accoglie è famigliare, movimentata e resa dolce dall'affetto dei parenti e da quel grazioso appartamento di via XX settembre.
Le abitudini cambiano inevitabilmente e tutti cercano di adeguarsi e tenersi al passo.
Simonetta, all'epoca tredicenne, trae conforto e sicurezza dalla sola vista dell'amato monte Pellegrino, che sembra quasi sostituirle nell'immaginario la figura paterna. Il monte, infatti, conforta, rasserena e protegge anche al solo pensiero.
L'autrice descrive strade e panorami, profumi intensi, persone, gesti, usi e costumi che fanno da contorno ad una Sicilia ormai lontana.
Dai capitoli affiorano figure diverse: una madre premurosa dedita alla famiglia (donna intelligente che sopporta con muta rassegnazione le pecche di un marito infedele e poco presente fisicamente, solo per attenersi a regole dettate da una società, all'epoca, piuttosto arretrata); un padre che rifiuta la città rifugiandosi nella campagna agrigentina, nelle discussioni politiche e nelle passioni carnali; una bambinaia ungherese dal personalissimo vissuto e da tutti molto amata; un autista factotum fedele da sempre alla famiglia Agnello e Chiara, la sorella timida e cagionevole di salute.
Niente è stato cancellato dalla memoria di Simonetta. Tutto è ben presente nonostante siano cambiati gli orizzonti e siano trascorsi anni. Eccola descrivere le splendide pasticcerie della zona Politeama con le paste fresche e i pupi di zucchero delle feste; la vita nel liceo ginnasio Garibaldi, le feste tradizionali condivise con i cugini, la lettura dei libri e quel lontano primo ballo.
Questo romanzo resta un progetto ben concepito ma non decolla.
Lo stile e la scrittura della Agnello Hornby non sanno mettere in risalto la memoria del cuore con quei sentimenti e quelle emozioni che riuscirebbero a travolgere il lettore più distratto.
Abbiamo solo immagini...tante, impresse nella mente dell'autrice e che vengono riportate al lettore meccanicamente, senza poesia né tenerezza, emozioni queste, che non dovrebbero assolutamente mancare in un romanzo della memoria. Una scrittura totalmente asettica.
Durante la lettura mi è sembrato di confondermi per un attimo col piccolo protagonista del film Malena di Tornatore; spiavo gli accadimenti attraverso una persiana socchiusa, osservavo vite di gente sconosciuta, sentivo parlare di luoghi mai visitati e di eventi disparati ma, a differenza sua, non ne ero coinvolta anzi, ero annoiata. Ed è questo quello che mi ha lasciato questa narrazione tanta, tanta noia. Peccato.

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Romanzi
 
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Fr@ Opinione inserita da Fr@    01 Novembre, 2013
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Una tragicommedia (purtroppo) estremamente reale

Quattro personaggi particolari, incredibili, folli.
Due storie surreali, grottesche, che dipingono un paese in grave difficoltà.
Un solo autore, Maurizio Asquini, che è riuscito a colpirmi nel profondo.
Cervelli bruciati è un romanzo diviso in due parti: la prima dedicata alla singolare amicizia tra Nadir, un giovane tossicodipendente, aspirante punkabbestia, segnato da un destino tragicomico e Ettore Borgini, un vecchio ottantenne che pensa di vivere ancora nell'Italia fascista; la seconda che racconta di Angelo Bombelli, universitario cresciuto sotto l'eccessivo controllo materno, che, rimasto orfano, cercherà di sopravvivere come può, compiendo anche una rapina in banca con Zorro, un chitarrista italo-svizzero cieco. (Nonostante la divisione in due parti, le storie risultano legate dato che ci sono dei momenti d'incontro).
Il primo aggettivo che mi è venuto in mentre conclusa la lettura è stato "surreale". L'ironia è presente dalla prima all'ultima pagina tanto che ad una prima lettura potrebbe risultare quasi eccessiva. La stessa riflessione si può fare per il linguaggio utilizzato, diretto, forte e anche volgare. In realtà penso che l'autore abbia voluto consapevolmente esagerare in tutto, cercando di usare anche un gergo "giovanile" che possa ben caratterizzare i personaggi ma in particolare una Italia in piena decadenza. L'autore del romanzo descrive un paese che non è solo un semplice sfondo a delle incredibili vicende ma che è quasi un quinto protagonista tanto risulta grottesca la società italiana dipinta. Penso che Maurizio Asquini si sia interessato molto alle condizioni di vita dei giovani di oggi per comporre questo romanzo e ripensandoci, più che surreale, Cervelli bruciati è reale, di una realtà addirittura sconvolgente. Per il linguaggio e alcuni passi piuttosto forti, lo consiglio prevalentemente ad un pubblico adulto, ma anche i giovani possono leggerlo senza difficoltà.
Allora, che dire se non "buona lettura"? :)

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Consigliato a chi ama i libri surreali che però in realtà propongono alcune riflessioni profonde. Per il linguaggio e alcuni passaggi piuttosto forti lo consiglio prevalentemente ad un pubblico adulto.
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Romanzi
 
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    01 Novembre, 2013
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Onorevole Mangiamerda

La prima cosa che salta agli occhi iniziando la lettura di questo romanzo è lo stile, asciutto e ricercato, venato di un'ironia tagliente che fa da contrappunto ad una notevole capacità descrittiva.
Incontriamo il protagonista bambino, non conosciamo il suo nome ma solo il nomignolo che per qualche ragione gli è stato affibbiato: “il Mangiamerda”.
E' passivo, ottuso, impertubabile, ma considerarlo innocuo sarebbe un errore fatale, vista la sua naturale inclinazione al male.
Rispetto agli altri ha il considerevole vantaggio di non provare sentimenti, al massimo vibrazioni che ogni tanto sembrano risuonare cupe nella sua scatola cranica.
E' uno psicopatico.
Lo ritroviamo quasi adulto, studente ripetente, stupratore di prostitute e fruitore compulsivo di siti porno, mentre coglie al volo l'occasione della sua vita con la stessa indolenza di un rospo che acchiappa un insetto: “...impostando sul motore di ricerca una serie di parole chiave a sfondo marcatamente osceno, ci si imbattè per caso”. E' l'inizio della sua scalata nel cosiddetto Movimento, partito politico di estrema destra a sfondo razzista.
Ed ecco che quello che prima sembrava un thriller di buona fattura assume a poco a poco i contorni di una parodia sociale: “Noi siamo un movimento e non un partito, affermavano; più o meno con lo stesso spirito di chi anziché chiamarlo culo lo dice fondoschiena”.
La galleria dei personaggi che compongono il Movimento è quasi caricaturale, tra malvagità, sesso sordido e corruzione. E qui forse l'autore calca un po' la mano: contenuti meglio calibrati avrebbero reso la narrazione più verosimile ed efficace.
Ad ogni modo Lupo Mannaro (così è ribattezzato dai “coiscritti”) riscuote sempre più consensi, col solito sguardo vacuo che molti scambiano per risolutezza, con risposte monosillabiche o silenzi che ognuno interpreta come più gli aggrada.
Era l'utile idiota, quello che nel partito faceva il lavoro sporco arrivando a strappare a morsi le orecchie degli avversari politici, e in pochi mesi diventa il Nulla che avanza.
Eccolo là, senza cervello né cuore né niente, l'onorevole Mangiamerda.

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Romanzi
 
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gracy Opinione inserita da gracy    30 Ottobre, 2013
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..E la fedeltà alla modernità dei pensieri.

“Non c’è peggior nemico della felicità che la falsa felicità.”

A fior di pelle.
A inalare aria attecchita di profumi che saziano il corpo e che lo ravvivano, odori e sapori che si proiettano direttamente nell’anima come fotografie indelebili e necessarie per la felicità.
Una cucina, un fuoco acceso, un tegame e un persico che rosola col burro e insaporisce l’aria e la vita di chi la respira.
Un tavolo e una sedia, luci calibrate, un piatto raffinato e un persico adagiato con erba cipollina e a qualcuno la vita può cambiare.
Antonio Scurati ce lo racconta attraverso la sua impeccabile scrittura creativa. In Italia abbiamo molti scrittori che scrivono libri meravigliosi avvalendosi di questa scrittura così viscerale, diretta, cruda, sfaccettata e assolutamente superba e accorata, dolce e amara.
Sicuramente brillante e moderna.
La perfezione di un viaggio dentro l’uomo del nostro millennio, capace di far albergare il binomio infelicità e infedeltà assieme.

La nostra, è un'epoca particolare, ricca di elementi che spesso non si fondano su basi precise, anzi, piuttosto prescindono la tradizione e i consigli dei padri. Basti pensare che l’attesa di un figlio è vista come un evento quasi alieno con corsi pre-parto in modalità yoga e la considerazione del sonno post –parto come elemento scatenante di rottura della coppia e della morte della sessualità. Si sbriciola così un rapporto, in virtù dell’egoismo e sorpassa il concetto che la nascita di un figlio consolida la famiglia.

“Nascita e rinascita. Espiazione e risurrezione. Tutto si tiene, il cerchio si chiude. Mi chiamo Glauco Ravelli, faccio il cuoco e mi pento prima ancora di avere iniziato.”

Antonio Scurati in questa coraggiosa opera, molto intima e profonda ha dato il meglio di sé affrontando una tematica molto attuale, osservando l’angolazione di un uomo nei confronti della sua famiglia.
La moglie Giulia, una presenza-assenza che è l’elemento determinante nella vita di Glauco Ravelli, un comune uomo del nostro tempo, quarantenne laureato in filosofia ma di fatto cuoco affermato, che ha seguito le orme del padre, abbracciando le nuove tendenze culinarie, ormai considerate di fatto un culto, una filosofia di vita.

“Giulia se n’era andata e io l’avevo lasciata andare. Se le lasci andare, le persone se ne vanno. “

Poi c’è la figlia Anita, tre anni che riveste un ruolo scatenante nella vita di Glauco, figlio della modernità e del progresso, che racconta per tutta la durata dl libro, con il cuore in mano, il crollo del matrimonio dopo la sua nascita, la sua vita di uomo contrastato e di padre di questa generazione di “padri vergini” nella dimensione della nuova modernità. I suoi sentimenti e la sua rabbia sfogati come un fiume in piena, avvalendosi di un linguaggio elegante e raffinato che stupisce e commuove.
In silenzio si legge senza giudicare.

...La felicità ad ogni costo ci aveva rovinati…

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Per palati fini...ma anche per tutti.
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Romanzi
 
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    29 Ottobre, 2013
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IL GIOMETRA PERSO NEL RICORDO

No, non è un refuso. Andrea Vitali ha scritto proprio così: giometra. Non a caso l’autore gioca con questo neologismo molti capitoli: la storpiatura del sostantivo costituisce una precisa scelta stilistica e un astuto espediente narrativo, utile per dipingere la maschera di un personaggio e la sua meschina anima borghese.

Lessico colloquiale; frasi brevissime spezzate per aumentare l’enfasi; ritmo lento anzi lentissimo per inseguire i personaggi da vicino e studiare la loro vita, come un entomologo studia le formiche. Se il grande antropologo Claude Lévy-Strauss sosteneva che l’uomo va studiato come si studiano le formiche, l’autore sembra aver imparato la lezione, trasformandola in una narrativa che mette sotto la lente d’ingrandimento i minimi gesti, le espressioni, le caratteristiche ambientali in cui si muovono i nostri scarafaggi, dotati di una varia ma non stupefacente umanità.

Nei personaggi di Vitali l’essenza sembra precedere l’esperienza: c’è chi nasce con un “caratterino pieno di aghi”, chi “con i maccheroni in testa”, chi con le scarpe da lavoro ai piedi, chi “giometra”, inesorabilmente attratto dalle figure nello spazio. Non si tratta di essenze definite, intendiamoci: le stesse note possono comporre infinite canzoni.

Questo romanzo racconta l’Italia piccola, quella della profonda provincia, quella dei primissimi anni settanta che somiglia, nei problemi e nelle ossessioni, alla stessa che si è trascinata fin qui oltre i duemila: abbiamo passato la soglia da un pezzo, perdendo i pezzi. I decenni sono svaniti, ma i soliti ritornelli sono rimasti: nascono dalle note dei nostri genomi e dalla cultura del nostro paese; suonano provinciali anche nelle città più grandi, figuriamoci nei piccoli centri. E così, tra un sorso di rosso e una forchettata di brasatino, le miserie e le prevaricazioni e i ricatti e le furbizie e le incomprensioni dei rapporti tra i diversi sessi, età e classi sociali sfilano sornioni, sotto la solita spessa lente d’ingrandimento.

Mentre l’autore segue il cammino delle sue formiche con tenera ironia, il mistero della carta d’identità si risolve e si dissolve in un fine quasi lieto, nella tranquillità di una caldissima estate. Andiamo a vedere come va a finire.

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lo stesso autore, romanzi contemporanei, romanzi che parlano nella nostra piccola Italia.
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Libri per ragazzi
 
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Pia Sgarbossa Opinione inserita da Pia Sgarbossa    28 Ottobre, 2013
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DIMMI COSA MANGI... E TI DIRO' TANTE COSE...

Io golosa ...io che adoro i dolci e anche li preparo ... io ... che devo insegnare ai bambini a mangiare in modo adeguato.
Questo è il libro che fa per me, in tutti i sensi ! Un invito ad una sana e corretta alimentazione.
E' bellissimo e favoloso il percorso che gli autori magistralmente ci propongono, dove si mettono a confronto il regno della principessa Golosina e d il regno del principe Verduro.
Seguendo lo svolgersi della storia i bambini hanno la possibilità di capire l'importanza di alimentarsi in modo adeguato e sano, grazie ad una storia fantastica, dove elementi magici si mescolano ad elementi della realtà.
Una storia in evoluzione che aiuta il bambino ad immedesimarsi nei protagonisti, a vivere insieme un processo di miglioramento e di maturazione, fino ad arrivare alla consapevolezza che un cibo sano è anche buono , con una particolare riferimento alle verdure.
Si scopre che il modo con cui si presentano le pietanze, anche dal punto di vista visivo, è essenziale.
Ecco che la conoscenza dei benefici salutari dei cibi aiuta e stimola la costruzione di nuove e buone abitudini.
Il libro può essere utilizzato in campo didattico, perché si presta innanzitutto ad una possibile trasposizione teatrale; offre al termine una serie di attività veramente complete : approfondimenti degli elementi nutrizionali, dritte simpatiche in ambito culinario e schede di lavoro ben costruite, inerenti ad ogni capitolo del testo...
A me pare che non manchi proprio nulla e che possa diventare un valido strumento didattico per un'efficace educazione alimentare in classe.
( Penso infatti che lo utilizzerò in una prossima programmazione didattica di educazione alimentare)
L'unica nota che mi ha fatto riflettere , è stata la scelta degli autori di presentare la nascita di un personaggio in un modo del tutto fantastico e in una situazione particolare : io vi ho letto il tentativo di avviare gli alunni ad una buona flessibilità mentale adeguata alla società in cui viviamo.
Sarebbe interessante per me avere in merito a ciò un riscontro degli autori .
Buona lettura, soprattutto a coloro che vogliono apportare delle migliorie nella propria modalità di alimentazione.
Pia

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Agli educatori ( insegnanti di scuola dell'Infanzia e Primaria).
Ai ragazzi a partire dagli 8 anni.
Ai genitori.
A tutti coloro che si vogliono migliorare nell'alimentazione, in un modo simpatico e semplice.
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Romanzi
 
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3.8
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rondinella Opinione inserita da rondinella    28 Ottobre, 2013
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Libertà per i sentimenti

La madre di Piero ha lasciato il marito per stare con un altro uomo: il fratello di lui, professionalmente realizzato e sicuro di sé. Piero ha una ferita enorme in petto: la separazione dei genitori è stata un duro colpo, colpo aggravato dal fatto che il suo nuovo patrigno è lo zio. Il padre, un artista, lo ha affidato alle cure della madre, è partito alla ricerca di nuove ispirazioni, lontano. Piero è solo: non ha amici, la madre è opprimente, lo zio è un nemico, il padre un fantasma. Pensieri cupi si fanno avanti dentro il suo cuore, lui non si sente compreso, le sue mute accuse vengono ignorate. La sua espressione è sempre più criptica, i suoi occhi sempre più sfuggenti, il petto sempre più pesante, gravato dal rancore.
Finché un giorno arriva lei, Caterina: una luce timida, ma persistente, facile da coprire ma bellissima nella sua tenacia. E ci vuole una luce costantemente accesa per rischiarare le tenebre che offuscano Piero.

Un’opera davvero gradevole e dai tratti intensi, un plauso meritato all’autrice. Intanto voglio specificare che la lettura di questo libro è consigliata se avete letto l’Amleto questione, in quanto il parallelismo tra le due narrazioni – praticamente identiche salvo alcuni dettagli – è essenziale. Personalmente se non avessi letto prima la tragedia di Shakespeare avrei trovato questo romanzo alquanto strambo e illogico, invece mettendo a confronto le due letture tutti i pezzi s’incastrano.

La storia si svolge in un brevissimo tempo, le ambientazioni sono poche così come gli eventi; questo è stato possibile dato che la cosa più importante era rilevare il lato psicologico del protagonista, cercando di cogliere più sfumature possibili. Il profilo di Piero prende vita dalle parole, il lettore riesce a comprendere la sua rabbia e il suo dolore, ma Piero non è certo la persona con cui voler passare del tempo insieme. Tutti gli altri personaggi, anche Caterina, sono visti attraverso i suoi occhi, accentuandone così le caratteristiche più importanti che contribuiscono a far immedesimare il lettore nella vicenda.
Di per sé la trama è quasi inesistente, ma la sua semplicità è stata compensata dall’approfondimento caratteriale del protagonista, il quale è stato sviscerato tramite i suoi comportamenti, i suoi pensieri filosofici inframmezzati da momenti più ‘terreni’, la sua inettitudine davanti a qualcosa di nuovo e vivo come la co-protagonista.
Piero a volte mi è sembrato duro e ingiusto, altre volte semplicemente abbandonato. Spesso mi ha fatto molta tenerezza, considerando come alcuni suoi atteggiamenti non si discostino dalla realtà. E’ vero che si tratta di una personalità ‘copiata’ – è la versione soft del principe di Danimarca – ma l’autrice è riuscito a renderlo vicino.

In definitiva un romanzo piacevole, nonostante le descrizioni spesso prolisse e spiccate variazioni lessicali – si passa da monologhi dotti a discorsi così, terra terra – scorre senza problemi. E’ vero che all’inizio a livello di contenuti zoppica un po’ (mi sono sembrate un po’ inutili le pagine iniziali dedicate allo zio del protagonista, che è un personaggio importante, ma non così tanto) e che l’intreccio non sia nulla di eccezionale, tuttavia seguendo la lettura si migliora in tutti i campi - potrebbe rimanere un po' ostico delineare le ambientazioni ed i paesaggi, in quanto le descrizioni si concentrano spesso su dettagli ed il resto risulta sfocato (usate l'immaginazione!).
Quanto a coinvolgimento emotivo, instaurare un rapporto intimo con il protagonista risulta un po’ difficile, ma d’altronde chi di voi si è così tanto affezionato ad Amleto stesso?
Consigliato

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Amleto, narrativa in generale
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